Versione originale in latino
Creati consules sunt C. Sempronius Atratinus Q. Fabius Vibulanus. Peregrina res, sed memoria digna traditur eo anno facta, volturnum, Etruscorum urbem, quae nunc Capua est, ab Samnitibus captam, Capuamque ab duce eorum Capye vel, quod propius vero est, a campestri agro appellatam. Cepere autem, prius bello fatigatis Etruscis, in societatem urbis agrorumque accepti, deinde festo die graves somno epulisque incolas veteres novi coloni nocturna caede adorti. His rebus actis, consules ii, quos diximus, idibus Decembribus magistratum occepere. Iam non solum qui ad id missi erant rettulerant imminere Volscum bellum, sed legati quoque ab Latinis et Hernicis nuntiabant non ante unquam Volscos nec ducibus legendis nec exercitui scribendo intentiores fuisse; volgo fremere aut in perpetuum arma bellumque oblivioni danda iugumque accipiendum, aut iis cum quibus de imperio certetur, nec virtute nec patientia nec disciplina rei militaris cedendum esse. Haud vana attulere; sed nec perinde patres moti sunt, et C. Sempronius cui ea provincia sorti evenit tamquam constantissimae rei fortunae fretus, quod victoris populi adversus victos dux esset omnia temere ac neglegenter egit, adeo ut disciplinae Romanae plus in Volsco exercitu quam in Romano esset. Ergo fortuna, ut saepe alias, virtutem est secuta. Primo proelio, quod ab Sempronio incaute inconsulteque commissum est, non subsidiis firmata acie, non equite apte locato concursum est. Clamor indicium primum fuit quo res inclinatura esset, excitatior crebriorque ab hoste sublatus: ab Romanis dissonus, impar, segnius saepe iteratus prodidit pavorem animorum. Eo ferocior inlatus hostis urgere scutis, micare gladiis. Altera ex parte nutant circumspectantibus galeae, et incerti trepidant applicantque se turbae; signa nunc resistentia deseruntur ab antesignanis, nunc inter suos manipulos recipiuntur. Nondum fuga certa, nondum victoria erat; tegi magis Romanus quam pugnare; Volscus inferre signa, urgere aciem, plus caedis hostium videre quam fugae.
Traduzione all'italiano
Furono eletti consoli Gaio Sempronio Atratino e Quinto Fabio Vibulano. In quell’anno, a quanto si dice, accadde un episodio che, pur riguardando un paese straniero, merita ugualmente di essere menzionato. Volturno, la città etrusca oggi nota come Capua, cadde in mano dei Sanniti e fu chiamata Capua dal loro comandante Capi o, com’è più probabile, dal terreno pianeggiante in cui si trova. I Sanniti la presero dopo esser stati in un primo tempo invitati dagli Etruschi, stremati dalla guerra, a dividere con loro i benefici della cittadinanza e la proprietà delle terre. Poi, nella notte successiva a un giorno di festa, i nuovi coloni assalirono i vecchi abitanti immersi nel sonno dopo le gozzoviglie, e li massacrarono. I consoli sopra menzionati entrarono in carica alle idi di dicembre, dopo che erano avvenuti questi fatti. Ormai, non soltanto gli uomini che erano stati inviati per informarsi erano già ritornati con la notizia che i Volsci erano sul piede di guerra, ma anche gli ambasciatori di Latini ed Ernici riferivano che mai i Volsci, prima di allora, si erano tanto impegnati nella scelta dei comandanti e nell’arruolamento di un esercito; la gente continuava a dire che bisognava o dimenticare una volta per tutte le armi e la guerra sottomettendosi al giogo nemico, oppure non essere inferiori per valore, resistenza e disciplina militare a coloro con i quali si era in lotta per la supremazia. Le informazioni rispondevano a verità, ma i patrizi non le tennero nella dovuta considerazione. E Gaio Sempronio, a cui era toccata in sorte quella provincia, confidando nella costanza della fortuna, giacché guidava un popolo di vincitori contro dei vinti, dimostrò una sconsideratezza e un’incuria tali che vi era più disciplina nell’esercito volsco che in quello romano. Come spesso in altre occasioni, al valore si accompagnò la fortuna. All’inizio della battaglia, affrontata da Sempronio con leggerezza e imprudenza, si andò all’attacco senza aver rinforzato lo schieramento con le riserve e senza aver disposto opportunamente la cavalleria. Il primo indizio sugli esiti della battaglia fu l’urlo di guerra che si levò forte e continuo dalla parte dei nemici, confuso, ineguale e ripetuto fiaccamente da parte dei Romani. L’esercito, con quell’incerto grido, tradì la paura degli animi. Perciò il nemico si buttò all’assalto con ancora più accanimento, premendo con gli scudi e facendo lampeggiare le spade. Dall’altra parte, ondeggiano gli elmi dei soldati che si guardano attorno, e, non sapendo cosa fare, si agitano, si accalcano nel fitto della schiera. Le insegne un po’ restano sul posto abbandonate dai soldati della prima fila, un po’ sono riportate nell’interno dei manipoli. Non era ancora una vera fuga, non era ancora una vittoria. I Romani, più che combattere, cercavano di proteggersi. I Volsci si buttavano all’assalto, premevano contro le truppe romane, ma vedevano più nemici morti che in fuga.