Versione originale in latino
Itaque missi iuniores patrum in castra, quae tum in monte Vecilio erant, nuntiant decemviris ut omni ope ab seditione milites contineant. Ibi Verginius maiorem quam reliquerat in urbe motum excivit. Nam praeterquam quod agmine prope quadringentorum hominum veniens, qui ab urbe indignitate rei accensi comites ei se dederant, conspectus est, strictum etiam telum respersusque ipse cruore tota in se castra convertit. Et togae multifariam in castris visae maioris aliquanto quam erat speciem urbanae multitudinis fecerant. Quaerentibus quid rei esset, flens diu vocem non misit; tandem, ut iam ex trepidatione concurrentium turba constitit ac silentium fuit, ordine cuncta, ut gesta erant, exposuit. Supinas deinde tendens manus, commilitones appellans orabat ne quod scelus Ap. Claudi esset sibi attribuerent neu se ut parricidam liberum aversarentur. Sibi vitam filiae sua cariorem fuisse, si liberae ac pudicae vivere licitum fuisset: cum velut servam ad stuprum rapi videret, morte amitti melius ratum quam contumelia liberos, misericordia se in speciem crudelitatis lapsum; nec superstitem filiae futurum fuisse, nisi spem ulciscendae mortis eius in auxilio commilitonum habuisset. Illis quoque filias sorores coniugesque esse, nec cum filia sua libidinem Ap. Claudi exstinctam esse, sed quo impunitior sit eo effrenatiorem fore. Aliena calamitate documentum datum illis cavendae similis iniuriae. Quod ad se attineat, uxorem sibi fato ereptam, filiam, quia non ultra pudica victura fuerit, miseram sed honestam mortem occubuisse; non esse iam Appi libidini locum in domo sua: ab alia violentia eius eodem se animo suum corpus vindicaturum quo vindicaverit filiae: ceteri sibi ac liberis suis consulerent. Haec Verginio vociferanti succlamabat multitudo nec illius dolori nec suae libertati se defuturos. Et immixti turbae militum togati, eadem illa querendo docendoque quanto visa quam audita indigniora potuerint videri, simul profligatam iam rem nuntiando Romae esse, insecutis qui Appium prope interemptum in exsilium abisse dicerent, perpulerunt ut ad arma conclamaretur vellerentque signa et Romam proficiscerentur. Decemviri simul iis quae videbant iisque quae acta Romae audierant perturbati, alius in aliam partem castrorum ad sedandos motus discurrunt. Et leniter agentibus responsum non redditur: imperium si quis inhiberet, et viros et armatos se esse respondetur. Eunt agmine ad urbem et Aventinum insidunt, ut quisque occurrerat plebem ad repetendam libertatem creandosque tribunos plebis adhortantes. Alia vox nulla violenta audita est. Senatum Sp. Oppius habet. Nihil placet aspere agi; quippe ab ipsis datum locum seditioni esse. Mittuntur tres legati consulares, Sp. Tarpeius C. Iulius P. Sulpicius, qui quaererent senatus verbis cuius iussu castra deseruissent aut quid sibi vellent qui armati Aventinum obsedissent belloque averso ab hostibus patriam suam cepissent. Non defuit quod responderetur: deerat qui daret responsum, nullodum certo duce nec satis audentibus singulis invidiae se offerre. Id modo a multitudine conclamatum est ut L. Valerium et M. Horatium ad se mitterent: his se daturos responsum.
Traduzione all'italiano
Per questo motivo, vennero inviati all'accampamento, situato in quel momento sul monte Vecilio, alcuni giovani senatori, che avvertirono i decemviri di impedire a tutti i costi ai soldati di sollevarsi. Ma lì Verginio fece scoppiare disordini ben più gravi di quelli che aveva lasciato a Roma. Non solo era stato visto arrivare con una scorta di 400 uomini che, indignati per l'ingiustizia, si erano offerti di andare con lui, ma con il coltello ancora in mano e gli schizzi di sangue sul corpo, e questo aveva attirato l'attenzione dell'intero accampamento. E poi, la vista di toghe un po' in tutti i punti del campo aveva fatto apparire il numero di civili lì presenti molto più alto di quanto realmente non fosse. A chi gli domandava cosa fosse accaduto, Verginio per lungo tempo non riuscì a rispondere, soffocato com'era dal pianto. Ma alla fine, quando cessò lo scompiglio della folla che a poco a poco si era venuta radunando e ci fu silenzio, Verginio raccontò l'accaduto secondo l'ordine dei fatti. Poi, alzando le mani al cielo come se stesse pregando, e rivolgendosi ai commilitoni, li supplicò di non attribuire a lui il crimine, ma a Appio Claudio, e di non respingerlo alla stregua di chi aveva ammazzato i propri figli. La vita della figlia gli sarebbe stata più a cuore della sua, se la ragazza avesse avuto la possibilità di vivere libera e pura. Ma quando se l'era vista portar via come una schiava destinata allo stupro, pensando che fosse meglio esser privati dei figli dalla morte piuttosto che dall'oltraggio, la compassione lo aveva portato a commettere un atto in apparenza crudele. Non sarebbe però sopravvissuto alla figlia, se non avesse sperato di poterne vendicare la morte con l'aiuto dei commilitoni. Anche loro avevano figlie, sorelle e mogli: la libidine di Appio non si era certo spenta insieme con sua figlia, ma sarebbe divenuta più sfrenata se non fosse stato punito. La disgrazia toccata a un altro avvertiva ognuno di loro che stesse in guardia da un simile sopruso. Quanto poi a lui, la moglie gliel'aveva portata via il destino, mentre la figlia, visto che non avrebbe più potuto vivere conservando la castità, era andata incontro alla morte triste, ma onorata. Nella sua casa non c'era più posto per la libidine di Appio: da altre violenze di costui, avrebbe difeso la propria persona con lo stesso animo con cui aveva difeso la figlia. Che gli altri provvedessero quindi a se stessi e ai propri figli. Mentre Verginio urlava queste cose, la folla gridava che non avrebbe dimenticato il suo dolore, né mancato di difendere la propria libertà. E i civili, mescolati alla massa dei soldati, ripetevano le stesse cose, insistendo su quanto più indegni sarebbero loro parsi i fatti se, invece di sentirseli raccontare, li avessero visti coi propri occhi, e dicendo che a Roma i decemviri avevano ormai le ore contate. Ma nel frattempo l'arrivo di altri civili con la notizia che Appio aveva quasi perso la vita ed era andato in esilio indusse gli uomini a gridare "Alle armi", a prendere le insegne e a partire alla volta di Roma. I decemviri allora, turbati non solo da quello che avevano sotto gli occhi ma anche da quanto si riferiva fosse successo a Roma, cominciarono a girare per il campo - uno da una parte e uno dall'altra - nel tentativo di sedare i disordini appena scoppiati. A quelli di loro che agivano con cautela non si rispondeva. Se però qualcuno si azzardava a fare ricorso all'autorità, gli rispondevano che loro erano uomini e che erano armati. Marciano quindi i soldati inquadrati alla volta di Roma e prendono possesso dell'Aventino, esortando ogni plebeo che incontravano a riconquistare la libertà e a rieleggere i tribuni della plebe. Non si udì in giro nessun'altra proposta violenta. Spurio Oppio convoca il senato. Si decide di non usare alcun rigore, dato che i responsabili della sommossa erano proprio loro. Tre ex-consoli - Spurio Tarpeio, Gaio Giulio e Publio Sulpicio - vengono inviati a chiedere a nome del senato per ordine di chi avessero lasciato l'accampamento, e che cosa si prefiggessero occupando l'Aventino con le armi e abbandonando la guerra contro il nemico per catturare la propria patria. Le risposte non mancavano di certo: quel che mancava era chi avesse il cómpito di darle, visto che non esisteva ancora un capo vero e proprio e i singoli non osavano esporsi a possibili rappresaglie. Ma dalla folla si alzò un grido unanime: che fossero mandati Marco Orazio e Lucio Valerio; a loro avrebbero dato le loro risposte.