Versione originale in latino
M. Popilius Laenas a plebe consul, a patribus L. Cornelius Scipio datus. Fortuna quoque inlustriorem plebeium consulem fecit; nam cum ingentem Gallorum exercitum in agro Latino castra posuisse nuntiatum esset, Scipione gravi morbo implicito Gallicum bellum Popilio extra ordinem datum. Is impigre exercitu scripto, cum omnes extra portam Capenam ad Martis aedem convenire armatos iuniores iussisset signaque eodem quaestores ex aerario deferre, quattuor expletis legionibus, quod superfuit militum P. Valerio Publicolae praetori tradidit, auctor patribus scribendi alterius exercitus, quod ad incertos belli eventus subsidium rei publicae esset. Ipse iam satis omnibus instructis comparatisque ad hostem pergit; cuius ut prius nosceret vires quam periculo ultimo temptaret, in tumulo, quem proximum castris Gallorum capere potuit, vallum ducere coepit. Gens ferox et ingenii avidi ad pugnam cum procul visis Romanorum signis ut extemplo proelium initura explicuisset aciem, postquam neque in aequum demitti agmen vidit et cum loci altitudine tum vallo etiam tegi Romanos, perculsos pavore rata, simul opportuniores quod intenti tum maxime operi essent, truci clamore adgreditur. Ab Romanis nec opus intermissum - triarii erant, qui muniebant - et ab hastatis principibusque, qui pro munitoribus intenti armatique steterunt, proelium initum. Praeter virtutem locus quoque superior adiuvit, ut pila omnia hastaeque non tamquam ex aequo missa vana, quod plerumque fit, caderent sed omnia librata ponderibus figerentur; oneratique telis Galli, quibus aut corpora transfixa aut praegravata inhaerentibus gerebant scuta, cum cursu paene in adversum subissent, primo incerti restitere; dein, cum ipsa cunctatio et his animos minuisset et auxisset hosti, impulsi retro ruere alii super alios stragemque inter se caede ipsa foediorem dare; adeo praecipiti turba obtriti plures quam ferro necati.
Traduzione all'italiano
Marco Popilio Lenate fu il console plebeo, Lucio Cornelio Scipione il patrizio. Anche la sorte volle rendere più illustre il console plebeo. Infatti, quando arrivò la notizia che un poderoso esercito di Galli si era accampato in territorio latino, il console Scipione era gravemente malato: fu così che il comando delle operazioni venne assegnato a Popilio con un provvedimento straordinario. Egli, arruolato senza indugi un esercito, dato a tutti l'ordine di trovarsi in armi al tempio di Marte fuori della porta Capena, e ai questori di trasportare lì le insegne dall'erario, completò quattro legioni e affidò il numero di uomini in eccesso al pretore Publio Valerio Publicola, sollecitando il senato ad arruolare un secondo esercito che facesse da riserva in previsione di eventuali emergenze belliche. Poi, una volta esauriti di persona tutti i preparativi, partì alla volta del nemico. E per conoscere l'entità delle forze nemiche prima di doverle saggiare nel corso di uno scontro decisivo, occupò la collina più vicina all'accampamento dei Galli e cominciò a scavarvi una trincea. I Galli, bellicosi e per natura sempre smaniosi di arrivare allo scontro armato, non appena videro in lontananza le insegne romane, si schierarono sùbito in assetto di guerra come se avessero dovuto immediatamente ingaggiare battaglia. Ma poi, rendendosi conto che i Romani non accennavano a scendere in pianura bensì cercavano di proteggersi non solo sfruttando la posizione elevata ma anche con l'ausilio di una trincea, supposero che i nemici fossero in preda al panico e, nel contempo, che risultassero ancor più vulnerabili proprio perché impegnati nella costruzione. Per questo attaccarono con urla spaventose. I Romani, senza interrompere il lavoro (nel quale erano occupati solo i triarii), cominciarono a combattere con le file degli hastati e dei principes, piazzate all'erta con le armi in pugno, davanti ai compagni impegnati nei lavori. Al di là dell'effettivo valore, ciò che li aiutò fu anche la posizione sopraelevata: le loro aste e i loro giavellotti, invece di andare a vuoto come spesso succede quando vengono lanciati su un terreno pianeggiante, centravano sempre il bersaglio, per il peso stesso che li portava a conficcarsi. E i Galli, schiacciati dai proiettili che li raggiungevano passandoli da parte a parte, oppure si conficcavano negli scudi appesantendoli, dopo essere avanzati di corsa lungo l'erta del monte, in un primo tempo si fermarono, disorientati; poi - quella semplice esitazione aveva ridotto il loro slancio e dato animo agli avversari - ricacciati indietro, presero a ruzzolare l'uno sull'altro, e questo provocò un massacro ancora più cruento di quello inferto dai colpi nemici. Furono più gli uomini calpestati dalla massa che rovinava verso la pianura dei compagni caduti in combattimento.