Versione originale in latino
Anno trecentensimo altero quam condita Roma erat iterum mutatur forma civitatis, ab consulibus ad decemviros, quemadmodum ab regibus ante ad consules venerat, translato imperio. Minus insignis, quia non diuturna, mutatio fuit. Laeta enim principia magistratus eius nimis luxuriavere; eo citius lapsa res est repetitumque duobus uti mandaretur consulum nomen imperiumque. Decemviri creati Ap. Claudius, T. Genucius, P. Sestius, L. Veturius, C. Iulius, A. Manlius, P. Sulpicius, P. Curiatius, T. Romilius, Sp. Postumius. Claudio et Genucio, quia designati consules in eum annum fuerant, pro honore honos redditus, et Sestio, alteri consulum prioris anni, quod eam rem collega invito ad patres rettulerat. His proximi habiti legati tres qui Athenas ierant, simul ut pro legatione tam longinqua praemio esset honos, simul peritos legum peregrinarum ad condenda nova iura usui fore credebant. Supplevere ceteri numerum. Graves quoque aetate electos novissimis suffragiis ferunt, quo minus ferociter aliorum scitis adversarentur. Regimen totius magistratus penes Appium erat favore plebis, adeoque novum sibi ingenium induerat ut plebicola repente omnisque aurae popularis captator evaderet pro truci saevoque insectatore plebis. Decimo die ius populo singuli reddebant. Eo die penes praefectum iuris fasces duodecim erant: collegis novem singuli accensi apparebant. Et in unica concordia inter ipsos, qui consensus privatis interdum inutilis est, summa adversus alios aequitas erat. Moderationis eorum argumentum exemplo unius rei notasse satis erit. Cum sine provocatione creati essent, defosso cadavere domi apud P. Sestium, patriciae gentis virum, invento prolatoque in contionem, in re iuxta manifesta atque atroci C. Iulius decemvir diem Sestio dixit et accusator ad populum exstitit, cuius rei iudex legitimus erat, decessitque iure suo, ut demptum de vi magistratus populi libertati adiceret.
Traduzione all'italiano
L'anno 302 dalla fondazione segnò per Roma una nuova trasformazione dell'assetto costituzionale: il potere supremo passò dai consoli ai decemviri, così come in precedenza era passato dai re ai consoli. Non si trattò di un cambiamento particolarmente significativo perché fu di breve durata. Dopo un felice inizio tale magistratura conobbe degli eccessi e, di conseguenza, l'innovazione tramontò rapidamente, ripristinando così l'uso di affidare a due uomini il titolo e l'autorità di consoli. Decemviri furono eletti Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Tito Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio Sulpicio, Publio Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio. A Claudio e a Genucio, dato che erano stati eletti consoli per quell'anno, la carica venne assegnata come compensazione dell'altra. Sestio, uno dei consoli dell'anno precedente, ebbe invece la nomina per aver portato l'iniziativa di fronte al senato nonostante l'opposizione del collega. Accanto a essi ebbero il privilegio di questa magistratura i tre senatori inviati ad Atene: la loro nomina non era soltanto il riconoscimento per una missione in terre tanto lontane, ma anche la garanzia che l'approfondimento delle leggi straniere maturato laggiù sarebbe stato di grande utilità nell'elaborazione di un nuovo sistema giuridico. Gli altri quattro eletti servirono a completare il numero. Si dice che le ultime nomine vennero affidate a uomini piuttosto anziani perché si opponessero con meno energia alle misure proposte dagli altri. Grazie al favore della plebe, il collegio dei decemviri era praticamente guidato da Appio: egli aveva mutato il suo carattere così nettamente che, dopo un passato da violento e inflessibile avversatore del popolo, da un giorno all'altro divenne un fedele amico della plebe, attentissimo a captarne gli alterni umori. A turno, ogni dieci giorni, ciascun magistrato amministrava la giustizia di fronte al popolo: in quel giorno, chi presiedeva la corte aveva diritto ai dodici fasci, mentre a ciascuno dei suoi nove colleghi toccava un unico messo. Dalla singolare armonia tra loro - accordo che talvolta non è di alcuna utilità per i privati cittadini - derivava la loro estrema equità nei confronti degli altri. A riprova di questa moderazione, sarà sufficiente citare un unico esempio. Pur essendo stati eletti a una magistratura che non prevedeva diritto d'appello, quando venne rinvenuto e portato di fronte all'assemblea un cadavere sepolto nella casa di Lucio Sestio, un patrizio, data l'atrocità manifesta della cosa, il decemviro Gaio Giulio citò Sestio in giudizio, accusandolo di fronte al popolo di un reato di cui era giudice legittimo, e rinunciò così a un suo diritto, che egli tolse al potere del magistrato per accrescere la libertà del popolo.