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PREGI, DIFETTI E PROSPETTIVE DI RIFORMA DELLA LEGGE 91/1981
Deve essere riconosciuto alla L. 91/1981 (come messo in luce dalla prof.ssa Pittalis) il pregio di avere conferito per la prima volta natura di rapporto lavorativo alla prestazione dello sportivo professionista, per il quale è stato delineato un sistema di tutele non diverso da quello previsto per la maggior parte dei lavoratori (quindi tutela sanitaria, previdenziale, assistenziale ed altri diritti), ed il cui impegno, tempo, disciplina e partecipazione agli allenamenti si sono trasformati da strumenti di autodeterminazione in obblighi contrattuali.
Parte della dottrina ha visto con favore anche la previsione di cui all'art. 6 L. 91/1981, relativa alla corresponsione del premio di formazione e addestramento, questo sulla base del fatto che il legislatore statale si è dimostrato attento alle peculiarità il mondo sportivo e alle esigenze delle società sportive rispetto al cessato utilizzo.
ha compromesso la coerenza e l'efficacia. Altri autori hanno criticato la mancanza di una vera e propria tutela dei diritti degli atleti, sottolineando come la legge abbia favorito principalmente gli interessi delle società sportive e dei dirigenti. Inoltre, sono state evidenziate le lacune e le contraddizioni della normativa, che ha lasciato spazio a interpretazioni divergenti e ha generato incertezza giuridica. Infine, alcuni autori hanno criticato l'eccessiva rigidità della legge, che ha limitato la libertà contrattuale degli atleti e ha impedito loro di negoziare condizioni più favorevoli.presupponevala qualificazione come lavoro autonomo”.
In dottrina diversi autori hanno avuto l'impressione che si trattasse di una “legge malfatta non tanto per i finiperseguiti, ma soprattutto per le soluzioni tecnico-giuridiche adottate”, tant'è che ancora oggi è aperto il dibattito tra gli autori che propendono per l'autonomia e chi invece propende per la subordinazione del rapporto di lavoro.
La scelta del legislatore ha causato delle problematiche nella gestione concreta delle società, problematiche che sarebbero state risparmiate optando per lo schema del lavoro autonomo, infatti si poteva valutare il rapporto come lavoro autonomo e si potevano estendere alcune forme protettive di lavoro subordinato.
In dottrina si è anche sottolineata, tra le critiche sollevate, l'inadeguatezza dell'art. 7 della L. 91/1981, che prevede doveri di sicurezza in capo alle società però senza approntare sistemi di
repressione nel caso della violazione degli obblighi. Inoltre, si è anche criticata la manchevolezza della L. 91/1981 nella misura in cui dispone norme per la prevenzione ma non norme per la cura e la riabilitazione degli atleti. Al lavoro approssimativo del Legislatore sono ricondotti problemi interpretativi, problemi applicativi, problemi di costituzionalità e di coordinamento, sia tra le disposizioni interne alla Legge e sia tra la L. 91/1981 e le altre norme statali: queste incertezze sono nate, per il silenzio riservato agli sportivi dilettanti e per la mancata enunciazione dei caratteri identificativi dell'attività sportiva esercitata in forma autonoma. In questa prospettiva, i dubbi interpretativi rimangano nonostante l'elencazione di alcune fattispecie concrete di lavoro autonomo, perché "distinte e in qualche misura alternative" fra loro. Inoltre, la definizione del legislatore manca di chiarezza nel momento in cui non fa.rilevato che la normativa in questione potrebbe violare il principio di uguaglianza, in quanto impone agli atleti di sottostare agli accordi collettivi anche se non sono affiliati a sindacati o se sono affiliati a sindacati diversi da quelli che hanno stipulato gli accordi. La dottrina ha anche sottolineato che gli esempi forniti dal legislatore non costituiscono veri e propri casi di lavoro autonomo, ma piuttosto di lavoro subordinato che è escluso dall'applicazione della disciplina di riferimento. Inoltre, è stata sollevata la questione di costituzionalità riguardo alla disposizione che abolisce il vincolo sportivo solo per i professionisti, in quanto potrebbe essere contraria al principio di uguaglianza.rilevato un difetto di coordinamento tra l'art. 6 e l'art. 10 L. 91/1981, perché mentre l'art. 6 permettere anche alle associazioni di stipulare contratti professionistici, l'art. 10 annovera tra i soggetti legittimi alla stipulazione dei contratti con atleti professionisti solo società in forma di SPA o SRL, ed ancora, tra la legge sul professionismo sportivo e la legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (SSN). Altra grave mancanza della L. 91/1981 è stata quella di non curarsi dei professionisti di fatto, i quali, nel silenzio della legge, sono sottoposti alla disciplina dettata per i dilettanti, nonostante la situazione di fatto li renda maggiormente simili ai professionisti. In dottrina, questo proposito si è anche suggerito che il problema potrebbe essere risolto tramite la revisione delle norme federali: una maggiore omogeneità tra rapporti lavorativi sportivi potrebbe essere garantita con il riconoscimento delcarattere professionistico anche a quelle discipline che, pur essendo dilettantistiche, richiedono impegni agonistici al pari di quelle professionistiche.
Inoltre, si è evidenziato che la L. 91/1981 non ha contemplato la categoria dei semiprofessionisti, questa scelta ha avuto effetti negativi soprattutto per il calcio. La scelta del legislatore ha comportato nel calcio l'abolizione della Lega Nazionale Semiprofessionismo, con la conseguenza che le società che ne facevano parte sono state suddivise tra le categorie dei dilettanti o dei professionisti. Molte società inserite nella fascia professionistica hanno dimostrato di soffrire il professionismo per via dell'aggravamento dei costi e dei maggiori controlli esercitati sulla gestione della società, tanto che non poche di loro sono fallite (fra queste, anche il fallimento del Palermo, della Ternana, della Spezia e del Varese).
A fronte dei difetti rilevati, sarebbe stato più opportuno,
Secondo l'opinione della maggior parte della dottrina, evitare di creare categorie in maniera aprioristica e dare maggiore rilievo alla situazione concreta. Infatti, è stato osservato che il legislatore avrebbe preferibilmente potuto garantire una maggior libertà alle parti nella qualificazione del rapporto di lavoro, lasciando spazio ad alternative diverse dalla subordinazione o dall'autonomia e consentendo alle parti di decidere lo schema contrattuale maggiormente adatto a loro "in funzione del tipo di sport praticato e della relativa natura, di squadra o individuale". In conclusione, da più parti in dottrina si auspica una revisione della legge sul professionismo sportivo: alcuni autori hanno chiesto al legislatore di dettare una precisa ed esplicita disciplina per i professionisti di fatto e di contemplare nuovamente una fascia di semiprofessionismo, che fungerebbe da anello di congiunzione tra dilettantismo puro e professionismo.
pieno. → Altri autori hanno avanzato la richiesta di rivedere totalmente l'impostazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo, passando dalla subordinazione all'autonomia, anche se, restano molte voci contrarie all'una e all'altra tesi.GLI SPORT SULLA NEVE: in particolare, L'ATTIVITÁ SCIISTICA E LA LEGGE 24 DICEMBRE 2004 N. 363, NORME IN MATERIA DI SICUREZZA NELLA PRATICA DEGLI SPORT INVERNALI DA DISCESA E DA FONDO → La crescente diffusione degli sport sulla neve, dell'attività sciistica, ed il conseguente, considerevole ed incisivo, aumento del "rischio sinistri" dovuto al sempre maggior numero di appassionati che, spesso privi di opportuna cognizione tecnica e di preparazione atletica, praticano l'attività sciistica, ha indotto il legislatore ad emanare una normativa di carattere generale per disciplinare la sicurezza degli "utenti" nella pratica degli sport invernali. → È intervenutala L. 24 dicembre 2003 n. 363, recante "Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo", che disciplina 2 importanti aspetti: 1. la gestione delle aree sciabili attrezzate (negli artt. da 2 a 7) 2. e le norme di comportamento degli utenti delle aree sciabili (negli artt. da 9 a 19), applicabili a quegli sportivi che non praticano gli sport sulla neve a livello agonistico. → La L. 363/2003 ha comprensibilmente focalizzato la propria attenzione sulla disciplina dello sci amatoriale. Nell'ipotesi di sci praticato a livello agonistico, la diligenza, la prudenza e la perizia dell'atleta andranno valutate infatti con riferimento a quanto pretendibile dallo sciatore medio e non, certamente, dall'uomo medio. → In epoca antecedente alla L. 363/2003 l'esigenza di disciplinare lo scontro tra sciatori aveva portato la dottrina e la giurisprudenza ad interrogarsi sull'equiparabilità degli sci ai veicoli senza.
Guida di rotaie, al fine di valutare l'applicabilità agli stessi, in mancanza di prova circa le quote di responsabilità degli sciatori coinvolti in un sinistro sulla pista da sci, della presunzione di cui all'art. 2054, 2° comma, C.c. in tema di circolazione dei veicoli, in base alla quale "Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli".
Si tratta, anche nel caso di scontro tra sciatori, di una situazione di "prevenzione bilaterale del danno", tale per cui entrambi i soggetti erano tenuti ad adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno, e conseguentemente, l'approccio corretto avrebbe dovuto essere quello dell'estensione analogica dell'art. 2054, 2° comma, C.c., il cui criterio presuntivo poteva soccorrere in caso di impossibilità di accertare in concreto la colpa esclusiva di uno.
deglisciatori o la misura di colpa concorsuale.→ Sul punto, la giurisprudenza era divisa, e si rinvenivano sia pronunce nel senso della riconducibilità dello sciamatoriale al concetto di “circolazione”, sia pure “su pista sciabile”, che decisioni in senso contrario.La Sent.