Versione originale in latino
Silva erat Ciminia magis tum invia atque horrenda quam nuper fuere Germanici saltus, nulli ad eam diem ne mercatorum quidem adita. Eam intrare haud fere quisquam praeter ducem ipsum audebat; aliis omnibus cladis Caudinae nondum memoria aboleverat. Tum ex iis qui aderant, consulis frater - M. Fabium, Caesonem alii, C. Claudium quidam matre eadem qua consulem genitum, tradunt - speculatum se iturum professus brevique omnia certa allaturum. Caere educatus apud hospites, Etruscis inde litteris eruditus erat linguamque Etruscam probe noverat. Habeo auctores volgo tum Romanos pueros, sicut nunc Graecis, ita Etruscis litteris erudiri solitos; sed propius est vero praecipuum aliquid fuisse in eo qui se tam audaci simulatione hostibus immiscuerit. Servus ei dicitur comes unus fuisse, nutritus una eoque haud ignarus linguae eiusdem; nec quicquam aliud proficiscentes quam summatim regionis quae intranda erat naturam ac nomina principum in populis accepere, ne qua inter conloquia insigni nota haesitantes deprendi possent. Iere pastorali habitu, agrestibus telis, falcibus gaesisque binis armati. Sed neque commercium linguae nec vestis armorumve habitus sic eos texit quam quod abhorrebat ab fide quemquam externum Ciminios saltus intraturum. Usque ad Camertes Umbros penetrasse dicuntur; ibi qui essent fateri Romanum ausum; introductumque in senatum con sulis verbis egisse de societate amicitiaque atque inde comi hospitio acceptum nuntiare Romanis iussum commeatum exercitui dierum triginta praesto fore, si ea loca intrasset, iuventutemque Camertium Umbrorum in armis paratam imperio futuram. Haec cum relata consuli essent, impedimentis prima vigilia praemissis, legionibus post impedimenta ire iussis ipse substitit cum equitatu et luce orta postero die obequitavit stationibus hostium, quae extra saltum dispositae erant; et cum satis diu tenuisset hostem, in castra sese recepit portaque altera egressus ante noctem agmen adsequitur. Postero die luce prima iuga Ciminii montis tenebat; inde contemplatus opulenta Etruriae arva milites emittit. Ingenti iam abacta praeda tumultuariae agrestium Etruscorum cohortes, repente a principibus regionis eius concitatae, Romanis occurrunt adeo incompositae ut vindices praedarum prope ipsi praedae fuerint. Caesis fugatisque his, late depopulato agro victor Romanus opulentusque rerum omnium copia in castra rediit. Eo forte quinque legati cum duobus tribunis plebis venerant denuntiatum Fabio senatus verbis ne saltum Ciminium transiret. Laetati serius se quam ut impedire bellum possent venisse, nuntii victoriae Romam revertuntur.
Traduzione all'italiano
In quel tempo la selva Ciminia era più impervia e spaventosa di quanto non siano di recente sembrate le foreste della Germania, e fino ad allora non l'aveva mai attraversata nessuno, nemmeno dei mercanti. E quasi nessuno, fatta eccezione per il comandante in persona, aveva il coraggio di addentrarvisi: in tutti gli altri era ancora vivo il ricordo della disfatta di Caudio. Allora, tra i presenti, il fratello del console Marco Fabio (altri sostengono si chiamasse Cesone, altri ancora Gaio Claudio, indicandolo come fratello del console soltanto per parte di madre) disse che sarebbe andato in avanscoperta e che di lì a poco avrebbe riportato notizie sicure. Cresciuto a Cere presso suoi ospiti, aveva avuto un'istruzione a base di lettere etrusche e parlava bene l'etrusco. Secondo alcuni autori, come adesso si ha l'abitudine di istruire i ragazzi romani nelle lettere greche, allo stesso modo in quel tempo li si istruiva in quelle etrusche. Ma è più vicino alla verità il fatto che l'uomo che andò a mescolarsi tra i nemici con una messinscena tanto temeraria avesse già avuto qualche esperienza in tal senso. A quanto sembra fu accompagnato soltanto da uno schiavo, che era cresciuto con lui e quindi aveva una certa competenza in quella stessa lingua. Prima di partire, dell'area in cui stavano per addentrarsi non avevano alcuna cognizione, se non qualche sommario ragguaglio circa la natura del luogo e i nomi dei capi delle varie popolazioni, sui quali avevano preso informazioni per evitare di essere smascherati da esitazioni su fatti risaputi. Partirono vestiti da pastori, con addosso armi da campagna, una falce e due spiedi a testa. Ma a proteggerli non furono tanto la conoscenza della lingua né il tipo di armi o di vesti, quanto piuttosto il fatto che nessuno si potesse immaginare uno straniero addentratosi nella selva Ciminia. Pare siano arrivati fino agli Umbri Camerti. Lì Fabio ebbe il coraggio di rivelare la loro identità e, introdotto nel senato locale, a nome del console propose di stipulare un trattato di amicizia e di alleanza. Gli riservarono una generosa ospitalità, e lo pregarono di riferire ai Romani che, se il loro esercito si fosse spinto in quella zona, avrebbe avuto a disposizione cibo per trenta giorni, e che la gioventù degli Umbri Camerti sarebbe stata pronta a prendere le armi agli ordini dei Romani. Quando queste cose vennero riferite al console, alle prime luci della sera, mandati avanti gli uomini con i bagagli, diede ordine alla fanteria di seguirli. Egli rimase fermo con la cavalleria e alle prime luci del giorno successivo passò a cavallo di fronte ai posti di guardia nemici collocati al di fuori del bosco. Dopo aver impegnato per qualche tempo i nemici, rientrò all'accampamento e uscendo dalla porta opposta raggiunse la fanteria prima del buio. All'alba del giorno dopo aveva già raggiunto le cime dei monti Cimini. E dopo aver contemplato da quel punto le ricche terre d'Etruria, inviò i suoi uomini a metterle a ferro e fuoco. E i Romani avevano già raccolto un bel bottino, quando si trovarono di fronte squadre raccogliticce di contadini etruschi formate in tutta fretta dai capi della zona, ma in maniera così disordinata, che quanti erano venuti a riprendersi la preda per poco non finirono essi stessi oggetto di preda. Dopo aver eliminato o messo in fuga i nemici, e dopo aver razziato in lungo e in largo le campagne, i Romani rientrarono al campo in trionfo e carichi di ogni avere. Lì erano arrivati casualmente cinque delegati e due tribuni della plebe per comunicare a Fabio l'ordine del senato di non attraversare la selva Ciminia. Felicitatisi per essere arrivati troppo tardi per impedire lo scoppio della guerra, rientrarono a Roma ad annunciare la vittoria.