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La domanda retorica pronunciata dallo scrittore inglese Samuel
Johnson centra perfettamente il punto della questione: «Com’è possibile
che si sentano gli inni alla libertà più alti proprio fra quelli che
85
possiedono negri?» . Altri uomini invece, pur denunciando
apertamente la natura spregevole della schiavitù, seguitarono
comunque nel praticarla, palesando in tal modo la loro impossibilità a
rinunciarvi. In effetti, essa s’era intrecciata così intimamente alle maglie
dell’economia sudista che aveva generato un nodo fin troppo
ingarbugliato da poter sciogliere nell’immediatezza. Il sistema
schiavista s’era invero dimostrato particolarmente “generoso”, quanto
a elargizioni di ricchezze e del tanto agognato rango di gentiluomo, con
parecchi uomini di quelle terre, per cui come si poteva già solo pensare
che questi accettassero volentieri di privarsi di cotanta prodigalità? Il
83 Taylor, Rivoluzioni Americane, p. 154.
84 Ivi, p. 207.
85 Ivi, p. 154. 53
resto del mondo però, ivi compresa la stessa America, stava iniziando a
guardare con altri occhi a quel torbido traffico di esseri umani e allora
si ritenne opportuno simulare, quantomeno in pubblico, uno sdegno di
facciata. Sicuramente di questo parere doveva essere Patrick Henry
quando dichiarò che la schiavitù era «ripugnante agli occhi
dell’umanità così come incompatibile con la Bibbia e deleteria per la
86
libertà» . Tuttavia, egli non si sbarazzò mai dei propri schiavi a causa,
stando sempre alle sue parole, della «seccatura generale di vivere senza
87
di loro» . John Jay non si rivelò certo da meno quanto a perbenismo.
Costui infatti, sebbene a capo dell’associazione antischiavista di New
York, perseverò nel possesso di schiavi che emancipava soltanto
«quando si sentiva totalmente ricompensato da anni del loro duro
88
lavoro» . George Mason, altro modello esemplare di coerenza,
malgrado le proprie aperte dichiarazioni contro la schiavitù, non pensò
mai neanche per un istante di liberare i suoi di schiavi e anzi, a
testimonianza della sua totale mancanza di tatto sull’argomento, ebbe
89
addirittura il coraggio di chiamarne uno Liberty . Tornando ora al
versante nemico, come se la mia riflessione stesse percorrendo il
medesimo tragitto di una pallina che rimbalza da una parte all’altra, mi
preme evidenziare quanto si sia rivelata fallimentare la strategia
adoperata dagli inglesi nel Sud e, soprattutto, le ragioni. L’esercito
imperiale strinse infatti perlopiù alleanze di comodo con gli schiavi, in
virtù della convinzione che la promessa di libertà in cambio
dell’arruolamento presso le loro fila avrebbe incentivato le fughe e
costretto dunque i proprietari a concentrare le forze nelle piantagioni,
86 Taylor, Rivoluzioni Americane, p. 560.
87 Ibidem.
88 Ibidem.
89 Ibidem. 54
riducendo per converso quelle destinate allo scontro. Non contenti, i
britannici decisero di servirsi inoltre degli indiani al fine di esercitare
una pressione sempre più asfissiante sui ribelli e garantirsi in tal modo
una vittoria schiacciante. Nel mettere però in atto siffatto disegno, essi
non presero minimamente in considerazione come l’entrata degli
schiavi nell’esercito costituisse in realtà un’offesa e al contempo una
minaccia di dimensioni epiche per i bianchi del Sud, tanto per i patrioti
quanto per i lealisti. C’era una sorta di patto, di regola non scritta a cui
i coloni in modo unanime avevano tacitamente acconsentito molto
tempo prima, una gerarchia del colore che non avrebbe mai dovuto
essere valicata. Tale pensiero era così radicato nel cuore di ognuno, da
riuscire a far passare in secondo piano le differenze di credo politico
che li avevano trascinati a farsi la guerra l’uno con l’altro. Ebbene, si
può allora affermare con cognizione di causa che la Corona attraverso
codesta mossa si scavò letteralmente la fossa da sola. Tuttavia, è
necessario puntualizzare che la maggior parte dei fuggitivi venne
impiegata dagli inglesi come uomini di fatica e quindi soltanto a un
numero esiguo di loro fu consentito combattere. Quella percentuale
ridotta fu in ogni caso sufficiente a scatenare le ire dei lealisti, i quali
mai avrebbero accettato di combattere a fianco d’un nero in qualità di
suoi pari, allo stesso modo in cui sempre avrebbero diffidato degli
indiani. È dalle parole di un lealista che si apprende la criticità della
situazione inglese nel Sud:
«Le persone che stanno più in basso, e che all’inizio in
molte aree, soprattutto nella Carolina del Sud, erano legate
al governo britannico, hanno sofferto così duramente e 55
sono state ingannate così tante volte che la Gran Bretagna
90
ha ora cento nemici dove prima ne aveva soltanto uno» .
Gli stessi civili, infatti, iniziarono in maniera crescente a vedere le
giubbe rosse come le responsabili principali dell’aumentato pericolo
non solo di guerre con gli indiani ma anche delle rivolte di schiavi. I
patrioti ovviamente se ne stavano lì, gongolanti, a osservare la fazione
avversaria autodistruggersi, consapevoli che con un’altra piccola spinta
sarebbero irrimediabilmente caduti nel baratro e, come facilmente
intuibile, essi non si lasciarono certo strappare di mano una simile
occasione. Per ingraziarsi ulteriormente il favore delle masse con il
preciso intento di aizzarle contro le truppe nemiche, i rivoluzionari si
limitarono semplicemente ad associare gli inglesi agli schiavi e ai
nativi, additandoli come i soli veri colpevoli del caos che s’era generato
nell’entroterra. C’è da dire che i ribelli quantomeno in un aspetto
dimostrarono un buon livello di coerenza, ossia nello smentire
puntualmente con i fatti quanto da essi dichiarato precedentemente a
parole. A causa di un notevole calo del numero di arruolati bianchi
volontari, pure i rivoluzionari furono poi obbligati a fare un passo
indietro e a scendere a patti con gli schiavi. La politica britannica nei
riguardi di quest’ultimi, non si rivelò comunque meno ipocrita e
ambigua della sua controparte. Sebbene gli inglesi avessero più volte
biasimato gli oppositori per la doppiezza della loro natura, essi invece
si palesarono quali dispensatori di moralità soltanto però ad
intermittenza. Per pura coincidenza, infatti, i britannici s’impegnarono
a garantire l’emancipazione e a esortare le fughe degli schiavi
esclusivamente nelle aree che si trovavano sotto il controllo dei patrioti,
90 Taylor, Rivoluzioni Americane, p. 313. 56
mentre viceversa in quelle di dominazione lealista non si fecero
particolari problemi a sostenere il regime schiavista, facendo così
cadere la loro etica nell’oblio. Peraltro, ogniqualvolta le giubbe rosse
s’imbattevano in fuggiaschi di padroni lealisti, immediatamente
s’affrettavano a rispedirli al mittente. Se nella piantagione di un lealista
scoppiava una rivolta, gli inglesi non esitavano a inviare delle truppe
per riportare la situazione alla tranquillità, arrivando anche a frustare
brutalmente gli uomini che l’avevano organizzata. Alcuni ufficiali
britannici giunsero perfino a rivendere degli schiavi sequestrati ai
patrioti, con lo scopo di trarne ovviamente profitto. Pertanto, la moralità
delle giubbe rosse può metaforicamente essere pensata come un
interruttore, considerato che s’accendeva e si spegneva a loro completa
discrezione. Se l’indipendenza delle colonie aveva fatto perdere alla
Gran Bretagna circa la metà della sua forza lavoro gratuita, le cose
sicuramente non andarono meglio dopo quando uscì come parte lesa dal
91
conflitto contro i suoi, ormai ex, sudditi . La Corona d’un tratto si
riscoprì antischiavista, come a voler prendere le distanze da
un’istituzione che l’opinione pubblica, riformata adesso nella sua
92
sensibilità , giudicava con orrore e sconcerto. Si può in tutta franchezza
affermare che l’Inghilterra imbracciò con tanta fierezza la bandiera
dell’abolizionismo soltanto e ipocritamente per dimostrare che, quasi
come si trattasse di una gara, anche in questo campo sarebbe stata la
93
migliore . Il mondo stava cambiando e la monarchia inglese fu
91 Taylor, Rivoluzioni Americane, p. 381-382.
92 Il riferimento è qui alla pervasiva influenza esercitata dalle idee dell’Illuminismo, arrivando anche
a sensibilizzare l’opinione pubblica su talune questioni verso le quali non aveva mai finora provato
un briciolo di empatia. Codesto argomento verrà comunque trattato più in profondità nel terzo ed
ultimo capitolo.
93 «Il primo movimento abolizionista di massa emerse in Gran Bretagna negli anni ottanta del XVIII
secolo, determinato contestualmente da sconfitta coloniale, testimonianze dirette di schiavi [..]
57
lungimirante nell’intuire verso quale nuova direzione si stava adesso
dirigendo. Inoltre, essendo l’opportunismo la chiave di volta del modo
d’agire dei britannici, mi sembra doveroso altresì far luce sulla maniera
in cui essi si comportarono, a guerra conclusa, con chi li aveva fino
all’ultimo fiancheggiati. In effetti, una volta siglata la pace di Parigi nel
1783, i coloni delle Indie Occidentali persero d’un tratto, agli occhi
dell’Impero, gran parte della loro attrattiva iniziale e ciò giustifica la
drastica riduzione dell’autorità antecedente. Le proteste dei piantatori
locali scatenatesi per via delle restrizioni imperiali sui trasporti
americani, responsabili dell’aumento delle importazioni alimentari e, di
riflesso, della morte di molti dei loro schiavi – per la carenza di cibo –,
vennero pressoché ignorate. I proprietari piuttosto si dovettero misurare
con l’opposizione sempre più energica e risoluta degli abolizionisti, i
quali appunto si battevano per la cessazione della tratta nonché della
94
stessa istituzione . Come a volersi vendicare d’un torto subito,
l’Inghilterra quantomeno inizialmente puntò il dito contro il sistema
schiavista perché intenzionata a colpire le tredici ex colonie sul loro
punto debole per eccellenza. Prima di poter dare la parola fine a questo
capitolo, nel quale ho tentato di provare al lettore come nessuno dei
protagonisti tirati in ballo sia da considerarsi “senza peccato”,
adducendo a dimostrazione una serie di testimonianze a parer mio
inequivocabili, vorrei brevemente soffermarmi su un’ultima importante
questione. La Rivoluzione Americana è stata elogiata, dag