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Berlusconi nel 1994, per la quale riceverà l’accusa di essere un Presidente di parte dopo la nomina di
Lamberto Dini a Presidente del Consiglio. Si impegnerà in una vasta opera di difesa della Costituzione e di
recupero del valore degli eventi fondativi dello Stato, specie in occasione delle celebrazioni per il 50°
anniversario della Liberazione, della Costituente, della Repubblica e della Costituzione, che cadevano tutti
durante il suo settennato. Anche in questi eventi la televisione contribuiva a rafforzare il richiamo a quei
valori e con essi la figura del capo dello Stato, depositario e supremo garante dell’unità nazionale nei
confronti dei cittadini. Sul tema del pluralismo nei canali televisivi sosterrà con convinzione il decreto sulla
par condicio nel 1995, contribuendo ad accrescere la sensazione di un Presidente interventista e attirandosi
le critiche da parte della coalizione di centro-destra e del suo leader Berlusconi, con il quale i rapporti
sarebbero stati spesso di aperta ostilità. A livello internazionale, negli ultimi anni del suo mandato sarà un
convinto sostenitore del processo di costruzione europea in vista dell’adesione dell’Italia alla moneta unica.
Inoltre incontrerà personalità straniere e compirà numerosi viaggi all’estero, che la presenza ormai
onnipervasiva della televisione si incaricava puntualmente di registrare, diffondendo l’immagine di un
presidente gentiluomo, profondamente motivato a esercitare al meglio il suo ruolo istituzionale e
contribuendo a rafforzare presso l’opinione pubblica l’immagine della figura presidenziale.
Il settennato di Scalfaro, inaugurato dalle stragi mafiose del 1992-‘93, si svolse con l’ombra dei poteri
occulti sottratti ad ogni controllo democratico. La riflessione sulla stagione del terrorismo divenne cupa e
allo stesso tempo più urgente, perché avveniva in un momento di crisi del sistema politico, resa ancora più
acuta dai nuovi scenari internazionali apertisi dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e dalle sfide che l’Italia
doveva affrontare per la sua piena integrazione nell’Europa della moneta unica. Significativamente il
messaggio di fine anno del 1993 fu indirizzato ai parenti delle vittime delle stragi più recenti. L’avvio della
presidenza Scalfaro, nel clima segnato dalla strage di Capaci, dall’instabilità governativa, dalle prime
dirompenti inchieste della magistratura milanese sulla corruzione, non poteva che essere incentrato sulle
problematiche nazionali. Nel suo messaggio d’insediamento Scalfaro si concentrò soprattutto su una
commossa dichiarazione d’amore per la Costituzione e per le istituzioni, riservando solo un breve passaggio
alle problematiche delle istituzioni locali. Nell’accorato messaggio di fine 1992, al termine di quello che
sarebbe passato alle cronache come l’annus orribilis della Repubblica, Scalfaro chiamò a raccolta tutti gli
italiani chiedendo loro un contributo affinché l’Italia risorgesse, e non perse occasione per lanciare un
avvertimento alla Lega Nord contro la sua politica disgregativa dell’unità nazionale. La lunga crisi che dal
1992 proseguì anche nel 1993 richiese a Scalfaro di dedicarsi pressoché esclusivamente alle grandi
questioni del Paese. In più, tra il 1993 e il 1994, iniziò a farsi più stringente la sfida europea, con la concreta
possibilità che l’Italia, a causa dell’instabilità governativa e della situazione economica e finanziaria,
restasse fuori dalla moneta unica. Le tematiche legate alle autonomie rimasero così in secondo piano fino al
1996, quando il capo dello Stato fu costretto a intervenire sempre a causa della Lega Nord: infatti Bossi,
resosi conto che nessuna riforma in senso federale sarebbe potuta passare per via parlamentare, impresse
al partito una svolta secessionista che faceva leva sulla necessità per le imprese del Nord di rimanere
dentro alla moneta unica, e dunque aveva bisogno di una separazione dal resto delle Regioni. Scalfaro si
scagliò con un duro monito contro chi attentava all’unità dell’Italia.
La crisi di credibilità dell’Italia fu acuita dalle vicende del 1992, in particolare dall’instabilità governativa che
rischiava di compromettere ulteriormente lo stato dei conti pubblici. È quindi naturale che la prima
preoccupazione di Scalfaro fosse quella di puntellare le istituzioni in modo da avviare operazioni di
risanamento. Il 1997 fu l’anno chiave in cui Scalfaro s’impegnò nuovamente in prima persona, affinché si
ricreasse un clima di fiducia intorno all’Italia che non vanificasse i progressi fatti. Va ricordato che reagì con
veemenza alle stime della primavera 1997 sul parametro di convergenza cruciale, il celeberrimo 3% nel
rapporto deficit/Pil: la Commissione aveva previsto per l’Italia stime superiori a questo valore-soglia,
paventando dunque l’esclusione dell’Italia dalla moneta unica a pochi mesi dalla scadenza definitiva (nel
dicembre dello stesso anno un Ciampi visibilmente soddisfatto annunciò al paese che l’Italia aveva i conti in
regola per entrare nell’euro). Scalfaro si impegnò inoltre per ricomporre le fratture tra Rifondazione
Comunista e il resto della maggioranza, che avevano portato alle dimissioni di Prodi a poche settimane dalla
deadline per l’euro.
L’esigenza di avviare uno sforzo collettivo per tenere insieme la Repubblica nel difficile contesto del 1992
portò Scalfaro a porre il problema della pacificazione già nel suo messaggio di insediamento. Sin dagli
esordi Scalfaro fece ripetutamente appello alla Costituzione come ad un punto di riferimento al quale
ancorarsi nella tempestosa crisi che segna l’inizio del suo mandato. La Costituzione era per lui un
insostituibile patrimonio di valori (la “bussola sicura”) capace di orientare la rotta della nave italiana nel
biennio ’92 – ‘93 e nella crisi politica istituzionale di fine 1994. In queste difficili situazioni si profuse
affinché la Costituzione diventasse il fulcro sul quale puntare per rinnovare il patto di unità tra gli italiani.
Ciampi riconobbe che Scalfaro era stato il Presidente dei tempi difficili, con un’azione tesa alla difesa della
cosa pubblica, alla tutela delle istituzioni ea promuovere una riflessione più attenta e disincantata sulla
partecipazione dell’Italia all’integrazione europea. Scalfaro realizzò una difesa attiva, caratterizzata da una
chiara visione politica, frutto di una riflessione innovativa e di un’interpretazione estensiva dei compiti
presidenziali, pur nel pieno rispetto del dettato costituzionale. Già dal mandato Scalfaro si intravide
progressivamente la volontà di guidare il cambiamento dei compiti del Presidente come rappresentante
dell’unità nazionale, in relazione ad un contesto politico che cambiava con rapidità.
L’elezione di Scalfaro ebbe luogo sotto la spinta dell’emergenza data dall’uccisione di Giovanni Falcone a
Capaci. Gli scrutini erano cominciati il 13 maggio 1992 e il candidato più forte, Arnaldo Forlani, non riuscì a
raggiungere di poco il quorum necessario per essere eletto, ritirandosi poi dalla corsa al Quirinale e dando
anche le dimissioni da segretario della DC. A questo punto emersero le candidature istituzionali del
Presidente del Senato Giovanni Spadolini e del Presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro. Il 23 maggio
arrivò la notizia della strage di Capaci e il 25 maggio Scalfaro fu eletto con 672 voti su 1002. Indro
Montanelli scrisse che Scalfaro era stato issato al Quirinale dai mille chili di tritolo su cui era saltato Falcone,
e noi dai voti dei mille grandi elettori. Craxi, che lo aveva avuto nel suo Governo, disse ai suoi che era una
persona di cui ci si poteva fidare, anche se essendo Craxi candidato a Presidente del Consiglio questa
affermazione poteva sembrare una captatio benevolentiae. La figura di Scalfaro era considerata anomala
nel panorama democristiano: era discendente da una famiglia di baroni calabresi e sarà il secondo
Presidente della Repubblica di origini nobiliari dopo Antonio Segni. Entro in magistratura nel ‘43 e vi restò
fino a ‘46 quando iniziò la carriera politica. Scalfaro era entrato a far parte delle Corti d’assise straordinarie
create per giudicare i crimini commessi in tempo di guerra e per i quali era anche prevista la pena di morte.
Di quell’esperienza si ricorda l’episodio di una condanna a morte richiesta e ottenuta da Scalfaro come
pubblico ministero, che tuttavia fu commutata in 30 anni di carcere (col suo consiglio) in Cassazione. Grazie
allo stretto rapporto con l’Azione Cattolica (di cui resterà membro fino alle elezioni presidenziali), fu eletto
all’Assemblea Costituente e poi come deputato DC ad ogni legislatura fino al 1992. Diventerà Ministro dei
Trasporti e dell’aviazione civile nel 1966 per i Governi Moro 3 Leone 2 e Andreotti 1, per passare poi alla
Pubblica Istruzione nel Governo Andreotti 2. Nell’agosto del 1983 fu richiamato da Craxi a ricoprire la
delicata carica di Ministro degli Interni, dove rimase fino al 1987. Il 24 aprile 1992 fu eletto alla Presidenza
della Camera dei Deputati, dove rimase fino all’elezione al Quirinale. Il curriculum di Scalfaro era quello di
un uomo di prestigio e di successi, ma non di un leader. Sempre schierato su posizioni anticomuniste, farà
parte della corrente del centrismo popolare per vari anni. Dal 1972 al 1983 Scalfaro ricoprirà la carica di
vicepresidente della Camera. A rimetterlo in corsa negli incarichi governativi arriverà la chiamata di Craxi e
l’incarico a Ministro degli Interni, che svolgerà con rigore ed efficienza, ma che da Presidente della
Repubblica lo vorrà al centro di una pericolosa querelle (vicenda fondi SISDE e “Io non ci sto”). Rigore e
indipendenza di giudizio Scalfaro li dimostrò anche come Presidente della Commissione d’inchiesta sulla
ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto del 1980. A proiettarlo verso la suprema carica dello Stato sarà
la sorte, ma anche la sua grande coerenza e onestà intellettuale. In qualsiasi stagione politica Scalfaro aveva
professato un anticomunismo senza compromessi e una costante ostilità nei confronti del centro-sinistra,
soprattutto quando i socialisti di De Martino sembravano confermare le accuse che Scalfaro aveva sempre
mosso ai socialisti, cioè di utilizzare la coalizione di centrosinistra come cavallo di troia per l’ingresso del Pci
nei palazzi del potere. Scalfaro acquisì anche una certa fama di bigottismo, che però sembra non
danneggiarlo: in un episodio del luglio 1970, noto come il “caso del prendisole”, in un ristorante romano
redarguì un’elegante signora che esibiva un d&eacut