Pillaus
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Versione originale in latino


Dictator exercitum in stativis tenebat, minime dubius bellum cum iis populis patres iussuros, cum maior domi exorta moles coegit acciri Romam eum gliscente in dies seditione, quam solito magis metuendam auctor faciebat. Non enim iam orationes modo M. Manli sed facta, popularia in speciem, tumultuosa eadem, qua mente fierent intuenda erant. Centurionem, nobilem militaribus factis, iudicatum pecuniae cum duci vidisset, medio foro cum caterva sua accurrit et manum iniecit; vociferatusque de superbia patrum ac crudelitate feneratorum et miseriis plebis, virtutibus eius viri fortunaque, 'tum vero ego' inquit 'nequiquam hac dextra Capitolium arcemque servaverim, si civem commilitonemque meum tamquam Gallis victoribus captum in servitutem ac vincula duci videam.' inde rem creditori palam populo solvit libraque et aere liberatum emittit, deos atque homines obtestantem ut M.
Manlio, liberatori suo, parenti plebis Romanae, gratiam referant. Acceptus extemplo in tumultuosam turbam et ipse tumultum augebat, cicatrices acceptas Veienti Gallico aliisque deinceps bellis ostentans: se militantem, se restituentem eversos penates, multiplici iam sorte exsoluta, mergentibus semper sortem usuris, obrutum fenore esse; videre lucem, forum, civium ora M. Manli opera; omnia parentum beneficia ab illo se habere; illi devovere corporis vitaeque ac sanguinis quod supersit; quodcumque sibi cum patria penatibus publicis ac privatis iuris fuerit, id cum uno homine esse. His vocibus instincta plebes cum iam unius hominis esset, addita alia commodioris ad omnia turbanda consilii res. Fundum in Veienti, caput patrimonii, subiecit praeconi, 'ne quem vestrum' inquit, 'Quirites, donec quicquam in re mea supererit, iudicatum addictumve duci patiar.' id vero ita accendit animos, ut per omne fas ac nefas secuturi vindicem libertatis viderentur. Ad hoc domi contionantis in modum sermones pleni criminum in patres; inter quos [cum] omisso discrimine vera an vana iaceret, thesauros Gallici auri occultari a patribus iecit nec iam possidendis publicis agris contentos esse nisi pecuniam quoque publicam avertant; ea res si palam fiat, exsolvi plebem aere alieno posse. Quae ubi obiecta spes est, enimvero indignum facinus videri, cum conferendum ad redimendam civitatem a Gallis aurum fuerit, tributo conlationem factam, idem aurum ex hostibus captum in paucorum praedam cessisse. Itaque exsequebantur quaerendo ubi tantae rei furtum occultaretur; differentique et tempore suo se indicaturum dicenti ceteris omissis eo versae erant omnium curae apparebatque nec veri indicii gratiam mediam nec falsi offensionem fore.

Traduzione all'italiano


Il dittatore teneva i suoi uomini nell'accampamento, non nutrendo il minimo dubbio sul fatto che i senatori avrebbero dichiarato guerra a questi popoli, quando in patria una questione di ben altra gravità li costrinse a richiamarlo a Roma, mentre la gravità dei disordini cresceva di giorno in giorno, e chi ne era responsabile rendeva la cosa più preoccupante del solito. Infatti ormai non solo i discorsi, ma anche le azioni di Marco Manlio, all'apparenza volte ad appoggiare il popolo, erano in realtà sediziose se si considerava quale ne era il principio ispiratore. Vedendo che stavano portando via un centurione, famoso per le sue prodezze di soldato, ma condannato per debiti, Manlio si precipitò in pieno foro con la sua banda di sostenitori. Lì, dopo averlo afferrato con le mani per riscattarlo, ed essersi messo a urlare frasi sull'arroganza dei patrizi, sulla crudeltà degli usurai, sulle sofferenze della plebe e sulle qualità e sulle disgrazie di quell'uomo, disse: "Allora non è proprio servito a nulla per me aver salvato la rocca e il Campidoglio con questa destra, se adesso devo vedere un mio concittadino e commilitone messo in catene e ridotto in schiavitù come se fosse prigioniero dei Galli vincitori!". Poi pagò davanti a tutti la somma dovuta al creditore, restituì la libertà al commilitone riscattato, il quale implorava gli dèi e gli uomini affinché ringraziassero Marco Manlio, suo liberatore e padre della plebe romana. Accolto immediatamente in mezzo a quella massa turbolenta di gente, il commilitone contribuiva di suo ad aumentare il disordine mostrando le cicatrici delle ferite riportate nella guerra contro Veio, in quella contro i Galli e nelle successive. Mentre stava combattendo, mentre era impegnato nella ricostruzione della sua casa ridotta in macerie, era stato schiacciato dall'usura, perché, pur avendo già più volte risarcito il debito, gli interessi continuavano a divorarsi il capitale di partenza. Se ora vedeva la luce, il foro e i volti dei concittadini, lo doveva all'intervento generoso di Marco Manlio. Da lui aveva anche sperimentato tutto il bene che può provenire dai genitori, a lui consacrava quanto gli restava di forza, di vita e di sangue. Tutti i vincoli che lo legavano alla patria e agli dèi Penati pubblici e privati, ora lo avrebbero legato a un uomo solo. Infiammati da queste parole, i plebei pendevano dalle labbra di un unico individuo, quand'ecco che Manlio tirò fuori un'altra iniziativa studiata in maniera ancora più mirata al fine di creare disordine generale. Mise infatti all'asta un fondo che egli possedeva nella zona di Veio e che rappresentava la parte più consistente del suo patrimonio. Accompagnò il gesto con questa frase: "Perché io non debba vedere che qualcuno di voi, o Quiriti, finché mi resti qualcosa di mio, sia condannato come debitore insolvente e ridotto alla condizione di schiavo!". Queste parole infiammarono gli animi a tal punto da sembrare evidente che essi avrebbero seguito il difensore della loro libertà in qualunque impresa, lecita o illecita che fosse. Al di là di questo, Manlio teneva a casa sua dei discorsi molto simili a comizi politici, pieni di accuse ai danni dei patrizi. Tra l'altro, senza però curarsi minimamente se si trattasse di affermazioni vere o false, egli insinuò il sospetto che i patrizi tenessero nascosto l'oro dei Galli e che non contenti di possedere l'agro pubblico, miravano a utilizzare a loro profitto il denaro delle casse statali. Se la cosa fosse venuta alla luce, con quel denaro si sarebbe potuta affrancare la plebe dai debiti contratti. Non appena venne fatta balenare questa speranza, sembrò una vera vergogna il fatto che, quando si era dovuto raccogliere oro per riscattare Roma presso i Galli, lo si fosse messo insieme imponendo un tributo a tutti. E adesso quell'oro, una volta sottratto ai nemici, era diventato preda di pochi. Per questo essi non smettevano di chiedere dove fosse nascosta una così grande refurtiva. Ma siccome Manlio rimandava sempre e diceva che l'avrebbe rivelato a tempo debito, i patrizi lasciando da parte ogni altro pensiero, la gente era concentrata esclusivamente su quella questione, ed era evidente che, a seconda della fondatezza o meno della sua accusa, Manlio si sarebbe guadagnato enorme riconoscenza o non minore risentimento.

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