Versione originale in latino
In exercitu Romano cum duo consules essent potestate pari, quod saluberrimum in administratione magnarum rerum est, summa imperii concedente Agrippa penes collegam erat; et praelatus ille facilitati submittentis se comiter respondebat communicando consilia laudesque et aequando imparem sibi. In acie Quinctius dextrum cornu, Agrippa sinistrum tenuit; Sp. Postumio Albo legato datur media acies tuenda; legatum alterum P. Sulpicium equitibus praeficiunt. Pedites ab dextro cornu egregie pugnavere, haud segniter resistentibus Volscis. P. Sulpicius per mediam hostium aciem cum equitatu perrupit. Unde cum eadem reverti posset ad suos, priusquam hostis turbatos ordines reficeret terga impugnare hostium satius visum est; momentoque temporis in aversam incursando aciem ancipiti terrore dissipasset hostes, ni suo proprio eum proelio equites Volscorum et Aequorum exceptum aliquamdiu tenuissent. Ibi vero Sulpicius negare cunctandi tempus esse, circumventos interclusosque ab suis vociferans, ni equestre proelium conixi omni vi perficerent; nec fugare equitem integrum satis esse: conficerent equos virosque, ne quis reveheretur inde ad proelium aut integraret pugnam; non posse illos resistere sibi, quibus conferta peditum acies cessiset. Haud surdis auribus dicta. Impressione una totum equitatum fudere, magnam vim ex equis praecipitavere, ipsos equosque spiculis confodere. Is finis pugnae equestris fuit. Tunc adorti peditum aciem, nuntios ad consules rei gestae mittunt, ubi iam inclinabatur hostium acies. Nuntius deinde et vincentibus Romanis animos auxit et referentes gradum perculit Aequos. In media primum acie vinci coepti, qua permissus equitatus turbaverat ordines; sinistrum deinde cornu ab Quinctio consule pelli coeptum; in dextro plurimum laboris fuit. Ibi Agrippa, aetate viribusque ferox, cum omni parte pugnae melius rem geri quam apud se videret, arrepta signa ab signiferis ipse inferre, quaedam iacere etiam in confertos hostes coepit; cuius ignominiae metu concitati milites invasere hostem. Ita aequata ex omni parte victoria est. Nuntius tum a Quinctio venit victorem iam se imminere hostium castris; nolle inrumpere antequam sciat debellatum et in sinistro cornu esse: si iam fudisset hostes, conferret ad se signa, ut simul omnis exercitus praeda potiretur. Victor Agrippa cum mutua gratulatione ad victorem collegam castraque hostium venit. Ibi paucis defendentibus momentoque fusis, sine certamine in munitiones inrumpunt, praedaque ingenti compotem exercitum suis etiam rebus reciperatis quae populatione agrorum amissae erant reducunt. Triumphum nec ipsos postulasse nec delatum iis ab senatu accipio, nec traditur causa spreti aut non sperati honoris. Ego quantum in tanto intervallo temporum conicio, cum Valerio atque Horatio consulibus qui praeter Volscos et Aequos Sabini etiam belli perfecti gloriam pepererant negatus ab senatu triumphus esset, verecundiae fuit pro parte dimidia rerum consulibus petere triumphum, ne etiamsi impetrassent magis hominum ratio quam meritorum habita videretur.
Traduzione all'italiano
Benché nell'esercito romano i due consoli avessero la stessa autorità, tuttavia in quell'occasione Agrippa lasciò il comando supremo al collega, il che è molto utile quando si devono prendere decisioni di estrema importanza. E il prescelto Tito Quinzio ricambiò il generoso gesto comunicando al collega, che si era posto volontariamente in sottordine, i propri piani, e condividendone i meriti, e considerandolo a lui pari ancorché ormai inferiore di grado. Nello schieramento sul campo Quinzio tenne l'ala destra e Agrippa la sinistra. Al luogotenente Spurio Postumio Albo fu affidato il centro, a capo della cavalleria fu posto Publio Sulpicio, l'altro luogotenente. All'ala destra la fanteria si batté con estremo accanimento, ma la resistenza dei Volsci non fu da meno. Publio Sulpicio fece breccia con la cavalleria nel centro dello schieramento nemico. Avrebbe potuto rientrare nei ranghi dalla stessa parte e prima che il nemico avesse avuto il tempo di riformare le linee sconvolte: invece ritenne più opportuno prendere i Volsci alle spalle. Caricandoli da dietro avrebbe disperso in un attimo i nemici atterriti da due attacchi simultanei se i cavalieri dei Volsci e degli Equi, impegnandolo separatamente, non lo avessero contenuto per un po'. Ma in quell'istante Sulpicio gridò che non c'era più tempo da perdere e che sarebbero stati circondati e tagliati fuori dal resto dei compagni, se con tutte le loro forze non avessero concluso quello scontro tra cavallerie. Non sarebbe stato sufficiente mettere in fuga i nemici permettendo che ne uscissero incolumi: dovevano distruggere uomini e cavalli, in maniera tale che nessuno potesse rituffarsi nello scontro e dare nuovo vigore alla battaglia. I nemici non potevano certo tener loro testa, se prima la schiera compatta dei fanti aveva dovuto cedere al loro sfondamento. Non aveva parlato a sordi. Con un'unica carica i Romani sbaragliarono l'intera cavalleria nemica: dopo avere disarcionato moltissimi cavalieri, li trafissero insieme ai cavalli, servendosi delle lance. Fu questa la conclusione della battaglia equestre. Dopo essersi sùbito buttati all'assalto della fanteria, mandarono dei messaggeri ai consoli per riferir loro del successo ottenuto, mentre il fronte nemico già stava per cedere. La notizia aumentò l'ardire dei Romani che stavano avendo la meglio, e seminò lo scompiglio tra le fila degli Equi in ritirata. La loro rotta cominciò nel centro dello schieramento, nel punto in cui l'irruzione della cavalleria aveva sconvolto le linee. Poi però anche l'ala sinistra cominciò a cedere di fronte al console Quinzio. Sul versante destro lo sforzo fu tremendo. Qui il giovane e prestante Agrippa, vedendo che la battaglia ovunque aveva esiti migliori che dalla sua parte, strappò le insegne ai vessilliferi e cominciò a brandirle lui stesso, gettandone anche qualcuna tra le linee compatte dei nemici. Allora i suoi uomini, spinti dal timore della vergogna, si rovesciarono sugli avversari, e così la vittoria fu uguale in ogni settore. In quel momento arrivò da Quinzio la notizia che egli, ormai vincitore, stava già minacciando l'accampamento nemico, ma non voleva assaltarlo prima di aver ricevuto la notizia che anche all'ala sinistra le cose erano finite per il meglio. Se Agrippa aveva già sbaragliato i nemici, allora che andasse ad unire le truppe alle sue, perché nel medesimo momento l'intero esercito potesse mettere le mani sul bottino. E il vittorioso Agrippa raggiunse il collega vittorioso di fronte all'accampamento nemico e lì ci fu uno scambio di congratulazioni. Messi in fuga in un baleno i pochi rimasti a presidiare il campo, i due consoli senza far uso delle armi irrompono nelle trincee e riconducono in patria l'esercito carico di un ingente bottino, e che inoltre aveva recuperato i propri beni andati perduti durante il saccheggio delle campagne. Da quanto sono riuscito ad appurare, né i consoli richiesero il trionfo né il senato lo decretò; non ci viene tramandato il motivo per il quale un simile riconoscimento fu dai vincitori disdegnato o non sperato. Per quanto posso arguire, dopo così tanto tempo, siccome il trionfo era stato negato dal senato ai consoli Valerio e Orazio i quali, oltre ad aver sconfitto Volsci ed Equi, si erano coperti di gloria anche nella guerra contro i Sabini, Agrippa e Quinzio si vergognarono di chiederlo per un'impresa ch'era metà di quella; se lo avessero ottenuto, poteva sembrare che si fosse tenuto conto più degli uomini che dei meriti.