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CISL
1.6.1. La ricostruzione e la Costituzione di carta
L’Italia uscì dalla guerra particolarmente distrutta, risultando necessaria un’opera di ricostruzione.
Nel 1960, quando la ricostruzione è ormai terminata, l’Italia è uno dei paesi più ricchi ed
industrializzati: e del resto, parte dello sviluppo fu pagato dai lavoratori che hanno lavorato, nel
corso di questi anni, privi di diritti e tutele. A partire dagli anni ’50, il diritto del lavoro dell’Italia
comincia il suo percorso, sulla base dei nuovi principi costituzionali. Tuttavia, nella
repubblicana
sostanza, la disciplina del rapporto individuale di lavoro continua ad essere quella degli anni del
fascismo, seppur depurata di alcuni elementi di ideologia prettamente corporativa. I principi in
tema di lavoro previsti, e tutelati, dalla Costituzione, vengono però completamente disattesi. E’
ad esempio incontestata la possibilità per il datore di lavoro di licenziare senza giusta causa il
lavoratore dipendente, pur essendo presente un art.4 che garantisce il diritto al lavoro. Ci si
comporta quindi come se la costituzione non esistesse, come se fosse quindi solo un “pezzo di
carta”: termine che del resto venne utilizzato dallo stesso , secondo il quale, per far
Calamandrei
si che quanto scritto nella Costituzione venga realizzato, è necessario che il popolo si mobiliti
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Esame di Diritto del lavoro
Prof L. Gaeta
Parte storica
nell’attuarla. La costituzione è rimasta carta per circa 10 anni, anche perché per lungo tempo
non è esistito nemmeno il garante delle sue norme, dato che la venne
Corte costituzionale
ufficialmente istituita nel . Quindi, il quadro giuridico degli anni ’50 è dominato da una
1956
costituzione molto avanzata che intende rovesciare il sistema autoritario precedente, ma la
situazione reale che si sviluppa in Italia per tutti quegli anni si pone in contraddittorio con
l’obbiettivo costituzionale.
L’ della Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di manifestazione del pensiero: si
art.21
sosteneva però che tale diritto fosse esercitabile dall’individuo solo nei confronti dello Stato, ma
non nei confronti dei terzi. Cioè, il mio diritto di manifestazione del pensiero posso esercitarlo
solamente nei confronti dello Stato, cioè in luogo pubblico, ma non posso obbligare qualcuno a
far valere il mio diritto in un luogo privato (ad esempio a casa sua). Da ciò, la conseguenza che
il lavoratore non può manifestare il proprio pensiero all’interno della fabbrica, nella quale
sussiste quindi un ordine completamente diverso rispetto a quello democratico garantito dalla
Costituzione; una costituzione di carta incapace di varcare i cancelli delle fabbriche.
Per quel che attiene il , sappiamo che i contratti collettivi stipulati dai sindacati,
diritto sindacale
in questo periodo, hanno efficacia solo nei confronti degli iscritti. I contratti, infatti, essendo
conclusi da un’associazione non riconosciuta, non hanno efficacia erga omnes. Nel 1959 si
cerca di dare una soluzione a questa situazione, troviamo infatti una legge delega, nota come
“ ” (dal nome del ministro del lavoro), che sostanzialmente autorizza il governo a
legge Vigorelli
ricopiare il testo dei contratti collettivi stipulati nei vari settori in quegli anni. I contratti
collettivi divengono quindi decreti legislativi, attribuendo così a questi la tanto agognata
efficacia generale, come soluzione alla praticamente impossibile attuazione dell’art.39 della
Costituzione. Nel frattempo, nel venne istituita la Corte costituzionale che nel 1960
1956
intervenne, dietro la reiterazione delle leggi delega, stabilendo che il sistema fino ad allora
portato avanti non poteva diventare uno strumento per aggirare l’art.39: quindi, fintanto che lo
stesso non viene attuato, non ci potrà essere nessun contratto collettivo.
In questi anni vengono inoltre prodotte varie norme sulla tutela dei lavoratori. Troviamo infatti
una legge del sul collocamento dei lavoratori; un testo unico in materia antinfortunistica,
1949
che non percorre tuttavia la strada della prevenzione, quanto dell’assistenza successiva al
verificarsi dell’evento dannoso; troviamo ancora nel una legge sulla tutela del lavoro
1950
femminile.
Nel , è inoltre importante sottolineare che, l’impresa supera per la prima volta l’agricoltura:
1951
l’Italia diviene ufficialmente un paese industrializzato, seppur l’industria sia sostanzialmente
concentrata nel “triangolo industriale”, ciòè Milano-Torino-Genova. In questo periodo prende
piede l’ : i lavoratori delle regioni meridionali tendono a spostarsi verso il nord,
emigrazione
dove, nelle grandi fabbriche, per via della già nota costituzione di carta, finiscono per lavorare a
nero e senza tutele.
Per quanto riguarda i giudici di questo periodo, questi sono gli stessi che hanno fatto
giuramento al fascismo e che adesso si fingono democratici ed antifascisti: le sentenze risultano
molto conservative e primeggiano una visione del diritto del lavoro del tutto sterile dei principi
costituzionali: danno quindi una mano a garantire la non applicazione della costituzione. Molto
interessante è invece il percorso della dottrina. In un congresso del 1954 a Taormina, infatti, si
fronteggiano due grandi opinioni ricostruttive del diritto del lavoro: una pubblicistica di
, che intende risistemare il diritto del lavoro alla luce della Costituzione (in
Costantino Mortati
un’ottica quindi pubblicistica), ed una privatistica di , che intende
Francesco Santoro-Passarelli
recuperare lo spirito originario del diritto del lavoro. Prevale la seconda ricostruzione, e il diritto
del lavoro ridiventa campo dei privatisti, ritornando ad essere una parte del diritto privato (così
com’era nel periodo liberale). Negli ordinamenti universitari però, il diritto del lavoro conquista
la fama di essere una materia di scarsa importanza, in quanto spesso insegnata per supplenza da
docenti di altre materie, sicuramente poco entusiasti di insegnarla. Pagina 1
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Esame di Diritto del lavoro
Prof L. Gaeta
Parte storica
1.7. Dal Boom al “sessantotto”: la breve storia del garantismo
Gli sono anni di boom economico e del consumo di massa. Presso la Fiat e le altre grandi
anni ’60
fabbriche si forma e rafforza un popolo di lavoratori subordinati che cominciano a maturare,
grazie anche al benessere economico e ai miglioramenti delle condizioni di vita e dell’istruzione,
e che acquistano la consapevolezza di loro stessi e del ruolo che svolgono nella nuova società
industriale. Ma non è soltanto la qualità della vita a cambiare, ma tutto nel complesso cambia.
Sono, infatti, gli anni della contestazione globale al sistema: si mette in discussione qualsiasi
autorità, da quella dei genitori a quella degli imprenditori e dei governanti; si scende in piazza a
protestare; cambia il costume. Anche la Chiesa si rinnova, grazie anche all’opera di Giovanni
, le cui encicliche sul lavoro inducono un forte cambiamento dell’atteggiamento dei
XXIII
politici cattolici nei confronti dei problemi del mondo del lavoro, e maggiormente dello
sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche. Tutto ciò culmina nel c.d. “ ”, cioè un
sessantotto
moto generale di protesta che partendo dalle università della Sorbona e di Berkley, apre le strade
ad un nuovo modo di pensare. La nuova corrente ideologica si traduce in un’alleanza tra
borghesia e proletariato, i quali si sforzano di superare le barriere di classe, in vista di una lotta
comune. In questo periodo di contestazione troviamo i vari movimenti studenteschi, e le lotte
operaie per i rinnovi dei principali contratti collettivi nel c.d. “ ” del .
autunno caldo 1969
In questi anni, in Italia, prendono piede opinioni politiche favorevoli ad una maggiore tutela
della classe lavoratrice che hanno indotto il legislatore ad emanare tutta una serie di
provvedimenti, come la legge del sugli “appalti di manodopera” volta a reprimere
1960
l’intermediazione fraudolenta nell’assunzione dei lavoratori, ed il c.d. “ ”, cioè il
caporalato
procurare manodopera a basso costo per un datore di lavoro. Troviamo anche una legge del
che individua il divieto di licenziamento della donna lavoratrice a causa del sua matrimonio
1963
(opinione prevalente era infatti che la donna dopo essersi sposata doveva pensare ad altro); se
quindi il licenziamento avveniva per via del matrimonio della donna, lo stesso veniva
considerato nullo. Si individuano quindi maggiori garanzie per i lavoratori: siamo nel c.d.
. Dal 1963, con l’ingresso al governo del partito socialista, tale politica
periodo del “garantismo”
si sviluppa ulteriormente fino a giungere all’emanazione della legge sui licenziamenti individuali.
Per la prima volta, sulla base di questa legge, si impone all’imprenditore di motivare il
licenziamento, istituendo il che in
principio di “giustificato motivo di licenziamento”,
combinazione con la “giusta causa” individuata dal codice civile, compone un sistema nel quale è
del tutto impedito il licenziamento “ad nutum”. In realtà però tale provvedimento vale soltanto
per le imprese di medio-grandi dimensioni, cioè quelle con più di 35 dipendenti, che guarda
caso sono proprio quelli che scendono nelle piazze a protestare e farsi sentire; quindi è solo
una piccola minoranza, rispetto al complessivo tessuto produttivo italiano, a beneficiare di tale
novità.
Dato il benessere economico del periodo, sono sempre di più le persone che possono
permettersi un livello di studi più alto. La giurisprudenza che si afferma in questi anni risulta
quindi radicalmente diversa, grazie anche alla : fino
liberalizzazione degli accessi universitari
agli anni ’50 per iscriversi a giurisprudenza era necessario il diploma classico; ora qualsiasi
diploma consente l’accesso alle facoltà giuridiche. Nel viene aperta la possibilità alle donne
1963
di fare il concorso in magistratura. Di conseguenza, l’ingresso di tanti giovani, anche donne, nei
primi gradi di giurisdizione porta a sentenze maggiormente orientate verso i bisogni delle classi
lavoratrici (vengono a tal ragione chiamati “ ”). Tuttavia, le loro sentenze spesso
pretori d’assalto
sono tecnicamente deboli e destinate ad essere riformate in corte d’appello.
C’è inoltre un’importante riforma dell’ordinamento giudiziario: inizialmente, i giudici per fare
carriera venivano giudicati da giudici superiori in relazione alle sentenze emanate (ogni giudice
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