Mika
di Mika
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Versione originale in latino


Parte altera pugnae Paulus, quamquam primo statim proelio funda graviter ictus fuerat, tamen et occurrit saepe cum confertis Hannibali et aliquot locis proelium restituit, protegentibus eum equitibus Romanis, omissis postremo equis, quia consulem et ad regendum equum vires deficiebant. Tum denuntianti cuidam iussisse consulem ad pedes descendere equites dixisse Hannibalem ferunt: "quam mallem, vinctos mihi traderet". Equitum pedestre proelium, quale iam haud dubia hostium victoria, fuit, cum victi mori in vestigio mallent quam fugere, victores morantibus victoriam irati trucidarent quos pellere non poterant.
Pepulerunt tamen iam paucos superantes et labore ac volneribus fessos. Inde dissipati omnes sunt, equosque ad fugam qui poterant repetebant. Cn. Lentulus tribunus militum cum praetervehens equo sedentem in saxo cruore oppletum consulem vidisset, "L. Aemili" inquit, "quem unum insontem culpae cladis hodiernae dei respicere debent, cape hunc equum, dum et tibi virium aliquid superest [et] comes ego te tollere possum ac protegere. Ne funestam hanc pugnam morte consulis feceris; etiam sine hoc lacrimarum satis luctusque est". Ad ea consul: "tu quidem, Cn. Corneli, macte virtute esto; sed cave, frustra miserando exiguum tempus e manibus hostium evadendi absumas. Abi, nuntia publice patribus urbem Romanam muniant ac priusquam victor hostis adveniat praesidiis firment; privatim Q. Fabio L. Aemilium praeceptorum eius memorem et vixisse [et] adhuc et mori. Me in hac strage militum meorum patere exspirare, ne aut reus iterum e consulatu sim [aut] accusator collegae exsistam ut alieno crimine innocentiam meam protegam." Haec eos agentes prius turba fugientium civium, deinde hostes oppressere; consulem ignorantes quis esset obruere telis, Lentulum in tumultu abripuit equus. Tum undique effuse fugiunt. Septem milia hominum in minora castra, decem in maiora, duo ferme in vicum ipsum Cannas perfugerunt, qui extemplo a Carthalone atque equitibus nullo munimento tegente vicum circumventi sunt. Consul alter, seu forte seu consilio nulli fugientium insertus agmini, cum quinquaginta fere equitibus Venusiam perfugit. Quadraginta quinque milia quingenti pedites, duo milia septingenti equites, et tantadem prope civium sociorumque pars, caesi dicuntur; in his ambo consulum quaestores, L. Atilius et L. Furius Bibaculus, et undetriginta tribuni militum, consulares quidam praetoriique et aedilicii - inter eos Cn. Servilium Geminum et M. Minucium numerant, qui magister equitum priore anno, [consul] aliquot annis ante fuerat - octoginta praeterea aut senatores aut qui eos magistratus gessissent unde in senatum legi deberent cum sua voluntate milites in legionibus facti essent. Capta eo proelio tria milia peditum et equites mille et quingenti dicuntur.

Traduzione all'italiano


Dall'altra parte del campo di battaglia Paolo, sebbene subito al primo combattimento fosse stato gravemente ferito da un giavellotto, tuttavia spesso andò incontro ad Annibale con una folta schiera di soldati e salvò le sorti del combattimento in parecchi luoghi, proteggendolo i cavalieri romani, lasciati infine i cavalli, poiché al console mancavano le forze persino per dirigere il cavallo. Allora a un tale che annunciava che il console aveva ordinato ai cavalieri di scendere a piedi, narrano che Annibale abbia detto: "Come avrei preferito, che me li avesse consegnati legati!" Il combattimento a piedi dei cavalieri fu senza dubbio la vittoria dei nemici, preferendo i vinti morire al loro posto piuttosto che fuggire, trucidando i vincitori quelli che non potevano mettere in fuga, irati con chi ritardava la vittoria. Tuttavia misero in fuga i pochi superstiti spossati dalla fatica e dalle ferite. Quindi tutti furono sbaragliati, e quelli che potevano rivolgevano i cavalli alla fuga. Il tribuno dei soldati Gneo Lentulo che passava a cavallo, avendo visto il console pieno di sangue che sedeva su un sasso, disse: "Lucio Emilio, di cui, solo innocente della responsabilità del presente disastro, gli dei devono aver riguardo, prendi questo cavallo, finché ti resta ancora qualche forza, ed io come compagno posso ancora sollevarti e proteggerti. Non rendere funesta questa battaglia con la morte del console: anche senza ciò ci sono abbastanza lacrime e lutto". A queste parole il console: "Senza dubbio, Gneo Cornelio, gloria a te per la tua virtù; ma bada a sprecare poco tempo con l'avere invano compassione per sfuggire alla cattura dei nemici. Va via, ordina pubblicamente ai senatori, che fortifichino la città di Roma e, prima che giunga il nemico vittorioso, rinforzino i presidii, privatamente (dì) a Quinto Fabio che Lucio Emilio, memore dei suoi precetti, è vissuto finora ed è morto. Tollera che in questa strage dei miei soldati proprio io muoia, affinché io non sia né di nuovo colpevole allo scadere del consolato, né io divenga accusatore del (mio) collega, affinché io protegga la mia innocenza da una colpa altrui". Schiacciarono quelli che dicevano queste cose prima una folla di cittadini che fuggivano, poi i nemici: seppellirono con i dardi il console il console, ignorando chi fosse, nel tumulto trascinò via Lentulo. Allora fuggirono disordinatamente da tutte le parti settemila uomini nell'accampamento minore, diecimila in quello maggiore, duemila fuggirono quasi nello stesso luogo di Canne, i quali subito furono circondati da Cartalone e dai cavalieri, non proteggendo il luogo nessuna fortificazione. L'altro console, o per caso o mescolatosi alla turba dei fuggitivi senza alcuna intenzione, con quasi cinquanta cavalieri si rifugiò a Venosa. Quarantacinquemilacinquecento fanti, duemilasettecento cavalieri, e una tanto grande parte all'incirca di cittadini e di alleati, si dice che siano stati uccisi; tra questi entrambi i questori dei consoli, Lucio Attilio e Lucio Furio Bibaculo, e ventinove tribuni dei soldati, certi ex consoli e pretori ed edili - tra questi contano Gneo Servilio Gemino e Marco Minucio, che era stato maestro della cavalleria l'anno prima, console alcuni anni prima - inoltre ottanta o senatori o quelli che avevano esercitato quelle magistrature, per le quali dovevano essere scelti per il senato ed erano divenuti per loro volontà soldati nelle legioni. Si dice che in quella battaglia furono presi prigionieri tremila fanti e millecinquecento cavalieri.

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