Mika
di Mika
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Versione originale in latino


Et loquimur de Alexandro nondum merso secundis rebus, quarum nemo intolerantior fuit. Qui si ex habitu novae fortunae novique, ut ita dicam, ingenii quod sibi victor induerat spectetur, Dareo magis similis quam Alexandro in Italiam venisset et exercitum Macedoniae oblitum degenerantemque iam in Persarum mores adduxisset. Referre in tanto rege piget superbam mutationem vestis et desideratas humi iacentium adulationes, etiam victis Macedonibus graves nedum victoribus, et foeda supplicia et inter vinum et epulas caedes amicorum et vanitatem ementiendae stirpis.
Quid si vini amor in dies fieret acrior? Quid si trux ac praefervida ira? - nec quicquam dubium inter scriptores refero - nullane haec damna imperatoriis virtutibus ducimus? Id vero periculum erat, quod levissimi ex Graecis qui Parthorum quoque contra nomen Romanum gloriae favent dictitare solent, ne maiestatem nominis Alexandri, quem ne fama quidem illis notum arbitror fuisse, sustinere non potuerit populus Romanus; et adversus quem Athenis, in civitate fracta Macedonum armis, cernente tum maxime prope fumantes Thebarum ruinas, contionari libere ausi sunt homines, id quod ex monumentis orationum patet, adversus eum nemo ex tot proceribus Romanis vocem liberam missurus fuerit. Quantalibet magnitudo hominis concipiatur animo; unius tamen ea magnitudo hominis erit collecta paulo plus decem annorum felicitate; quam qui eo extollunt quod populus Romanus etsi nullo bello multis tamen proeliis victus sit, Alexandro nullius pugnae non secunda fortuna fuerit, non intellegunt se hominis res gestas, et eius iuvenis, cum populi iam octingentesimum bellantis annum rebus conferre. Miremur si, cum ex hac parte saecula plura numerentur quam ex illa anni, plus in tam longo spatio quam in aetate tredecim annorum fortuna variaverit? Quin tu homines cum homine, [et] duces cum duce, fortunam cum fortuna confers? Quot Romanos duces nominem quibus nunquam adversa fortuna pugnae fuit? Paginas in annalibus magistratuumque fastis percurrere licet consulum dictatorumque quorum nec virtutis nec fortunae ullo die populum Romanum paenituit. Et quo sint mirabiliores quam Alexander aut quisquam rex, denos vicenosque dies quidam dictaturam, nemo plus quam annum consulatum gessit; ab tribunis plebis dilectus impediti sunt; post tempus ad bella ierunt, ante tempus comitiorum causa revocati sunt; in ipso conatu rerum circumegit se annus; collegae nunc temeritas, nunc pravitas impedimento aut damno fuit; male gestis rebus alterius successum est; tironem aut mala disciplina institutum exercitum acceperunt. At hercule reges non liberi solum impedimentis omnibus sed domini rerum temporumque trahunt consiliis cuncta, non sequuntur. Invictus ergo Alexander cum invictis ducibus bella gessisset et eadem fortunae pignora in discrimen detulisset; immo etiam eo plus periculi subisset quod Macedones unum Alexandrum habuissent, multis casibus non solum obnoxium sed etiam offerentem se, Romani multi fuissent Alexandro vel gloria vel rerum magnitudine pares, quorum suo quisque fato sine publico discrimine viveret morereturque.

Traduzione all'italiano


E parliamo di Alessandro non ancora accecato dalla prospera fortuna, nella quale nessuno fu più smodato. E se si giudica dal suo modo di comportarsi nella prospera sorte e, per così dire, dal suo nuovo carattere che aveva assunto dopo le vittorie, sarebbe giunto in italia più simile a Dario che ad Alessanro e avrebbe condotto l'esercito macedone contaminato e tralignante per effetto dei costumi persiani. Rincresce attribuire a un tanto grande re un superbo cambio di abito e richieste adulazioni di coloro che giacevano a terra, dure per i Macedoni anche se fossero stati vinti, tanto più che per essi vincitori e rudeli supplizi e nell'ubriachezza e nei pranzi le uccisioni di amici e le vanità di falsare la stirpe. Che cosa, se l'amore del vino fosse diventato più ardente di giorno in giorno? Che cosa, se l'ira (fosse diventata) truce e assai impetuosa? - né riferisco qualcosa di dubbio tra gli scrittori -, forse reputiamo questi vizi di nessuna importanza per le qualità di un generale? Ma questo era il pericolo, che i frivolissimi storiografi greci, che esaltano perfino la gloria dei Parti contro il nomei di Roma, sono soliti ripetere spesso che il popolo romano non avrebbe potuto sostenere la maestà del nome di Alessandro, che penso che neppure per fama a quelli fosse noto; e invece ad Atene, nella città abbatuta dalle armi dei Macedoni, che vedeva proprio allora le rovine quasi fumanti di Tebe, uomini osavano inveire liberamente, cosa che è evidente dai documenti delle orazioni, contro di lui nessuno avrebbe espresso la sua libera voce dei tanti illustri romani! Per quanta grandezza dell'uomo si immagini, tuttavia la sua sarà la grandezza di un solo uomo, raccolta in poco più di dieci anni di fortuna; e coloro che la esaltano a tal puntom poiché il popolo romano, anche se in nessuna guerra, tuttavia è stato vinto in molte battaglie, mentre Alessandro ebbe prospera fortuna in tutte le battaglie, non capiscono che paragonano le imprese di un solo uomo, e anche giovane, con le imprese di un popolo che guerreggia ormai da ottocento anni. Dobbiamo meravigliarci se, contanto da una parte più generazioni degli anni dall'altra (parte) la sorte è mutata di più in un tanto lungo intervallo di tempo, che nel corso di tredici anni? Perché non paragonare gli uomini con l'uomo, i generali con il generale, la sorte con la sorte? Quanti generali romani si potrebbero nominare, che non ebbero mai avversa la sorte in battaglia? Negli annali dei magistrati e nei fasti si possono scorrere elenchi di consoli e di dittatori, del valore o della sorte dei quali il popolo romano non si pentì mai in nessun giorno. E affinché siano più ammirati di Alessandro o di qualche re, per dieci o venti giorno alcuni esercitavano la dittatura, nessuno per più di una nno il consolato; gli arruolamenti furono ostacolati dai tribuni della plebe; dopo il tempo stabilito andarono alla guerra; innanzi tempo per i comizi furono revocati; proprio nello sforzo decisivo trascorse l'anno; ora la temerarietà ora la sconsideratezza furono compagne di impedimento o di dano; si succedeva alle imprese di un altro avviate male; presero reclute o un esercito istruito con una cattiva disciplina. Ma per Ercole i re non solo liberi da tutti gli impedimenti, ma padroni delle sostanze e delle circostanze, trascinano tutto con le loro decisioni, non seguono: dunque Alessandro invitto avrebbe combattuto con generali invitti e avrebbe esposto gli stesso pegni della fortuna al pericolo; anzi si sarebbe esposto di più a quel pericolo, poiché i Macedoni avevano avuto un solo Alessandro, non solo soggetto a molti pericoli, ma anche che vi si offriva, molti romani sarebbero stati simili ad Alessandro o per la gloria o per la grandezza delle imprese dei quali ciascuno secondo il proprio fato senza pubblico pericolo sarebbe vissuto e morto.

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