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Invece la disoccupazione strutturale è la disoccupazione provocata dalla rigidità dei

salari e dal razionamento dei posti di lavoro. In questo caso i lavoratori non sono

disoccupati perché stanno attivamente ricercando un’occupazione adeguata alle loro

attività e con una remunerazione soddisfacente (come nel caso della disoccupazione

frizionale), ma perché al salario reale prevalente l’offerta di lavoro supera la domanda.

Se il salario non si aggiusta in modo da portare il mercato del lavoro in equilibrio,

questi lavoratori devono «attendere» che

si renda disponibile un posto di lavoro. La disoccupazione strutturale, dunque, si ha

perché le imprese non vogliono o non possono ridurre i salari reali, nonostante

l’eccesso di offerta di lavoro.

3. Offrite tre possibili spiegazioni della permanenza dei salari al di sopra del

livello di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro.

Il salario reale può rimanere al di sopra del livello che assicura l’equilibrio di domanda

e offerta di lavoro a causa della legislazione sul salario minimo, del potere

monopolistico dei sindacati o del ricorso da parte delle imprese al salario di efficienza.

La legislazione sul salario minimo provoca rigidità salariale perché impedisce ai salari

di scendere fino al livello di equilibrio. La maggior parte dei lavoratori percepisce un

salario superiore al minimo legale, ma alcuni – soprattutto quelli privi di qualifica o di

esperienza – in virtù di questa normativa ricevono un salario superiore al livello di

equilibrio; perciò le imprese domandano una minore quantità del loro lavoro. La

conseguenza è un eccesso di

offerta di lavoro, cioè la disoccupazione strutturale.

Il potere monopolistico dei sindacati provoca rigidità salariale perché i salari dei

lavoratori sindacalizzati non sono determinati dall’equilibrio di domanda e offerta, ma

da una contrattazione collettiva tra dirigenti sindacali e dirigenti aziendali. L’accordo

spesso determina un salario superiore al livello di equilibrio e permette alle imprese di

decidere quanti lavoratori assumere. L’alto salario induce le imprese ad assumere

meno lavoratori di quanti ne assumerebbero al salario di equilibrio, facendo così

aumentare la disoccupazione strutturale.

Le teorie del salario di efficienza suggeriscono che un salario elevato rende i lavoratori

più produttivi. L’influenza del salario sulla produttività dei lavoratori può spiegare la

ragione per cui le imprese non tagliano i salari a fronte di un eccesso di offerta di

lavoro: per quanto l’abbattimento del salario possa ridurre il costo del lavoro per

l’impresa, il rischio di una perdita di produttività mette a repentaglio i profitti.

4. In che modo gli economisti spiegano la diminuzione del tasso naturale di

disoccupazione verificatasi nel Regno Unito negli anni 1990 e nei primi anni

2000?

Il livello del tasso naturale di disoccupazione nel Regno Unito è oggetto di

controversia, ma in generale gli economisti concordano sul fatto che sia diminuito

drasticamente negli anni 1990-2000.

Sono molti i fattori che possono aver contribuito a tale fenomeno. Tra questi, la perdita

di importanza dei processi di riallocazione settoriale innescati dalla dinamica dei prezzi

del petrolio. I prezzi del petrolio sono ancora molto volatili (sebbene abbiano

attraversato un periodo di marcata stabilità tra il 1986 e il 1997), ma l’occupazione

britannica oggi è generata in settori sempre meno dipendenti dal petrolio.

Un altro fattore che ha contribuito alla diminuzione del tasso di disoccupazione

britannico è l’accelerazione della crescita della produttività: se i salari non aumentano

alla velocità della produttività, la domanda di lavoro aumenta. Tale cambiamento può

s

allo stesso tempo ridurre il tasso di separazione dal lavoro e aumentare il tasso di

f.

collocamento al lavoro Poiché

il tasso naturale di disoccupazione non può che diminuire.

Un terzo aspetto che ha contribuito alla riduzione del tasso naturale di disoccupazione

è la sostanziale diminuzione della partecipazione dei lavoratori al sindacato, a partire

dal 1980. La diminuzione del peso dei sindacati implica una perdita di potere negoziale

nelle contrattazioni salariali e, di conseguenza, una diminuzione delle pressioni che

possono spingere i salari a un livello che mette a repentaglio le prospettive dei

disoccupati (cioè di coloro che non hanno voce in capitolo nelle contrattazioni

collettive).

Infine, la graduale riduzione dei sussidi di disoccupazione ha abbattuto il «salario di

riserva» dei disoccupati. Questo significa che probabilmente i disoccupati sono

diventati meno selettivi nel vagliare le offerte di lavoro, dal momento che l’alternativa

del sussidio di disoccupazione è sempre meno appetibile.

5. Perché i paesi dell’Europa continentale tendevano ad avere tassi di

disoccupazione più alti di quelli registrati nel Regno Unito e negli Stati Uniti?

Al termine della seconda guerra mondiale i tassi di disoccupazione nei paesi

dell’Europa continentale erano in media più contenuti di quelli prevalenti negli Stati

Uniti. Questa situazione è cambiata in conseguenza degli shock petroliferi degli anni

1970. In quel periodo il tasso di disoccupazione è aumentato drasticamente su

entrambe le sponde dell’Atlantico; ma se, col tempo, negli Stati Uniti il tasso di

disoccupazione è tornato ai livelli precedenti

la crisi petrolifera, in Europa è rimasto stabilmente più elevato. Nel Regno Unito il

tasso di disoccupazione è tornato ai livelli antecedenti la crisi petrolifera soltanto negli

anni 1990, mentre in quasi tutti i paesi dell’area dell’euro il tasso di disoccupazione si

è mantenuto a livelli costantemente più alti: per esempio, in Francia non scende al di

sotto dell’8% da più di 25 anni. La ragione di questa sensibile differenza è che le

istituzioni del mercato del lavoro variano notevolmente da un paese all’altro. Nei paesi

con un tasso di disoccupazione

elevato, come Belgio, Francia, Finlandia e Germania, in media 9 lavoratori su 10 hanno

il salario determinato da contratti collettivi nazionali, contro il 18% negli Stati Uniti e il

35% nel Regno Unito. Questo suggerisce che, nei paesi ad alta disoccupazione, sia più

profondo il solco che separa chi è dentro da chi è fuori dal mercato del lavoro: in altre

parole, per il disoccupato è sempre più difficile ricevere offerte di impiego, perché il

salario corrente

è determinato da trattative alle quali partecipano esclusivamente gli occupati.

Un’altra differenza tra i paesi dell’Europa continentale, da un lato, e Stati Uniti e Regno

Unito, dall’altro, è la generosità dei sussidi di disoccupazione. Le variazioni sono

marcate e non è facile eseguire confronti diretti, ma il tasso di sostituzione è

indubbiamente più elevato in Francia e in Germania che negli Stati Uniti o nel Regno

Unito. Inoltre, probabilmente, nei paesi dell’Europa continentale è più facile mantenere

a lungo il sussidio di disoccupazione, e ciò rende i lavoratori tendenzialmente più

selettivi nell’accettare un nuovo lavoro, perché la prospettiva di rimanere disoccupato

non è, dal punto di vista economica, così negativa come per i lavoratori britannici o

statunitensi. Tale interpretazione non è condivisa da chi ha evidenziato che il sistema

del welfare non riesce a spiegare l’evoluzione storica del tasso di disoccupazione: in

alcuni paesi i sussidi di disoccupazione erano generosi anche negli anni 1960. Una

risposta a questa obiezione è che i sussidi di disoccupazione erano semplicemente una

bomba a orologeria pronta a esplodere: non ha rappresentato un problema fintanto

che l’economia è andata bene e i lavoratori trovavano facilmente un’occupazione

consona alle proprie capacità e aspirazioni; ma la crisi petrolifera – con i processi di

riallocazione intersettoriale che ha provocato – ha precipitato una massa enorme di

lavoratori nella rete di sicurezza offerta dal sussidio. Questi lavoratori, che ricevevano

un sussidio pari a una percentuale fissa dei loro (relativamente) elevati salari, non

erano disposti a trasferirsi in un settore diverso, guadagnando di meno, pur di

ricominciare a lavorare.

Più recentemente la stessa dinamica si è ripetuta in presenza di quello che gli

skill-biased

economisti chiamano cambiamento tecnologico (shock tecnologici che

favoriscono la forza lavoro più qualificata e riducono il valore di mercato relativo della

manodopera non qualificata). Il problema è sicuramente molto più complesso di

quanto questi semplici modelli lascino intendere, ma la drastica diminuzione della

disoccupazione nel Regno Unito a

seguito dello smantellamento di molte delle istituzioni dello Stato sociale e della

perdita di potere contrattuale dei sindacati suggerisce che le istituzioni del mercato

interno del lavoro siano un elemento cardine per spiegare le diverse esperienze del

fenomeno disoccupazione.

PROBLEMI E APPLICAZIONI PRATICHE

1. Rispondete alle seguenti domande sulla vostra esperienza di

partecipazione alla forza lavoro: a. Se siete alla ricerca di un’occupazione

part-time, quante settimane dovete attendere, mediamente, prima di

trovarne una? Quando trovate un lavoro, per quanto tempo in media restate

occupati?

b. Sulla base delle vostre stime, calcolate (su base settimanale) il vostro

tasso di collocamento al lavoro f e il vostro tasso di separazione dal lavoro s.

(Suggerimento. Se f è il tasso di collocamento al lavoro, la durata media del

periodo di disoccupazione è 1/f.)

c. Qual è il tasso naturale di disoccupazione per il gruppo demografico che

rappresentate?

(a) Nell’esempio che segue ipotizziamo che durante l’anno scolastico cerchiate un

lavoro part-time, e che in media siano necessarie 2 settimane per trovarne uno.

Ipotizziamo inoltre che un lavoro tipico duri un semestre, o 12 settimane. Se sono

necessarie due settimane per trovare un lavoro, allora il tasso di collocamento al

lavoro espresso in settimane è:

f = (1 lavoro/2 settimane) = 0,5 lavori/settimana

(b) Se il lavoro dura 12 settimane, allora il tasso di separazione dal lavoro espresso in

settimane è:

s = (1 lavoro/12 settimane) = 0,083 lavori/settimana

(c) Dal testo sappiamo che la formula del tasso naturale di disoccupazione è:

(U/L) [s/(s f

= _ )]

U L

dove è il numero di individui disoccupati e il numero di individui che compongono

s f

la forza lavoro. Sostituendo i valori di e di calcolati sopra, otteniamo:

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
24 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alek87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Macroeconomia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cagliari o del prof Moro Alessio.