Versione originale in latino
Haec inter seniores morti destinatos iactata solacia. Versae inde adhortationes ad agmen iuvenum quos in Capitolium atque in arcem prosequebantur, commendantes virtuti eorum iuventaeque urbis per trecentos sexaginta annos omnibus bellis victricis quaecumque reliqua esset fortuna. Digredientibus qui spem omnem atque opem secum ferebant ab iis qui captae urbis non superesse statuerant exitio, cum ipsa res speciesque miserabilis erat, tum muliebris fletus et concursatio incerta nunc hos, nunc illos sequentium rogitantiumque viros natosque cui se fato darent, nihil quod humani superesset mali relinquebant. Magna pars tamen earum in arcem suos persecutae sunt, nec prohibente ullo nec vocante, quia quod utile obsessis ad minuendam imbellem multitudinem, id parum humanum erat. Alia maxime plebis turba, quam nec capere tam exiguus collis nec alere in tanta inopia frumenti poterat, ex urbe effusa velut agmine iam uno petiit Ianiculum. Inde pars per agros dilapsi, pars urbes petunt finitimas, sine ullo duce aut consensu, suam quisque spem, sua consilia communibus deploratis exsequentes. Flamen interim Quirinalis virginesque Vestales omissa rerum suarum cura, quae sacrorum secum ferenda, quae quia vires ad omnia ferenda deerant relinquenda essent consultantes, quisve ea locus fideli adservaturus custodia esset, optimum ducunt condita in doliolis sacello proximo aedibus flaminis Quirinalis, ubi nunc despui religio est, defodere; cetera inter se onere partito ferunt via quae sublicio ponte ducit ad Ianiculum. In eo clivo eas cum L. Albinius de plebe Romana homo conspexisset plaustro coniugem ad liberos vehens inter ceteram turbam quae inutilis bello urbe excedebat, salvo etiam tum discrimine divinarum humanarumque rerum religiosum ratus sacerdotes publicas sacraque populi Romani pedibus ire ferrique, se ac suos in vehiculo conspici, descendere uxorem ac pueros iussit, virgines sacraque in plaustrum imposuit et Caere quo iter sacerdotibus erat pervexit.
Traduzione all'italiano
Così gli anziani destinati a morire cercavano di consolarsi gli uni con gli altri. Ma poi, rivolgendo le loro esortazioni alla schiera di giovani che accompagnavano al Campidoglio e nella rocca, affidarono al valore e alla vigoria giovanile di quei ragazzi qualsiasi residuo di buona sorte riservato ancora a una città che nell'arco di trecento sessant'anni era uscita vincitrice da ogni guerra combattuta. Il distacco tra chi portava con sé ogni speranza di aiuto e chi invece aveva spontaneamente deciso di non sopravvivere al crollo della città, era già di per sé uno spettacolo miserando: il pianto delle donne, poi, e il loro correre disordinato dietro ora a questi ora a quelli domandando a figli e a mariti a quale destino le stessero abbandonando aggiunse l'ultimo tocco a quel quadro completo di umana sventura. Ciò non ostante, molte di esse seguirono i propri congiunti fin nella cittadella, senza che nessuno le incoraggiasse o impedisse loro di farlo perché ciò che avrebbe aiutato gli assediati a ridurre il numero dei non combattenti sarebbe stato nello stesso tempo un gesto inumano. Un'altra massa di persone - composta per lo più da plebei -, non potendo trovare posto nell'area tanto ridotta del colle e non potendo essere sfamata in quel regime di così grave penuria alimentare, sciamò disordinatamente fuori dalla città e, dopo aver formato una sorta di linea continua, si incamminò verso il Gianicolo. Di lì parte si disperse per le campagne, mentre parte riparò nelle città dei dintorni, senza un capo o un piano concertato: ognuno seguiva le proprie speranze e i propri progetti disperando della sorte comune. Nel frattempo il flamine di Quirino e le vergini Vestali, dimentichi delle proprie cose, si consultarono su quali oggetti sacri fossero da portar via, quali fossero invece da abbandonare (non avendo essi materialmente le energie necessarie per prendere ogni cosa), e in che luogo quegli oggetti sarebbero stati più al sicuro. Alla fine decisero che la soluzione migliore fosse quella di metterli dentro a piccole botti da sotterrare poi nel santuario accanto all'abitazione del flamine di Quirino, là dove oggi è considerato sacrilegio sputare. Il resto degli oggetti, dividendosene il carico, li portarono via per la strada che conduce dal ponte Sublicio al Gianicolo. Le vi de mentre salivano il colle un plebeo di nome Lucio Albinio il quale stava portando via da Roma su un carro la moglie e i figli in mezzo alla massa che lasciava la città perché inutile alla causa della guerra. E siccome quell'individuo - osservando la distinzione tra le cose divine e umane anche nel pieno della tragica situazione -, riteneva fosse un sacrilegio che le sacerdotesse di Stato andassero a piedi portando i sacri arredi del popolo romano mentre lui e i suoi se ne stavano sul carro sotto gli occhi di tutti, ordinò a moglie e figli di scendere e dopo aver fatto salire le vergini con gli oggetti sacri le accompagnò fino a Cere, dove le sacerdotesse erano dirette.