Pillaus
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Versione originale in latino


Nihil eorum Volsci nesciebant, instabantque eo magis, sperantes idem certamen animorum adversus Appium habiturum exercitum Romanum quod adversus Fabium consulem habuisset. Ceterum multo Appio quam Fabio violentior fuit; non enim vincere tantum noluit, ut Fabianus exercitus, sed vinci voluit. Productus in aciem turpi fuga petit castra, nec ante restitit quam signa inferentem Volscum munimentis vidit foedamque extremi agminis caedem. Tum expressa vis ad pugnandum, ut victor iam a vallo submoveretur hostis, satis tamen appareret capi tantum castra militem Romanum noluisse, alioqui gaudere sua clade atque ignominia. Quibus nihil infractus ferox Appi animus cum insuper saevire vellet contionemque advocaret, concurrunt ad eum legati tribunique, monentes ne utique experiri vellet imperium, cuius vis omnis in consensu oboedientium esset; negare volgo milites se ad contionem ituros passimque exaudiri voces postulantium ut castra ex Volsco agro moveantur; hostem victorem paulo ante prope in portis ac vallo fuisse, ingentisque mali non suspicionem modo sed apertam speciem obversari ante oculos. Victus tandem, quando quidem nihil praeter tempus noxae lucrarentur, remissa contione iter in insequentem diem pronuntiari cum iussisset, prima luce classico signum profectionis dedit. Cum maxime agmen e castris explicaretur, Volsci, ut eodem signo excitati, novissimos adoriuntur. A quibus perlatus ad primos tumultus eo pavore signaque et ordines turbavit ut neque imperia exaudiri neque instrui acies posset. Nemo ullius nisi fugae memor. Ita effuso agmine per stragem corporum armorumque evasere ut prius hostis desisteret sequi quam Romanus fugere. Tandem conlectis ex dissipato cursu militibus consul, cum revocando nequiquam suos persecutus esset, in pacato agro castra posuit; advocataque contione invectus haud falso in proditorem exercitum militaris disciplinae, desertorem signorum, ubi signa, ubi arma essent singulos rogitans, inermes milites, signo amisso signiferos, ad hoc centuriones duplicariosque qui reliquerant ordines, virgis caesos securi percussit: cetera multitudo sorte decimus quisque ad supplicium lecti.

Traduzione all'italiano


I Volsci, al corrente di tutti questi aspetti, aumentarono così la pressione sperando che l’esercito romano manifestasse nei confronti di Appio la stessa disposizione all’ammutinamento mostrata nei confronti del console Fabio. Ma gli uomini furono molto più duri con Appio che con Fabio. Infatti non si limitarono, come nel caso di quest’ultimo, a non volere la vittoria, bensì desiderarono la sconfitta. Una volta schierati in ordine di battaglia, riguadagnarono l’accampamento con una vergognosa fuga e si fermarono soltanto quando videro i Volsci lanciarsi all’attacco delle loro fortificazioni e seminare la morte nella retroguardia. Fu allora che i soldati romani, respingendo a viva forza dalla trincea il nemico già vincitore, dimostrarono che la sola cosa che stesse loro veramente a cuore era salvare l’accampamento, ma per il resto salutarono con entusiasmo la disfatta subita e la vergogna. Queste cose non scoraggiarono minimamente l’aggressività di Appio. Quando però decise di ricorrere a mezzi ancora più rigidi sul piano disciplinare e di convocare l’adunata, i suoi diretti subalterni e i tribuni accorsero a frotte da lui e gli consigliarono di non fare ricorso a un’autorità il cui fondamento risiedeva nel consenso di quelli che dovevano obbedire. Pare che i soldati non volessero comparire in adunata e qua e là si sentissero voci di chi reclamava l’evacuazione del territorio dei Volsci. Il nemico vincitore era poco tempo prima arrivato a due passi dagli ingressi e dalla trincea e un disastro di enormi proporzioni non era più soltanto un’ipotesi probabile ma una realtà concreta di fronte ai loro occhi. Alla fine cedette, ma la punizione dei colpevoli era soltanto rimandata; quindi, dopo aver sospeso l’adunata, diede ordine di mettersi in marcia il giorno successivo. Alle prime luci dell’alba, il trombettiere diede il segnale di partenza. Proprio quando la colonna stava uscendo dal campo, i Volsci, come svegliati di soprassalto da quello stesso segnale, piombarono sulle retrovie. Di qui il disordine si diffuse tra le prime linee; drappelli e compagnie erano in preda a un terrore tale che non era più possibile né sentire gli ordini né allinearsi. Il pensiero di tutti fu la fuga. ra mucchi di corpi e di armi abbandonate il fuggi-fuggi generale fu così disordinato che l’inseguimento dei nemici cessò prima della ritirata dei Romani. Quando al termine di quella rotta scomposta i soldati ritrovarono un assetto, il console, che li aveva seguiti tentando invano di richiamarli al proprio dovere, li fece accampare in una zona sicura. Poi, convocata l’adunata, se la prese - e non a torto - con la truppa per l’insubordinazione alla disciplina militare e per l’abbandono delle insegne. Rivolgendosi ai singoli uomini, domandava che fine avessero fatto le insegne e le armi. I soldati privi di armi, i signiferi che avevano perso l’insegna e inoltre i centurioni e i duplicari colpevoli di aver abbandonato la propria posizione furono fustigati e quindi decapitati. Quanto alla massa dei soldati semplici, uno su dieci fu estratto a sorte e giustiziato.

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