Versione originale in latino
Manat tota urbe rumor; Fabios ad caelum laudibus ferunt: familiam unam subisse civitatis onus; Veiens bellum in privatam curam, in privata arma versum. Si sint duae roboris eiusdem in urbe gentes, deposcant haec Volscos sibi, illa Aequos: populo Romano tranquillam pacem agente omnes finitimos subigi populos posse. Fabii postera die arma capiunt; quo iussi erant conveniunt. Consul paludatus egrediens in vestibulo gentem omnem suam instructo agmine videt; acceptus in medium signa ferri iubet. Nunquam exercitus neque minor numero neque clarior fama et admiratione hominum per urbem incessit. Sex et trecenti milites, omnes patricii, omnes unius gentis, quorum neminem ducem sperneres, egregius quibuslibet temporibus senatus, ibant, unius familiae viribus Veienti populo pestem minitantes. Sequebatur turba propria alia cognatorum sodaliumque, nihil medium, nec spem nec curam, sed immensa omnia volventium animo, alia publica sollicitudine excitata, favore et admiratione stupens. Ire fortes, ire felices iubent, inceptis eventus pares reddere; consulatus inde ac triumphos, omnia praemia ab se, omnes honores sperare. Praetereuntibus Capitolium arcemque et alia templa, quidquid deorum oculis, quidquid animo occurrit, precantur ut illud agmen faustum atque felix mittant, sospites brevi in patriam ad parentes restituant. In cassum missae preces. Infelici via, dextro iano portae Carmentalis, profecti ad Cremeram flumen perveniunt. Is opportunus visus locus communiendo praesidio. L. Aemilius inde et C. Servilius consules facti. Et donec nihil aliud quam in populationibus res fuit, non ad praesidium modo tutandum Fabii satis erant, sed tota regione qua Tuscus ager Romano adiacet, sua tuta omnia, infesta hostium, vagantes per utrumque finem, fecere. Intervallum deinde haud magnum populationibus fuit, dum et Veientes accito ex Etruria exercitu praesidium Cremerae oppugnant, et Romanae legiones ab L. Aemilio consule adductae cominus cum Etruscis dimicant acie; quamquam vix dirigendi aciem spatium Veientibus fuit; adeo inter primam trepidationem dum post signa ordines introeunt subsidiaque locant, invecta subito ab latere Romana equitum ala non pugnae modo incipiendae sed consistendi ademit locum. Ita fusi retro ad saxa Rubra - ibi castra habebant - , pacem supplices petunt. Cuius impetratae, ab insita animis levitate, ante deductum Cremera Romanum praesidium paenituit.
Traduzione all'italiano
La notizia fece il giro della città e i Fabi vennero portati alle stelle: una famiglia si era assunta da sola l’onere di sostenere lo Stato e la guerra contro i Veienti si era trasformata in una faccenda privata e combattuta con armi private. Se in città ci fossero state altre due famiglie così forti, una si sarebbe occupata dei Volsci e l’altra degli Equi e il popolo romano si sarebbe goduto beatamente la pace una volta sottomessi tutti i vicini. Il giorno successivo i Fabi si presentano all’appuntamento armati di tutto punto. Il console, uscito nel vestibolo in uniforme da guerra, vede schierati tutti i membri della sua famiglia e, postovisi a capo, dà ordine di mettersi in marcia. Per le vie di Roma non sfilò mai in passato nessun altro esercito meno numeroso ma nel contempo così acclamato e ammirato dalla gente. Trecentosei soldati, tutti patrizi, tutti della stessa famiglia, ciascuno dei quali più che degno di esserne al comando, e capaci insieme di formare, in qualsiasi momento, un’eccellente assemblea, avanzarono a passo di marcia minacciando l’esistenza del popolo di Veio con le forze di una sola famiglia. Li seguiva una folla in parte costituita da parenti e amici - gente straordinaria che volgeva l’animo non alla speranza o alla preoccupazione, ma solo a sentimenti sublimi - e in parte da gente qualunque spinta dall’ansia di partecipare e piena di entusiasmo e ammirazione. Tutti auguravano loro di essere sostenuti dal coraggio e dalla fortuna e di riportare un successo degno dell’impresa. E una volta di nuovo in patria, avrebbero potuto contare su consolati e trionfi, e su ogni forma di premio e riconoscimento. Quando passarono davanti al Campidoglio, alla cittadella e agli altri templi, supplicarono tutte le divinità che sfilavano davanti ai loro occhi, e quelle che venivano loro in mente, di accordare a quella schiera favore e fortuna e di restituirla intatta e in breve tempo alla patria e ai parenti. Ma vane furono le preghiere. Partiti lungo la Via Infelice e passati dall’arcata destra della porta Carmentale, arrivarono alla riva del torrnte Cremera, posizione che sembrò indicata per la costruzione di un campo fortificato. Dopo questi episodi furono eletti consoli Lucio Emilio e Caio Servilio. Finché si trattò soltanto di razzie, i Fabi non solo garantirono una sicura protezione al loro campo fortificato, ma in tutta l’area di confine tra la campagna romana e quella etrusca resero sicura la propria zona e, con continui sconfinamenti, crearono un clima di pericolo costante nel territorio nemico. Quindi le razzie cessarono per un breve tempo, finché i Veienti, reclutato un esercito in Etruria, attaccarono il presidio di Cremera e le legioni romane agli ordini del console Lucio Emilio li affrontarono in uno scontro all’arma bianca. A dir la verità, i Veienti ebbero così poco tempo per schierarsi in ordine di battaglia che, quando nel disordine delle manovre iniziali era in corso l’allineamento dietro le insegne e la collocazione dei riservisti al loro posto, la cavalleria romana li caricò all’improvviso sul fianco, togliendo loro la possibilità non solo di attaccare per primi, ma anche di mantenere la posizione. Respinti in fuga fino al loro accampamento a Saxa Rubra, implorarono la pace. Ma per la debolezza tipica del loro carattere, si pentirono di averla ottenuta prima che la guarnigione romana avesse evacuato il campo di Cremera.