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Il banchetto comunitario dal paganesimo al cristianesimo
brocche, coppe databili tra il I e il IV secolo d.C. – sono tuttavia portatori di un
significato speciale quando vengono ritrovati all’interno di un santuario di età
romana. Sono infatti legati strettamente all’atto del sacrificio, della preparazione dei
cibi consacrati e della loro ostensione alla divinità venerata.
I santuari romani erano veri centri polifunzionali con tabernae, botteghe artigiane,
officinae di lampade, arredi sacri, oggetti di devozione, carni e pellami, dormitori e
locande. I luoghi vicino a fonti avevano anche piscine da bagno. Fungevano inoltre
da centri culturali, da archivi, da biblioteche e spesso erano collegati a teatri per
drammi cultuali e per ludi scaenici, ma esigenze specifiche di ciascun luogo
conferivano ad ogni santuario una propria fisionomia. Ogni luogo di culto aveva un
proprio corredo di suppellettili e utensili funzionali all’espletamento delle cerimonie
sacre. Taluni di questi oggetti venivano consacrati nel giorno medesimo del tempio
(sacra suppellex). Altri (ornamenta, ex voto) venivano donati successivamente e
andavano ad arricchire nel tempo il luogo di culto. Are e mense votive assolvevano a
due momenti centrali del culto: il sacrificio e la devozione. Mentre sulle are si
svolgeva il sacrificio, gli altari a forma di tavola (sacrae o augustae mensae)
servivano – come le tavole nelle case – a deporre cibo, frutta, dolci, offerte e doni di
ogni genere (mensae, donaria).
La sacra suppellex comprendeva le are – tavole su cui venivano deposti cibi, bevande
ed altre offerte destinate alla divinità – i troni e i vasi. Alcuni oggetti servivano
all’esecuzione dei lavori che non erano specificatamente religioni quali la cura del
fuoco, la preparazione della salamoia, la macellazione di un animale e l’allestimento
di un banchetto. Per tali lavori occorrevano clava e ascia, coltello da macellaio,
trinciante, ciotole, piatti, pignatte, paioli, mestoli, ramaioli, pinze, panieri.
La preghiera alla divinità era sempre accompagnata da un’offerta. Di regola si
trattava di incenso da bruciare, di fiori o alimenti e di prodotti della terra.
L’offerta vegetale si differenziava in dono di grani crudi o arrostiti, di farricello, di
farina, di polenta di farro (puls), di pane, di focacce. Le focacce si presentavano in
forme diverse: arculata, focaccia circolare; strues, una sorta di treccia; maniae si
chiamavano le focacce di forma umana. Non bisogna dimenticare fiori, frutta, olii,
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resine, incenso, e i liquidi (acqua, vino, latte). L’abbondanza delle materie prime
mostra la ricchezza della natura e il rapporto degli antichi con i doni della terra.
Il Santuario di Minerva a Breno:
A Breno, nel cuore della Valle Camonica, nel 1986 è avvenuta l’eccezionale scoperta
di un santuario romano databile al I secolo d.C. dedicato al culto delle acque e a
Minerva, della quale si conserva la monumentale statua di culto in marmo pentelico
al museo archeologico nazionale della Valle Canonica.
Nelle sale del museo sono stati esposti i materiali votivi, rinvenuti dagli scavi, sparsi
sui pavimenti del tempio, offerte alla divinità, contenitori da cucina e da mensa,
figurine di offerenti in marmo e terracotta, iscrizioni, fibule, monete, gioielli. Essi ci
offrono in generale un quadro vivace della popolazione che frequentava il santuario,
ma in particolare documentano con precisione il carattere delle pratiche che vi si
svolgevano.
Nel santuario di Breno avvenivano cerimonie di purificazione, abluzioni ai bordi di
una vasca naturale di acqua sorgiva in un vano sotto le grotte (antico luogo di culto
indigeno delle acque) e libagioni con frantumazione rituale di coppe e bicchieri, forse
acquistati dai pellegrini proprio nelle botteghe fuori dal santuario.
Il sacrificio di animali avveniva sull’altare esterno, al centro del cortile, seguito dalla
cottura dei cibi e dal pasto in comune. Ne sono testimonianza la ceramica comune da
fuoco con colle, tegami, coppe e bacili, vassoi; la ceramica comune con olle grandi e
piccole, anfore, mortuaria; la ceramica da mensa con piatti e coppe in terra sigillata.
Accanto alle are sacrificali esistevano anche are donate ex voto, usate a scopo
devozionale.
La formula frequente votum solvit libens merito accomuna are e mense, dono
spontaneo ma dovuto (merito) alla divinità.
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Una bella mensa di marmo bianco di forma triangolare riporta l’iscrizione latina
MINERVAE /L. NAEVIVS SECUNDUS nella quale al nome della divinità, Miniera,
si accompagna il nome del dedicante, Lucio Nevio Secondo .
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II.2 Alimentazione: rappresentazione e ritualità
Nelle rappresentazioni artistiche possiamo osservare l’unicità del mangiare e del
bere, vissuta come elemento indispensabile dei giorni di festa, in quanto strettamente
connessa al diffondersi di allegria tra la folla. Il mangiare e la tristezza, infatti, sono
incompatibili: «Il banchetto celebra sempre la vittoria, e questo è un tratto
caratteristico della sua natura. Il trionfo del banchetto è universale: è il trionfo della
vita sulla morte. In questo caso è equivalente del concepimento e della nascita. Il
corpo vittorioso assorbe il mondo vinto e si rinnova». Non vi è nessun messaggio
collegato al nutrimento e all’assimilazione del cibo, come fonte di energia e vitamine
utili al fabbisogno giornaliero umano. Le scene proposte dall’arte non riproducono
episodi di vita quotidiana, e questo ci lascia intuire come fosse squilibrata
l’alimentazione di quei tempi.
I cibi che vediamo rappresentati in affreschi e quadri riportano scene conviviali a cui
partecipano o nobili o il popolo, mai insieme. Il mangiare insieme, infatti, è simbolo
del condividere uno stile di vita, del far parte dello stesso rango o classe sociale,
inteso, quindi, come un atto strettamente familiare. Ad esempio citando il lontano
oriente, nell’antica India invasa dal popolo degli Ariani, si ha testimonianza che era
severamente vietato consumare pasti con appartenenti a caste diverse. Il consumare
cibo è stato sempre strettamente collegato ad occasioni di festa inerenti al ciclo della
vita sociale, politica e religiosa.
Se pensiamo agli animali, loro consumano la preda da soli, tranne le mamme, a cui è
affidato il compito di nutrire i propri figli. Osservando le incisioni dei popoli
primitivi si nota, come, invece, gli uomini che avevano formato i piccoli villaggi
andavano a caccia in branco e poi consumavano, con il villaggio, le carni catturate.
88 Cfr. Filomena Rossi in Rivista multimediale di alimentazione e tradizioni
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L’occasione era celebrata con danze festose, per esaltare la forza umana vittoriosa su
quella animale. In questo caso, però, il cibo era fonte di nutrimento per il popolo e il
concetto di festa era strettamente collegato al festeggiare l’esito della caccia, una
ricompensa alle fatiche affrontate contro il mondo, per la propria sopravvivenza.
Con il passare degli anni, invece, le rappresentazioni pittoriche riportano solo il cibo
conviviale legato alle tematiche di vita, morte, nascita, rinascita, cicli stagionali,
religione, lotta, vittoria, trionfo. Il consumare cibo viene anche inteso in modo
grottesco, con l’immagine di una bocca che ingerisce il mondo. «Il mangiare e il bere
sono una delle manifestazioni più importanti della vita del corpo grottesco.
Le particolarità di questo corpo stanno nella sua apertura, nel suo carattere non
definito, nella sua interazione col mondo. Ed è nell’atto del mangiare che esse si
manifestano nel modo più tangibile e concreto: il corpo supera qui i propri limiti,
inghiotte, assimila, dilania il mondo, lo assorbe tutto, si arricchisce e cresce alle sua
spalle. L’incontro dell’uomo con il mondo che avviene nella grande bocca spalancata
in atto di sgranocchiare, dilaniare e masticare, è uno dei soggetti più antichi e più
importanti del pensiero e dell’imagerie umana. Qui l’uomo assapora il mondo, sente
il gusto del mondo, lo introduce nel suo corpo e lo rende parte di se medesimo».
Vi è una distinzione importante su cui porre l’attenzione ed è tra il senso del
banchetto di nozze e il convivio funebre. Alle nozze, il consumare cibo è auspicio di
riproduttività per gli sposi, una conclusione della festa che è l’equivalente del
concepimento e, quindi, apre l’inizio ad un atto che porterà a nuova vita.
Mentre, i convivi funebri celebrano una fine in questo mondo e una rinascita in un
altro. Quello che li accomuna è il momento in cui viene consumato, cioè, alla fine
della festa, come conclusione che augura un nuovo inizio.
Nella religione cristiana il banchetto è legato all’episodio dell’ultima cena.
Gesù sapendo del suo destino riunisce i discepoli in un banchetto, per celebrare una
fine che porterà a rinascita, ovvero, la vittoria sul mondo. Il celebrare la Santa Messa,
con il sacramento della comunione, ripropone il tema del banchetto, vissuto tra la
comunità cristiana che ve ne partecipa e il corpo di Cristo offerto come cibo, da
assaporare, per festeggiare in allegria la resurrezione. Tra le parole di Gesù citate nei
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vangeli leggiamo: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con
voi» . Il messaggio è quello di aver desiderato con tutto se stesso il momento di
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festa, di gioia, di allegria, di vittoria della vita sulla morte, di rinascita, da festeggiare
tutti insieme. Nelle rappresentazioni pittoriche l’ultima cena, di Gesù con i discepoli,
viene rappresentata con una tavola imbandita dell’essenziale. Notiamo il vino e il
pane, gli elementi simbolici del sangue e corpo di Cristo. Non notiamo un banchetto
ricco di pietanze ammassate sui vassoi a simboleggiare abbondanza. I partecipanti
sono assorti e attenti ai gesti compiuti da Gesù, non si ha una disposizione
disordinata di partecipanti giocosi, ubriachi e particolarmente allegri, l’allegria
festeggiata è quella che sta per arrivare. Si ha qui un forte senso sacrale di ciò che si
sta compiendo.
La pittura illustra bene i dettagli e la gestualità, perché comunica attraverso di essi.
Se osserviamo, ad esempio gli affreschi della basilica inferiore di Assisi, con le storie
della vita di San Francesco d’Assisi, possiamo notare prodotti tipici umbri, come ad
esempio il cinto, raro esemplare umbro. I dettagli vengono scelti dall’artista, con
attenzione, per comunicare non solo il concetto di festa, ma anche la collocazione
spa