Versione originale in latino
Vitelliis Aquiliisque fratribus primo commissa res est. Vitelliorum soror consuli nupta Bruto erat, iamque ex eo matrimonio adulescentes erant liberi, Titus Tiberiusque; eos quoque in societatem consilii avunculi adsumunt. Praeterea aliquot nobiles adulescentes conscii adsumpti, quorum vetustate memoria abiit. Interim cum in senatu vicisset sententia quae censebat reddenda bona, eamque ipsam causam morae in urbe haberent legati quod spatium ad vehicula comparanda a consulibus sumpsissent quibus regum asportarent res, omne id tempus cum coniuratis consultando absumunt, evincuntque instando ut litterae sibi ad Tarquinios darentur: nam aliter qui credituros eos non vana ab legatis super rebus tantis adferri? Datae litterae ut pignus fidei essent, manifestum facinus fecerunt. Nam cum pridie quam legati ad Tarquinios proficiscerentur cenatum forte apud Vitellios esset, coniuratique ibi, remotis arbitris, multa inter se de novo, ut fit, consilio egissent, sermonem eorum ex servis unus excepit, qui iam antea id senserat agi, sed eam occasionem, ut litterae legatis darentur quae deprehensae rem coarguere possent, exspectabat. Postquam datas sensit, rem ad consules detulit. Consules ad deprehendendos legatos coniuratosque profecti domo sine tumultu rem omnem oppressere; litterarum in primis habita cura ne interciderent. Proditoribus extemplo in vincla coniectis, de legatis paululum addubitatum est; et quamquam visi sunt commisisse ut hostium loco essent, ius tamen gentium valuit.
Traduzione all'italiano
I primi a essere messi al corrente del progetto furono i fratelli Vitelli e i fratelli Aquili. La sorella dei Vitelli aveva sposato il console Bruto e da quel matrimonio eran nati due figli, Tito e Tiberio, già piuttosto grandi. Gli zii coinvolsero anche loro nel complotto, oltre ad alcuni altri giovani nobili i cui nomi si son però persi col tempo. Dato che in senato avevano nel frattempo avuto la meglio quanti sostenevano la tesi della restituzione dei beni, gli inviati ebbero un pretesto in più per trattenersi a Roma in quanto i consoli gli concessero il tempo necessario per procurarsi i carri con cui portar via ciò che apparteneva alla famiglia reale. Trascorrono tutto questo tempo in conciliaboli con i congiurati e, a forza di insistere, ne ottengono una lettera da consegnare ai Tarquini (i quali altrimenti come avrebbero potuto fidarsi ciecamente dei loro inviati visto che si trattava di una questione così delicata?). Queste lettere, destinate a essere una garanzia di affidabilità, costituirono la prova concreta del complotto criminoso. Infatti, il giorno prima che gli inviati tornassero dai Tarquini, ci fu una cena, guarda caso, proprio dai Vitelli. Lì i congiurati, dopo aver congedato gli altri invitati (potenziali testimoni), chiacchierarono a lungo ovviamente sul recente progetto. I loro discorsi furono però intercettati da uno schiavo che aveva già prima subodorato quel che stava per succedere ma aspettava il momento della consegna delle lettere agli inviati per provare la fondatezza della sua accusa con l’intercettazione delle stesse. Quando vide che la consegna era avvenuta, andò a denunciarli ai consoli. Questi si precipitarono a casa dei Vitelli dove colsero in flagrante legati e congiurati e liquidarono la cosa senza troppo rumore, facendo attenzione soprattutto che non sparissero le lettere. I traditori furono arrestati immediatamente. Quanto invece ai legati, ci fu un attimo di esitazione: poi, pur ritenendo che meritassero un trattamento da nemici, prevalse il diritto delle genti.