Versione originale in latino
Explodatur haec quoque somniorum divinatio pariter cum ceteris. Nam, ut vere loquamur, superstitio fusa per gentis oppressit omnium fere animos atque hominum imbecillitatem occupavit. Quod et in iis libris dictum est, qui sunt de natura deorum, et hac disputatione id maxume egimus. Multum enim et nobismet ipsis et nostris profuturi videbamur si eam funditus sustulissemus. Nec vero (id enim diligenter intellegi volo) superstitione tollenda religio tollitur. Nam et maiorum instituta tueri sacris caerimoniisque retinendis sapientis est, et esse praestantem aliquam aeternamque naturam, et eam suspiciendam admirandamque hominum generi pulchritudo mundi ordoque rerum caelestium cogit confiteri. Quam ob rem, ut religio propaganda etiam est quae est iuncta cum cognitione naturae, sic superstitionis stirpes omnes eligendae. Instat enim et urget et, quo te cumque verteris, persequitur, sive tu vatem sive tu omen audieris, sive immolaris sive avem adspexeris, si Chaldaeum, si haruspicem videris, si fulserit, si tonuerit, si tactum aliquid erit de caelo, si ostenti simile natum factumve quippiam; quorum necesse est plerumque aliquid eveniat, ut numquam liceat quieta mente consistere. Perfugium videtur omnium laborum et sollicitudinum esse somnus. At ex eo ipso plurumae curae metusque nascuntur; qui quidem ipsi per se minus valerent et magis contemnerentur, nisi somniorum patrocinium philosophi suscepissent, nec ii quidem contemptissimi, sed in primis acuti et consequentia et repugnantia videntes, qui prope iam absoluti et perfecti putantur. Quorum licentiae nisi Carneades restitisset, haud scio an soli iam philosophi iudicarentur. Cum quibus omnis fere nobis disceptatio contentioque est, non quod eos maxume contemnamus, sed quod videntur acutissime sententias suas prudentissimeque defendere. Cum autem proprium sit Academiae iudicium suum nullum interponere, ea probare quae simillima veri videantur, conferre causas et quid in quamque sententiam dici possit expromere, nulla adhibita sua auctoritate iudicium audientium relinquere integrum ac liberum, tenebimus hanc consuetudinem a Socrate traditam eaque inter nos, si tibi, Quinte frater, placebit, quam saepissime utemur." "Mihi vero", inquit ille, "nihil potest esse iucundius."
Traduzione all'italiano
Si cacci via, ‹dunque,› anche la divinazione basata sui sogni, al pari delle altre. Ché, per parlare veracemente, la superstizione, diffusa tra gli uomini, ha oppresso gli animi di quasi tutti e ha tratto profitto dalla debolezza umana. L'ho detto nell'opera Della natura degli dèi e ne ho trattato più particolarmente in questa discussione. Ho pensato che avrei arrecato grande giovamento a me stesso e ai miei concittadini se avessi distrutto dalle fondamenta la superstizione. Né, d'altra parte (questo voglio che sia compreso e ben ponderato), con l'eliminare la superstizione si elimina la religione. Innanzi tutto è doveroso per chiunque sia saggio difendere le istituzioni dei nostri antenati mantenendo in vigore i riti e le cerimonie; inoltre, la bellezza dell'universo e la regolarità dei fenomeni celesti ci obbliga a riconoscere che vi è una possente ed eterna natura, e che il genere umano deve alzare a essa lo sguardo con venerazione e ammirarla. Perciò, come bisogna addirittura adoprarsi per diffondere la religione che è connessa con la conoscenza della natura, così bisogna svellere tutte le radici della superstizione. Essa incalza e preme e, dovunque tu ti volga, ti perseguita, sia che tu abbia dato ascolto a un indovino, sia a un detto casuale, sia che abbia compiuto un sacrificio o abbia veduto un uccello, o abbia appena scòrto un caldeo, un arùspice, o abbia visto lampi o udito tuoni, o un luogo sia stato colpito dal fulmine, o sia nato o si sia prodotto qualcosa di simile a un prodigio. Qualcuno di questi eventi è inevitabile che spesso accada, cosicché non è mai possibile sostare con animo pacato. Può sembrare che lo scampo da tutti i travagli e le ansie sia il sonno. Ma anche da esso sorgono in gran copia affanni e timori, i quali, di per se stessi, avrebbero minor forza e si potrebbero più facilmente trascurare, se i filosofi non avessero assunto il còmpito di avvocati difensori dei sogni. E non parlo di quei filosofi disprezzati da tutti, ma di quelli particolarmente acuti e capaci di vedere le coerenze e le contraddizioni, di quelli che sono ormai ritenuti perfetti e superiori a tutti. Se alla loro arroganza non avesse fatto fronte Carneade, forse sarebbero ormai considerati gli unici filosofi degni di questo nome. Contro di essi è rivolta quasi tutta questa mia veemente discussione, non perché io li disprezzi più degli altri, ma perché può sembrare che essi difendano le loro idee con più acume e dottrina di tutti. Siccome, d'altra parte, è un principio basilare dell'Accademia non imporre mai alcun proprio giudizio, dare il proprio assenso a quelle tesi che più appaiono vicine alla verità, mettere a confronto le ragioni di ciascuno ed esporre ciò che si può dire contro ciascuna opinione, lasciare agli uditori il loro giudizio libero e illeso senza far pesare in alcun modo su di essi la propria autorità, manterremo questa consuetudine ereditata da Socrate e la metteremo in pratica tra di noi - se a te, fratello mio Quinto, piacerà - il più spesso possibile."
"Per me," rispose Quinto, "nulla può essere più piacevole." E, detto ciò, ci alzammo.