Versione originale in latino
Brutus illis luctu occupatis cultrum ex volnere Lucretiae extractum, manantem cruore prae se tenens, "Per hunc" inquit "castissimum ante regiam iniuriam sanguinem iuro, vosque, di, testes facio me L. Tarquinium Superbum cum scelerata coniuge et omni liberorum stirpe ferro igni quacumque dehinc vi possim exsecuturum, nec illos nec alium quemquam regnare Romae passurum." Cultrum deinde Collatino tradit, inde Lucretio ac Valerio, stupentibus miraculo rei, unde novum in Bruti pectore ingenium. Ut praeceptum erat iurant; totique ab luctu versi in iram, Brutum iam inde ad expugnandum regnum vocantem sequuntur ducem.
Elatum domo Lucretiae corpus in forum deferunt, concientque miraculo, ut fit, rei novae atque indignitate homines. Pro se quisque scelus regium ac vim queruntur. Movet cum patris maestitia, tum Brutus castigator lacrimarum atque inertium querellarum auctorque quod viros, quod Romanos deceret, arma capiendi adversus hostilia ausos. Ferocissimus quisque iuvenum cum armis voluntarius adest; sequitur et cetera iuventus. Inde patre praeside relicto Collatiae [ad portas] custodibusque datis ne quis eum motum regibus nuntiaret, ceteri armati duce Bruto Romam profecti. Ubi eo ventum est, quacumque incedit armata multitudo, pavorem ac tumultum facit; rursus ubi anteire primores civitatis vident, quidquid sit haud temere esse rentur. Nec minorem motum animorum Romae tam atrox res facit quam Collatiae fecerat; ergo ex omnibus locis urbis in forum curritur. Quo simul ventum est, praeco ad tribunum celerum, in quo tum magistratu forte Brutus erat, populum advocavit. Ibi oratio habita nequaquam eius pectoris ingeniique quod simulatum ad eam diem fuerat, de vi ac libidine Sex. Tarquini, de stupro infando Lucretiae et miserabili caede, de orbitate Tricipitini cui morte filiae causa mortis indignior ac miserabilior esset. Addita superbia ipsius regis miseriaeque et labores plebis in fossas cloacasque exhauriendas demersae; Romanos homines, victores omnium circa populorum, opifices ac lapicidas pro bellatoribus factos. Indigna Ser. Tulli regis memorata caedes et invecta corpori patris nefando vehiculo filia, invocatique ultores parentum di. His atrocioribusque, credo, aliis, quae praesens rerum indignitas haudquaquam relatu scriptoribus facilia subicit, memoratis, incensam multitudinem perpulit ut imperium regi abrogaret exsulesque esse iuberet L. Tarquinium cum coniuge ac liberis. Ipse iunioribus qui ultro nomina dabant lectis armatisque, ad concitandum inde adversus regem exercitum Ardeam in castra est profectus: imperium in urbe Lucretio, praefecto urbis iam ante ab rege instituto, relinquit. Inter hunc tumultum Tullia domo profugit exsecrantibus quacumque incedebat invocantibusque parentum furias viris mulieribusque.
Traduzione all'italiano
Bruto, mentre gli altri erano in preda allo sconforto, estrasse il coltello dalla ferita e, brandendolo ancora stillante di sangue, disse: "Su questo sangue, purissimo prima che un principe lo contaminasse, io giuro e chiamo voi a testimoni, o dèi, che di qui in poi perseguiterò Lucio Tarquinio Superbo e la sua scellerata moglie e tutta la sua stirpe col ferro e col fuoco e con qualunque mezzo mi sarà possibile e non permetterò che né loro né nessun altro regni più a Roma." Quindi passa il coltello a Collatino e poi a Lucrezio e a Valerio, tutti sbalorditi dall'incredibile evento e incapaci di stabilire da dove Bruto prendesse tutta quella veemenza. Giurano com'era stato loro ordinato e, passati dal dolore alla rabbia, appena Bruto li invita a scagliarsi immediatamente contro il potere reale, non esitano a seguirlo come loro capo.
Quindi trascinano fuori di casa il cadavere di Lucrezia e lo adagiano in pieno foro dove piano piano si accalca la gente, attratta, come di consueto, dalla stranezza della cosa e in più dalla sua nefandezza. Tutti si scagliano indignati contro la violenza criminale del principe. La loro commozione nasceva dalla tristezza del padre ma anche da Bruto che li invitava a smetterla con tutti quei pianti e li esortava a esser degni del proprio nome di uomini e di Romani e a prendere le armi contro chi aveva osato trattarli come nemici. I giovani più coraggiosi si armano e si offrono volontari, seguiti subito da tutto il resto della gioventù. Quindi, lasciato il padre di Lucrezia a guardia di Collazia e piazzate delle sentinelle per evitare che qualcuno andasse a riferire dell'insurrezione alla famiglia reale, il resto delle truppe fa rotta su Roma agli ordini di Bruto. Una volta lì, questa moltitudine armata semina dovunque il panico e lo sconcerto al suo passaggio. Ancora una volta, però, vedendo che alla testa c'erano i personaggi più in vista della città, l'opinione generale fu che, qualunque cosa stessero facendo, non poteva trattarsi di un'iniziativa sconsiderata. L'atroce episodio suscita a Roma non meno commozione di quanta ne avesse suscitata a Collazia e da ogni parte della città la gente si riversa nel foro. Una volta lì, un messo convocò il popolo di fronte al tribuno dei Celeri, magistratura tenuta casualmente in quel periodo proprio da Bruto. Egli allora pronunciò un discorso assolutamente non in sintonia con il carattere e gli atteggiamenti che fino a quel giorno aveva simulato di avere. Parlò della brutale libidine di Sesto Tarquinio, dello stupro infamante subito da Lucrezia, del suo commovente suicidio e del lutto solitario di Tricipitino che era più affranto e indignato per la causa che non per la morte stessa della figlia. Ricordò loro anche l'arroganza tirannica del re e lo stato miserando della plebe, costretta a schiantare di fatica a forza di scavi e di fogne da ripulire. A questo proposito aggiunse che i Romani, capaci di sottomettere ogni altro popolo dei dintorni, erano stati trasformati in manovali e tagliapietre da guerrieri che erano. Dopo aver citato l'indegna fine di Servio Tullio e l'episodio orrendo della figlia che ne calpestava il cadavere col cocchio, invocò gli dèi vendicatori dei crimini contro i genitori. Con questi argomenti e, credo, con altri ancora più atroci dettati dall'immediatezza dello sdegno, ma quasi mai facilmente ricostruibili da parte degli storici,infiammò il popolo e lo trascinò ad abbattere l'autorità del re e a esiliare Lucio Tarquinio con tanto di moglie e figli. Poi Bruto in persona arruolò i giovani che si offrivano volontari e, dopo averli dotati di armi, partì alla volta di Ardea per sollevare contro il re l'esercito là accampato. Lasciò il comando di Roma a Lucrezio, che poco tempo prima era già stato nominato prefetto della città dal re. Nel pieno di questo trambusto, Tullia scappò dal palazzo e, dovunque passava, la gente la subissò di maledizioni e di invocazioni alle furie vendicatrici dei crimini contro i genitori.