Versione originale in latino
Et hoc et insequenti anno C. Sulpicio Petico C. Licinio Stolone consulibus pestilentia fuit. Eo nihil dignum memoria actum, nisi quod pacis deum exposcendae causa tertio tum post conditam urbem lectisternium fuit. Et cum vis morbi nec humanis consiliis nec ope divina levaretur, victis superstitione animis ludi quoque scenici, nova res bellicoso populo - nam circi modo spectaculum fuerat - inter alia caelestis irae placamina instituti dicuntur; ceterum parva quoque, ut ferme principia omnia, et ea ipsa peregrina res fuit. Sine carmine ullo, sine imitandorum carminum actu ludiones ex Etruria acciti, ad tibicinis modos saltantes, haud indecoros motus more Tusco dabant. Imitari deinde eos iuventus, simul inconditis inter se iocularia fundentes versibus, coepere; nec absoni a voce motus erant. Accepta itaque res saepiusque usurpando excitata. Vernaculis artificibus, quia ister Tusco verbo ludio vocabatur, nomen histrionibus inditum; qui non, sicut ante, Fescennino versu similem incompositum temere ac rudem alternis iaciebant sed impletas modis saturas descripto iam ad tibicinem cantu motuque congruenti peragebant. Livius post aliquot annis, qui ab saturis ausus est primus argumento fabulam serere, idem scilicet - id quod omnes tum erant - suorum carminum actor, dicitur, cum saepius revocatus vocem obtudisset, venia petita puerum ad canendum ante tibicinem cum statuisset, canticum egisse aliquanto magis vigente motu quia nihil vocis usus impediebat. Inde ad manum cantari histrionibus coeptum diverbiaque tantum ipsorum voci relicta. Postquam lege hac fabularum ab risu ac soluto ioco res avocabatur et ludus in artem paulatim verterat, iuventus histrionibus fabellarum actu relicto ipsa inter se more antiquo ridicula intexta versibus iactitare coepit; unde exorta quae exodia postea appellata consertaque fabellis potissimum Atellanis sunt; quod genus ludorum ab Oscis acceptum tenuit iuventus nec ab histrionibus pollui passa est; eo institutum manet, ut actores Atellanarum nec tribu moveantur et stipendia, tamquam expertes artis ludicrae, faciant. Inter aliarum parva principia rerum ludorum quoque prima origo ponenda visa est, ut appareret quam ab sano initio res in hanc vix opulentis regnis tolerabilem insaniam venerit.
Traduzione all'italiano
In quello e nell'anno seguente sotto il consolato di Caio Sulpico Petico e di Caio Licinio Stolone ci fu una pestilenza. In quell'anno non accadde niente degno di memoria, se non che per invocare la pace degli dei allora per la terra volta dopo la fondazione di Roma ci fu un lettisternio; e poiché la violenza della malattia non era attenuata né dalle risoluzioni umane né dalla potenza divina, vinti gli animi dalla superstizione, si dice che anche i ludi scenici - cosa nuova per un popolo bellicoso, infatti fino allora cìerano stati solo spettacoli di circo - furono introdotti tra gli altri mezzi per placare l'ira divina; tuttavia quella stessa cosa era staniera e anche modesta, come quasi tutti gli inizi. Senza alcun canto, senza alcuna gesticolazione di canti da imitare attori fatti venire dall'Etruria, ballando al ritmo del flauto danzavano al modo degli Etruschi non senza grazia. I giovani quindi cominciarono ad imitarli, scambiandosi lazzi fra loro insieme a versi di rozza fattura; e i movimenti non erano discordanti con la voce. Pertanto la cosa fu accettata e sempre di più accresciuta con l'uso. Agli attori professionisti nati a Roma venne dato il nome di istrioni, da ister che in lingua etrusca vuol dire attore. Essi non si scambiavano più, come un tempo, versi rozzi e improvvisati simili al Fescennino, ma rappresentavano satire ricche di vari metri, eseguendo melodie scritte ora per l'accompagnamento del flauto e compiendo gesti appropriati. Livio fu il primo, alcuni anni dopo, ad abbandonare la satira e ad avventurarsi nella composizione di un'opera dotata di trama unitaria. Attore egli stesso delle proprie opere - come allora erano tutti -, pare che, colpito da un abbassamento di voce per le ripetute chiamate in scena, dopo aver chiesto e ottenuto di far cantare un ragazzo davanti al flautista, eseguì la sua monodia con gesti di gran lunga più espressivi proprio perché non era impedito dal dover usare la voce. Da allora gli attori cominciarono ad accompagnare le parti cantate con gesti, riservando all'uso della voce soltanto le parti dialogate. Ma quando, grazie a questo tipo di messe in scena, la rappresentazione si scostò dallo scherzo spontaneo e dal lazzo gratuito e il teatro si trasformò a poco a poco in una manifestazione artistica, la gioventù abbandonò le recite agli attori di professione e riprese l'abitudine di un tempo scambiando rozze battute in versi. Di qui nacquero quelle che in séguito vennero chiamate farse finali e per lo più aggiunte alle Atellane. Queste ultime, un tipo di rappresentazione importato dagli Osci, i giovani romani le tennero per sé e non permisero che fossero contaminate dagli attori professionisti. Di qui la norma per cui gli attori di Atellane non possono essere rimossi dalla tribù di appartenenza e prestano servizio militare, come se non avessero rapporti con il mondo della scena. Tra gli inizi modesti di molte altre cose è parso opportuno collocare anche i primi passi del teatro, perché si potesse vedere quanto fossero sobri i primordi di un'arte che al giorno d'oggi ha raggiunto tali vertici di scostumatezza da essere a malapena tollerata anche in regni ricchissimi.