ICOLA BBAGNANO
Ivi, p. 635.
5 Ivi, p. 636.
6 Ivi, p. 637.
7 Ivi, p. 638.
8 6
sua attività risponde, senza ammettere che a partire da tali condizioni la scelta sia infallibil-
mente prevedibile». Questa concezione è andata smarrita nell’antichità e nel Medioevo, riaf-
fiorando nella modernità, in cui ha assunto «la forma della negazione della libertà di volere e
dell’affermazione della libertà di fare». Hume sosteneva che la libertà fosse «un potere di agi-
re o di non agire secondo la determinazione della volontà». Al contempo, Voltaire riteneva che
una «libertà di indifferenza» — come quella del primo tipo — non avesse senso; poiché im-
plicherebbe «che c’è nell’uomo “un effetto senza causa”» . Anche Heidegger riteneva che la
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libertà fosse finita «perché condizionata e limitata dal mondo stesso in cui si progetta».
Insomma, si tratta di una concezione che si è rafforzata in questi ultimi secoli, con l’ab-
bandono da parte della scienza dell’ideale di una causalità necessaria e di una previsione in-
fallibile; con «la prevalenza del concetto di condizione su quello di causa», nonché «della
spiegazione probabilistica sulla spiegazione necessitaristica, che si è delineata, come effetto
del principio di indeterminazione, nella fisica atomica». Concludendo, la libertà come auto-
causazione è tanto insostenibile quanto il determinismo come necessità; piuttosto, la libertà è
la «“possibilità di scelta”: cioè una scelta tale che una volta effettuata può essere ancora e
sempre ripetuta nei confronti di una situazione determinata» .
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Inquadrato in questo modo, pare che il concetto di libero arbitrio di Sapolsky si riferisca
ad un connubio tra la prima concezione di libertà e la terza. Infatti, nel sostenere che il libero
arbitrio equivalga al dimostrare che nel cervello esiste una causeless cause, egli richiama in-
volontariamente la concezione kantiana di libertà come “facoltà di iniziare da sé la serie dei
propri effetti”, e di conseguenza di causa sui. Al contempo, però, sembra che l’autore miri a
negare anche la terza forma di libertà: se in un cammino ci si trovasse di fronte a un bivio, la
relativa scelta non sarebbe libera nemmeno finitamente, ma sarebbe interamente determinata
dalla propria biologia, dal proprio passato, e dal proprio contesto ambientale. Quindi, la dimo-
strazione dell’illusorietà del libero arbitrio dell’autore sfrutta il concetto alla base della prima
nozione di libertà (causa sui), suggerendo implicitamente che questo sia presente anche nella
terza nozione del concetto, così da negarne la validità.
Ora, nella contemporaneità la libertà viene intesa prevalentemente nel terzo senso, e ha
Ivi, p. 639.
9 Ivi, p. 640.
10 7
come suo oggetto principale la ‘scelta’. Abbagnano la definisce come il «procedimento con
cui una possibilità determinata, a preferenza di altre, viene assunta [...] in modo qualsiasi». Si
tratta di un concetto che è «strettamente legato a quello di possibilità», in quanto «non c’é
-
scelta dove non c’è possibilità», e non «c’è possibilità dove non c’è scelta» . Aristotele è sta
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to tra i primi a fornire un’analisi di questa nozione, distinguendola: «dal desiderio che è co-
mune anche agli esseri irragionevoli, mentre la scelta non lo è»; «dalla volontà, perché si pos-
sono volere anche le cose impossibili, per es., l’immortalità, ma non si possono scegliere»;
«dall’opinione, che anch’essa può riguardare cose impossibili». Però, Aristotele aggiunse an-
che «la determinazione positiva che la scelta “è sempre accompagnata dalla ragione e dal pen-
siero”»; caratteri che — per quanto formulati da un pensatore antico — sono ancora condivi-
-
sibili . Inoltre, Dewey ha osservato come «“La scelta non è l’emergere di una preferenza dal
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l’indifferenza: è l’emergere di una preferenza unificata da un insieme di preferenze competiti-
ve”. Pertanto la scelta ragionevole è soltanto quella che unifica e armonizza differenti tenden-
ze che sono in concorrenza tra loro» . Essendo che Sapolsky non approfondirà il significato
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di questo termine, questa analisi tornerà utile nel corso della trattazione.
Proseguendo, la libertà d’arbitrio è strettamente relazionata con il concetto di determini-
smo, che Sapolsky definisce attraverso il seguente esperimento mentale: si immagini una ce-
rimonia di laurea di una università, in cui si hanno modo di vedere dei giovani laureati con le
loro famiglie orgogliose e felici. Ad un certo punto, si nota una persona «che fa parte del per-
sonale che si occupa della pulizia dell’edificio, la quale raccoglie i rifiuti dai cestini posti lun-
go il perimetro dell’area dedicata all’evento». Così, l’autore chiede che si scelga un neolau-
reato a caso, e che si realizzi «una “piccola magia”, affinché questo inserviente abbia iniziato
la propria vita disponendo dei geni di quel neolaureato», dell’utero in cui ha trascorso nove
mesi, e delle «conseguenze epigenetiche associate a quella vita». Gli si dia il medesimo passa-
to del neolaureato, e a quest’ultimo il medesimo passato dell’inserviente, ed è in questo modo
— sostiene Sapolsky — che si scambierà «colui che indossa la toga con chi sta spingendo i
Ivi, p. 954.
11 Ivi, p. 955.
12 Ivi, p. 956.
13 8
bidoni della spazzatura. Questo è ciò che intendo per determinismo» .
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Relativamente al termine ‘determinismo’, Abbagnano esplicita due significati: il primo
secondo cui il determinismo è «l’azione condizionante o necessitante di una causa o di un
gruppo di cause»; il secondo, secondo cui esso è «la dottrina che riconosce l’universalità del
principio causale e pertanto ammette anche la determinazione necessaria delle azioni umane
da parte dei loro motivi». È così che nel primo senso si indicano le «connessioni di natura
causale o condizionale», e nel secondo la «disputa fra determinismo e indeterminismo, cioè
tra coloro che ammettono o negano la necessitazione causale nel mondo in generale e in parti-
colare nell’uomo» .
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In questo quadro, Sapolsky nega che gli eventi siano prevedibili ma non che questi sia-
no determinati: infatti, sostiene che l’indeterminismo presente a livello subatomico si cancelli
all’aumentare della scala di grandezza; ciò renderebbe determinata la realtà per come è vissuta
dalla totalità degli organismi, e indeterminata solo per ciò che concerne la fisica delle particel-
le. Insomma, sono il principio d’indeterminazione della meccanica quantistica, assieme alla
teoria del caos e alla teoria della complessità (di cui si tratterà più avanti), i motivi per cui
l’autore rifiuta la posizione di Pierre-Simon Laplace, secondo cui se ci fosse «in questo mo-
mento, un superuomo a conoscenza di ogni particella nell’universo, sarebbe in grado di predi-
-
re accuratamente ogni momento nel futuro» . Tuttavia, portando l’esempio del laureato e del
16
l’inserviente, egli inferisce che per quanto il proprio futuro non sia prevedibile, esso sia ne-
cessario. Se lo scambiare la biologia, il passato, e il contesto ambientale di due persone con-
duce a uno scambio anche delle relative identità, ciò dimostra come questi fattori siano l’inte-
ro di ciò che ci determina. Portando il suo ragionamento alle estreme conseguenze: il cammi-
no dell’umanità sarebbe così necessario e, forse, solo talvolta disturbato dall’indeterminismo
che sta a fondamento — per quanto l’autore rigetti l’idea che questo possa emergere nella vita
quotidiana. Ma a questo punto, se un organismo tanto complesso e caotico (nel senso di di-
pendente dalle condizioni iniziali) quale l’uomo non ne è affetto, cosa ne è del resto della real-
tà che quotidianamente esperisce? Non è chiaro come l’autore si posizioni in merito: da una
S , Determinati, p. 28.
14 APOLSKY
A , Dizionario di Filosofia, p. 273.
15 BBAGNANO
S , Determined, p. 15, traduzione dell’autore.
16 APOLSKY 9
parte sembra che le sue affermazioni implichino una determinazione e una conseguente ne-
cessità del macroscopico, immune all’indeterminatezza di ciò che lo compone; dall’altro,
però, si concentra principalmente su ciò che compete al comportamento umano, quindi po-
trebbe star ignorando le conseguenze più indirette di ciò che afferma.
Ad ogni modo, per quanto questo esperimento mentale sia utile a far capire le implica-
zioni di un determinismo per come viene concepito da Sapolsky, non è considerabile una de-
finizione in senso tecnico: l’esporre una conseguenza del determinismo non è dire cosa esso è.
Tornando alle definizioni di Abbagnano, è corretto osservare come Sapolsky utilizzi en-
trambe le connotazioni del termine “determinismo”: della seconda, senza però affermare una
vera e propria ‘universalità’ della causalità (in quanto esclude l’indeterminismo subatomico);
della prima senza fare distinzioni esplicite tra un’azione condizionante e una necessitante. Ol-
tretutto, la nozione di ‘condizione’ risulta estremamente pertinente al tema della discussione:
questa si sarebbe formata nella modernità, «dapprima attraverso il tentativo di liberare la no-
zione di causa dalle sue implicazioni antropomorfiche, poi attraverso l’esigenza di liberarla
dal suo carattere necessitante». Infatti: «la successione invariabile, in cui la causalità consiste,
raramente si trova tra un conseguente e un singolo antecedente ma c’è il più delle volte tra un
conseguente e la somma di diversi antecedenti, che sono tutti richiesti [...]. La condizione sa-
rebbe così ciò che per suo conto non basta a produrre l’effetto», e per questo non rende certo
il suo verificarsi . Non a caso, nel campo della biologia, «solo il concetto di condizione è in
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grado di esprimere i rapporti fun
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