Pillaus
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Versione originale in latino


Referentibus iam pedem ab ea parte Romanis, M. Valerius Publicolae frater, conspicatus ferocem iuvenem Tarquinium ostentantem se in prima exsulum acie, domestica etiam gloria accensus ut cuius familiae decus eiecti reges erant, eiusdem interfecti forent, subdit calcaria equo et Tarquinium infesto spiculo petit. Tarquinius retro in agmen suorum infenso cessit hosti: Valerium temere invectum in exsulum aciem ex transverso quidam adortus transfigit, nec quicquam equitis volnere equo retardato, moribundus Romanus labentibus super corpus armis ad terram defluxit.
Dictator Postumius postquam cecidisse talem virum, exsules ferociter citato agmine invehi, suos perculsos cedere animadvertit, cohorti suae, quam delectam manum praesidii causa circa se habebat, dat signum ut quem suorum fugientem viderint, pro hoste habeant. Ita metu ancipiti versi a fuga Romani in hostem et restituta acies. Cohors dictatoris tum primum proelium iniit; integris corporibus animisque fessos adorti exsules caedunt. Ibi alia inter proceres coorta pugna. Imperator Latinus, ubi cohortem exsulum a dictatore Romano prope circumventam vidit, ex subsidiariis manipulos aliquot in primam aciem secum rapit. Hos agmine venientes T. Herminius legatus conspicatus, interque eos insignem veste armisque Mamilium noscitans, tanto vi maiore quam paulo ante magister equitum cum hostium duce proelium iniit, ut et uno ictu transfixum per latus occiderit Mamilium et ipse inter spoliandum corpus hostis veruto percussus, cum victor in castra esset relatus, inter primam curationem exspiraverit. Tum ad equites dictator advolat, obtestans ut fesso iam pedite descendant ex equis et pugnam capessant. Dicto paruere; desiliunt ex equis, provolant in primum et pro antesignanis parmas obiciunt. Recipit extemplo animum pedestris acies, postquam iuventutis proceres aequato genere pugnae secum partem periculi sustinentes vidit. Tum demum impulsi Latini perculsaque inclinavit acies. Equiti admoti equi, ut persequi hostem posset; secuta et pedestris acies. Ibi nihil nec divinae nec humanae opis dictator praetermittens aedem Castori vovisse fertur ac pronuntiasse militi praemia, qui primus, qui secundus castra hostium intrasset; tantusque ardor fuit ut eodem impetu quo fuderant hostem Romani castra caperent. Hoc modo ad lacum Regillum pugnatum est. Dictator et magister equitum triumphantes in urbem rediere.

Traduzione all'italiano


Mentre i Romani da quella parte erano già in piena ritirata, Marco Valerio, fratello di Publicola, vide che il giovane Tarquinio si stava esponendo nelle prime file degli esuli; infiammato dalla gloria della sua famiglia, e volendo che dopo l’onore di aver cacciato i re le toccasse ora anche quello di averli uccisi, spronò il cavallo e con la lancia in resta piombò su Tarquinio. Questi, per evitare la carica forsennata dell’avversario, si ritirò in mezzo ai compagni. Mentre Valerio stava piombando a testa bassa contro il battaglione degli esuli, uno di essi lo centrò lateralmente passandolo da parte a parte. La ferita del cavaliere non rallentò l’impeto del cavallo e il giovane romano franò a terra in fin di vita coperto dalle armi. Quando il dittatore Postumio si rese conto di una simile perdita e vide che gli esuli stavano caricando con una foga inaudita mentre i suoi iniziavano a perdere terreno, ordinò alla sua coorte (un nucleo speciale di uomini che gli faceva da guardia del corpo) di trattare alla stregua di nemici chiunque avesse visto fuggire. La doppia paura distolse così i Romani dalla fuga e li respinse contro il nemico, risollevando le sorti della battaglia. La coorte del dittatore entrò solo allora nel vivo della mischia: fresca com’era di forze e col morale intatto, piombò sugli esuli ormai sfiancati e li fece a pezzi. In quel momento ci fu un altro scontro fra i capi. Il comandante latino, vedendo che il battaglione degli esuli stava per essere circondato dal dittatore romano, prese con sé alcuni manipoli della riserva e si lanciò in prima linea. Tito Erminio, il comandante in seconda, li vide arrivare e riconobbe in mezzo a loro Mamilio, inconfondibile per la tenuta e per le armi che portava. Attaccò così il generale avversario con molta più forza di quanto non avesse fatto prima il maestro di cavalleria e lo uccise con un colpo solo trapassandolo da parte a parte. Nell’attimo in cui stava spogliandone il cadavere, fu però anche lui colpito da un’asta nemica. Trasportato al campo da vincitore, morì mentre gli venivano somministrate le prime cure. Allora il dittatore, vedendo che i fanti erano sfiniti, vola in direzione dei cavalieri e li invita a smontare da cavallo e a gettarsi nella mischia. Obbediscono alla consegna: saltano a terra, si precipitano in prima linea e riparano gli antesignani coi loro scudi. Il morale dei fanti, vedendo che il meglio dei giovani nobili combatteva alla loro stregua e ne condivideva i rischi, riprende sùbito coraggio. Soltanto allora l’urto dei Latini fu contenuto e la loro linea di battaglia si disunì perdendo terreno. I cavalieri rimontarono in sella per lanciarsi all’inseguimento del nemico. La fanteria dietro. In quel momento, si narra che il dittatore, per non trascurare alcun aiuto divino o umano, dedicò un tempio a Castore e promise dei premi ai primi due soldati che fossero entrati nell’accampamento nemico. I Romani si lanciarono con una foga tale che con un unico assalto sbaragliarono il nemico e ne conquistarono il campo. Così andarono le cose al lago Regillo. Il dittatore e il maestro di cavalleria tornarono a Roma in trionfo.

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