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Tuttavia il Cristianesimo non avrebbe potuto affermarsi stabilmente sulle più alte espressioni
filosofiche della cultura pagana se non avesse compiuto, oltre alla semplice opera di proselitismo,
anche un lavoro di chiarimento dottrinale di alto livello, capace di definire la visione cristiana del
mondo e i connessi problemi teologici: per far questo il pensiero filosofico divenne indispensabile.
Inoltre la riflessione dei pensatori cristiani fu stimolata dall’urgente bisogno di difendersi dalle
accuse degli avversari, ebrei e pagani. Ebrei e pagani con lo scopo di impedire la diffusione del
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cristianesimo, formularono precise accuse contro di esso .
Il cristianesimo fu subito accusato dai pagani di aver prodotto un rammollimento delle solide basi
morali dell'impero che avrebbe esposto quest'ultimo alle penetrazioni dei barbari: da una parte il
cristianesimo aveva creato un insieme di valori antitetici a quelli dei pagani, dall'altra, e per la
maggiore, il motivo della caduta dell'impero è da ricercare nella fragilità politica di base.
Per proteggere la Chiesa dalle accuse di provocare la dissoluzione della civiltà romana, Agostino
aveva voluto spiegare che l'Impero aveva sì avuto, fino a un certo momento, la funzione di riunire
e sussumere sotto una unica autorità tutti i popoli dapprima dispersi, ma ora trovava le ragioni
della sua decadenza nella suprema volontà di Dio, secondo cui sarà la Chiesa, da questo
momento in poi, a guidare gli uomini verso l'unica salvezza possibile, quella rappresentata dalla
fede.
La sua decadenza non poteva, quindi, essere imputata in alcun modo alla religione cristiana, ma
era il frutto di un processo storico teleologicamente preordinato da Dio in funzione della
risurrezione di quegli uomini che, vivendo nella misericordia di Dio ed evitando di smarrire la
propria libertà nel cedimento alle tentazioni malvagie, avrebbero potuto godere della salvezza
divina quando la città degli uomini sarebbe stata distrutta per sempre. In questo senso la
decadenza di Roma venne interpretata come un preannuncio di questa prossima distruzione e,
quindi, come una esortazione per gli uomini ad abbandonare l'attaccamento alle cose terrene per
volgersi al solo Bene rappresentato da Dio; fu un'interpretazione che si protrasse per tutto il
Medioevo, specie in seguito alle lotte per la supremazia tra il Papa e il Sacro Romano Impero.
S.Paolo ricorda come in Cristo si incarnò la divinità: il cristianesimo adora Dio nell'uomo. Adorare
Dio nell'uomo è venerare l'uomo come Dio. Ebrei e Musulmani sono invece contrari a questa idea.
Se venero Dio nella ragione venero Dio come essere razionale, quindi venero la ragione. Se
venero Dio nell'uomo venero l'uomo stesso. Se calo Dio nell'uomo sopprimo di fatto la sua
differenza con l'uomo. Anche se l'uomo è l'abito di Dio, non si trascende l'essere umano. Dietro un
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Dio che ha la sua immagine nell'uomo non può celarsi altro contenuto che l'essere umano .
Se il cristianesimo è auto-divinizzazione dell'uomo, come si distingue dal paganesimo? Il
20 Accuse ebraiche: nel Talmud (termine ebraico con cui sono designate le dottrine e gli scritti post-biblici messi per
iscritto verso il V secolo d.C.) e nella letteratura post talmudica Gesù è chiamato Notzrì ovvero il Nazareno, altre volte
è chiamato Ben Pandera, altre volte Ben Stada (Ben = nato da): nel primo caso con allusione al padre, nel secondo in
riferimento alla madre che sarebbe stata cacciata dal marito Giuseppe perché sospettata di adulterio (strada = adultera)
con un soldato romano di nome Pandera.
paganesimo venera le qualità, il cristianesimo l'essenza dell'uomo. Il paganesimo non divinizza
l'uomo in quanto uomo, ma l'uomo in quanto grande artista, imperatore ecc.. anche come uomo
ma solo per accidente. Il pagano è quindi idolatra perché non si innalza fino all'essenza dell'uomo
in quanto tale, ma divinizza alcune sue immagini, determinate proprietà e individualità. E' politeista
perché le proprietà da lui cantate sono di molti uomini. Il cristianesimo è monoteista perché
l'essenza dell'uomo è una sola. Il pagano ha divinità sessuate e nazionali, ma davanti al Dio
cristiano tutti sono uguali. Questo Dio è l'uomo, assoluta identità e indifferenza di tutte le differenze
e opposizioni. Divinizzando uomini il pagano dimostra che per lui l'uomo non è Dio, e che vuole
bensì fare dell'uomo Dio, ma non ci riesce perché comincia dall'uomo.
Il cristianesimo non divinizza nessuno, la divinità dell'uomo è per lui scontata. Gli uomini ereditano
la nobiltà della divinità dal loro padre, l'uomo. Nel paganesimo se la conquistano coi meriti. Umiltà
cristiana contro superbia pagana. Quanto più un uomo è nella sua essenza (cristiano) tanto meno
è nell'immaginazione (nel pagano l'immaginazione sostituisce la mancanza di realtà).
Il pagano viene fatto Dio, per un consulto o propria decisione, mentre il cristiano nasce Dio.
Insomma i pagani divinizzavano l'uomo solo in modo illusorio e superficiale, i cristiani in modo
completo e radicale. Nel paganesimo la divinità è un privilegio, nel cristianesimo un bene comune
legittimo. Cristo è la fine di tutte le divinizzazioni dell'uomo perché è Dio per tutti (i pagani
divinizzarono uomini perché i loro dei avevano già caratteri umani).
Il paganesimo è una religione, anzi una religiosità, un atteggiamento religioso, fondato su quella -
se vogliamo usare l' espressione di Nietzsche - che potremmo chiamare la fedeltà alla terra, al
finito. È una forma di religiosità il cui paradigma resta quello naturale, è una religiosità che ci parla
di nascita e di morte, che ci parla di un grande ciclo, che ci parla di una realtà vivente, che incarna
le forze della natura. Insomma, la natura è davvero lo sfondo su cui si stagliano questi grandi
racconti, che sono i racconti mitologici. In questo senso si può parlare di fedeltà alla terra. Più
esattamente ancora sarebbe il caso di parlare di fedeltà alla natura, ma a una natura animata,
perché questo è anzitutto il paganesimo. A quest'idea risponde il paganesimo: che la natura è viva,
che la natura ha una sua dinamica, una sua anima, una sua realtà che deve essere rispettata e
che soprattutto ci parla. Ci parla per enigmi, ci parla lanciandoci dei messaggi, ci parla dicendoci
qualche cosa che noi dobbiamo ascoltare e interpretare.
Rispetto della natura: non soltanto rispetto della natura, ma anche consapevolezza che la natura è
inoltrepassabile, è come un orizzonte, è uno sfondo sul quale si stagliano i racconti nei quali
decifriamo i segni che ci parlano delle nostre realtà più profonde. Per l'appunto la natura deve
essere rispettata e ascoltata perché è viva, anzi è la vita, è la nostra vita, è l'origine stessa della
vita. E, in quanto vita, tutte le sue espressioni sono a loro volta animate. Le divinità non sono altro
che forme della natura stessa, espressioni di questa forza vitale che ha il suo luogo nella natura.
Dunque fedeltà alla terra, rispetto e ascolto della natura, natura come limite ultimo, religione, che,
appunto ci lega in questo senso ultimo di finitezza. La natura è opera di Dio. Esce dalle mani di Dio
e Dio la giudica come un suo prodotto, e la giudica come un suo prodotto buono. "Valde bonum",
"fortemente buono" è ciò che esce dalle mani, dalle mani di Dio. Ma, per l'appunto, esce dalle mani
di Dio, è qualche cosa cui Dio dà una sorta di avviamento, lasciando poi che faccia il suo corso,
ritirandosi presso di sé. Questa idea di Dio che si ritira che, volendo lasciar essere la natura, deve,
in qualche modo, ritirirarsi e ritrarsi è un'idea ebraica, ma poi raccolta anche dalla tradizione
cristiana.
Dio è creatore della natura, ma proprio in quanto creatore, la natura ha una sua libertà, una sua
indipendenza nei confronti di Dio stesso, che si inabissa nella sua trascendenza assoluta rispetto
alla natura stessa. Proprio qui incontriamo un principio che giustificherà nell'ambito della tradizione
21 Pier Franco Beatrice 1990, pp. 7-14
cristiana, quello che è il riconoscimento della possibilità di superare i limiti della natura. La natura
non è un qualcosa di ultimo, la natura non è l'orizzonte entro cui l'esperienza è possibile e al di là
del quale in fondo non c'é nulla, non c'é nulla perché Dio se è qualcosa, la divinità se è qualcosa
non è se non a misura che è incarnata nella natura. La natura, abbiamo visto, per il cristiano è la
scena della sua vita, è il campo in cui si gioca la sua vita. Ma il principio decisivo della sua stessa
vita è altrove, rimanda a quell'altrove che è Dio, che è Dio stesso. Il principio, come avrebbe detto
Kierlegaard, di libertà. Mentre il pagano nella natura vede come un orizzonte
inoltrepassabile della sua esperienza, il cristiano è originariamente chiamato a oltrepassare questo
stesso orizzonte in nome di quella libertà il cui fondamento è il ritrarsi di Dio, il fatto che Dio per
creare la natura si è ritratto presso di sé e ha lasciato essere la natura nella sua libertà. Da questo
punto di vista non possiamo parlare propriamente di fedeltà alla terra, di fedeltà alla natura da
parte del cristiano. Il cristiano è fedele a qualcosa d'altro e di diverso, è fedele non tanto alla natura
e alla terra, ma a qualcosa di altro rispetto alla natura e alla terra.
Allo spirito. Naturalmente qui il discorso si fa particolarmente complesso e vasto, ma quando
diciamo che il cristiano non è fedele alla terra, ma fedele allo spirito, diciamo che il cristiano, a
differenza del pagano, è un uomo libero, cioè un uomo che è responsabile delle sue azioni. Non
che il pagano non lo sia, ma lo è in modo diverso. C'é una
identificazione per il pagano con la realtà naturale dentro la quale lui si trova a vivere, c'é una sorta
di immediatezza. L' "eros", per esempio, qualcuno ha detto è un fatto tipicamente cristiano. Mi
sembrerebbe strano, perché il cristianesimo se mai censura l'esperienza erotica, censura
un'esperienza che invece il pagano viveva come assolutamente naturale. Ma appunto, proprio
perché il pagano viveva questa esperienza come assolutamente naturale, non faceva problema
per lui. Al cristiano in