Versione originale in latino
Cum spes maior imperatoribus Romanis in obsidione quam in oppugnatione esset, hibernacula etiam, res nova militi Romano, aedificari coepta, consiliumque erat hiemando continuare bellum. Quod postquam tribunis plebis, iam diu nullam novandi res causam invenientibus, Romam est allatum, in contionem prosiliunt, sollicitant plebis animos, hoc illud esse dictitantes quod aera militibus sint constituta; nec se fefellisse id donum inimicorum veneno inlitum fore. Venisse libertatem plebis; remotam in perpetuum et ablegatam ab urbe et ab re publica iuventutem iam ne hiemi quidem aut tempori anni cedere ac domos ac res invisere suas. Quam putarent continuatae militiae causam esse? Nullam profecto aliam inventuros quam ne quid per frequentiam iuvenum eorum in quibus vires omnes plebis essent agi de commodis eorum posset. Vexari praeterea et subigi multo acrius quam Veientes; quippe illos hiemem sub tectis suis agere, egregiis muris situque naturali urbem tutantes, militem Romanum in opere ac labore, nivibus pruinisque obrutum, sub pellibus durare, ne hiemis quidem spatio quae omnium bellorum terra marique sit quies arma deponentem. Hoc neque reges neque ante tribuniciam potestatem creatam superbos illos consules neque triste dictatoris imperium neque importunos decemviros iniunxisse servitutis, ut perennem militiam facerent [quod tribuni militum in plebe Romana regnum exercerent]. Quidnam illi consules dictatoresve facturi essent, qui proconsularem imaginem tam saevam ac trucem fecerint? Sed id accidere haud immerito. Non fuisse ne in octo quidem tribunis militum locum ulli plebeio. Antea trina loca cum contentione summa patricios explere solitos: nunc iam octoiuges ad imperia obtinenda ire, et ne in turba quidem haerere plebeium quemquam qui, si nihil aliud, admoneat collegas, liberos et cives eorum, non servos militare, quos hieme saltem in domos ac tecta reduci oporteat et aliquo tempore anni parentes liberosque ac coniuges invisere et usurpare libertatem et creare magistratus. Haec taliaque vociferantes adversarium haud imparem nacti sunt Ap. Claudium, relictum a collegis ad tribunicias seditiones comprimendas, virum imbutum iam ab iuventa certaminibus plebeiis, quem auctorem aliquot annis ante fuisse memoratum est per collegarum intercessionem tribuniciae potestatis dissolvendae.
Traduzione all'italiano
Siccome i comandanti romani riponevano maggiori speranze di successo nell'assedio piuttosto che nell'assalto, venne iniziata la costruzione addirittura di baraccamenti invernali (cosa del tutto ignota ai soldati romani), e si decise di continuare la guerra rimanendo nei quartieri invernali. Quando la notizia arrivò a Roma alle orecchie dei tribuni della plebe - i quali ormai da tempo non avevano più alcuna occasione per suscitare disordini -, si precipitano nell'assemblea e iniziano a sobillare gli animi della massa, continuando a ripetere che era quello il motivo per il quale si era assegnato uno stipendio ai soldati, e che essi non si erano sbagliati pensando che quel dono dei loro avversari si sarebbe intinto di veleno. Era stata messa in vendita la libertà della plebe: i giovani, tenuti in continuazione lontani dalla città ed esclusi dalla partecipazione alla vita politica, ormai non si ritiravano più nemmeno di fronte all'inverno e alla cattiva stagione, né tornavano a vedere le proprie abitazioni e i propri averi. Quale pensavano fosse la causa di un servizio militare che durava all'infinito? Certo non ne avrebbero trovata nessun'altra al di fuori di questa: e cioè per evitare che si discutessero, grazie alla massiccia presenza di quei giovani nei quali erano riposte tutte le forze della plebe, le questioni relative ai loro interessi. Inoltre essi subivano un trattamento ben peggiore di quello riservato ai Veienti: mentre infatti questi ultimi trascorrevano l'inverno al riparo delle loro case, difendendo una città protetta da mura formidabili e dalla posizione naturale, i soldati romani, oppressi dalla neve e dal gelo, dovevano resistere nella faticosa costruzione di fortificazioni, riparandosi sotto tende fatte di pelli, senza deporre le armi neppure in quella fase dell'anno - e cioè l'inverno - che costituisce un'interruzione naturale a tutte le guerre per terra e per mare. Una schiavitù come quella che li costringeva a prestare servizio militare tutto l'anno non avevano osato imporla né i re, né quei consoli arroganti che avevano preceduto la creazione del tribunato, né l'odioso potere del dittatore, né tantomeno la crudeltà dei decemviri. Il fatto era che i tribuni militari tiranneggiavano la plebe romana. Che cosa avrebbero mai potuto fare in qualità di consoli o di dittatori, quegli individui che avevano reso tanto odiosa e crudele una semplice parvenza di potere consolare? Ma tutto ciò accadeva non certo senza ragione: nemmeno su otto tribuni della plebe si era trovato spazio per un plebeo. Prima i patrizi riuscivano di solito a occupare tre posti con estrema fatica: adesso salivano al potere a colpi di otto per volta e neppure in quella folla aveva trovato posto un qualche plebeo che, se non altro, ricordasse ai colleghi che a prestare servizio militare non erano degli schiavi ma degli uomini liberi loro concittadini, che almeno in pieno inverno era doveroso far rientrare nelle rispettive case e dimore, permettendo loro - in un certo periodo dell'anno - di tornare a rivedere genitori, figli e consorti, di godere della propria libertà e di eleggere i magistrati. Mentre protestavano urlando queste cose, i tribuni trovarono in Appio Claudio, lasciato dai colleghi in città con il compito di reprimere i disordini causati dai tribuni, un avversario alla loro altezza. Cresciuto nell'abitudine allo scontro diretto con i plebei, Appio era un uomo che alcuni anni prima - come è stato da me ricordato - aveva escogitato l'idea di piegare il potere dei tribuni ricorrendo al veto dei loro colleghi.