vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il biotipo sottile ha denti più lunghi rispetto al biotipo spesso nel quale i denti
sono più quadrati.
Il biotipo sottile non è sinonimo di recessione. Comunque chi ha un biotipo
sottile rispetto a chi ha un biotipo spesso ha maggior rischio di avere
recessioni. A maggior ragione in chi ha biotipo sottile e ha protesi c’è rischio.
Allora si potrebbe fare una chirurgia preventiva per modificare il biotipo prima
di fare la protesi, soprattutto se sto in aree estetiche. Come cambio il biotipo?
Inserisco connettivo preso dal palato.
Ora apriamo un discorso su un’altra variabile.
Esiste una quantità “adeguata” di gengiva aderente (cioè l’altezza
apico-coronale di gengiva aderente)?
Studio di Lang e Loe 1972: esiste una relazione tra l’ampiezza (altezza)
della gengiva aderente e la salute gengivale (cioè infiammazione)? 32
studenti di odontoiatria in cui fu misurata l’altezza della gengiva
aderente e cheratinizzata sulla superficie medio vestibolare dei denti.
(La gengiva cheratinizzata è uguale alla gengiva aderente più la
gengiva libera). Meno di 2mm di gengiva cheratinizzata ( cioè meno di
1mm di gengiva aderente considerando che la libera è 1mm) venne
chiamata scarsa gengiva cheratinizzata, se erano di più venne detta
adeguata gengiva cheratinizzata. Si vide che dove c’era gengiva scarsa
c’era sempre infiammazione. Conclusione: c’è relazione tra stato di
salute gengivale e altezza della gengiva aderente, quindi se c’era poca
gengiva in altezza questa non poteva essere sana. Però venne poi
visto che questo non è vero. E ora vediamo perché.
Nel 1977 Myasato, Crigger, Egelberg: 250 studenti di odontoiatria con
igiene controllata di cui 16 con almeno un sito con gengiva
cheratinizzata minima (<1mm) o apprezzabile (<2mm) e si vide che in
questi non c’era flogosi. Perciò smentirono Lang e Loe. Di questi 16 ne
presero 6 su cui venne fatta una gengivite sperimentale ( cioè non
dovevano lavarsi più i denti) e si vide che la rapidità con cui si
sviluppava l’infiammazione era uguale sia nei siti con gengiva poco alta
che in quelli con gengiva alta. Quindi conclusione: avere o no in altezza
molta gengiva aderente non protegge dall’infiammazione o anche
averne poca non condanna all’infiammazione, purchè ci sia un’igiene
controllata.
Studio di Schoo, Van der velden, valuta la recessione in siti che in
partenza avevano poca o molta gengiva aderente in altezza, osservati
longitudinalmente nel tempo, dopo cinque anni. Ci sono due gruppi
(uno con gengiva aderente pari a zero e l’altro che aveva almeno un
minimo di gengiva aderente). Recessione gengivale dopo cinque anni
era uguale nei due gruppi.
Dopo chirurgia parodontale, Lindhe e Nyman dimostrano che le zone che
prima della chirurgia avevano poca gengiva cheratinizzata dopo chirurgia
avevano lo stesso grado di recessione post-chirurgica di quelle che avevano
molta gengiva cheratinizzata prima della chirurgia.
Quindi sembrerebbe che avere poca o molta gengiva cheratinizzata in
altezza non influenzi la salute parodontale a patto che l’igiene sia controllata
(cioè vuol dire che l’igiene è buona).
Studio di Wennstrom e Lindhe: studio su cani, split mouth, creata
parodontite sperimentale e quindi si formarono delle tasche sopra
ossee che raggiungevano la giunzione muco gengivale. Si eliminarono
le tasche con gengivectomia (invece solitamente in questo caso si fa il
lembo a riposizionamento apicale, perché altrimenti con la
gengivectomia si toglie tutta la gengiva aderente). Quindi i cani non
avevano gengiva aderente, ma poi da un solo lato della bocca venne
ricreato gengiva aderente attraverso un innesto. L’igiene era controllata.
I cani vennero sacrificati e venne fatta l’istologia. Risultato: la presenza
o meno di gengiva cheratinizzata non influenza il mantenimento della
salute parodontale sia nei quadranti sani che in quelli sottoposti a
parodontite sperimentale.
Studi longitudinali di Dorfman, Kennedy (1980, 1982, 1985): 92
pazienti che avevano una gengiva cheratinizzata di altezza inferiore a
2mm (era considerata da Lang e Loe scarsa) cioè meno di 1mm di
gengiva aderente. Sul lato test è stato fatto innesto gengivale libero
cioè la gengiva è stata aumentata in altezza, sul lato controllo non è
stato fatto niente. Valutazione clinica (indice gengivale, indice di placca,
profondità di sondaggio, livello di attacco, recessione) : a 2anni, a 4
anni, a 6 anni: nessuna differenza fra lato test e lato controllo (cioè
l’infiammazione e la recessione si manifestavano sia sul lato test che
sul lato controllo). Igiene controllata (cioè dovevano fare sedute di
igiene a studio). Quindi avere o no gengiva cheratinizzata in altezza
non condiziona lo stato di salute, purchè l’igiene sia controllata.
A 6 anni gli autori differenziarono quei pazienti che hanno continuato a farsi
fare il mantenimento a studio e quelli che non lo facevano più.
E videro che in quelli che, dopo il primo anno che era iniziato lo studio, non
andavano più alle sedute di mantenimento di igiene (quindi per cinque anni)
si ristabilì un’infiammazione gengivale sul lato di controllo (cioè dove non è
stato fatto il trapianto) e in più c’era un’ulteriore recessione (cioè la
recessione si aggravava). Questo non succedeva nei siti dove era stato fatto
il trapianto.
Quindi conclusione di tutti questi studi: avere o no tanta gengiva
aderente in altezza non è un fattore che condiziona la salute gengivale,
purchè l’igiene sia controllata. Quindi la quantità di gengiva aderente
non è un elemento anatomico predittivo per dire si sicuramente lì ci
sarà infiammazione e quindi conseguentemente recessione. Poi
vedremo che nel caso di protesi le cose sono un po’ diverse.
“Una banda di tessuto connettivo denso può interferire con la diffusione
dell’infiammazione, riducendo la velocità di diffusione della malattia
parodontale” Goldman (1951)
Un tessuto spesso non verrà infiltrato a tutto spessore dall’infiltrato
infiammatorio e quindi non si distruggerà a tutto spessore.
Esiste una correlazione tra ampiezza (l’altezza) apico-coronale della
gengiva e sviluppo di una recessione? C’è chi dice di si e c’è chi dice di
no. Chi dice di si sono pochi e sono studi vecchi, la maggior parte dice di no.
Chi dice di no sono studi longitudinali (hanno alto livello di evidenza, cioè
sono più probanti degli studi trasversali che sono quelli che dicono di si).
Lo stesso discorso che abbiamo fatto per i denti naturali si può
applicare anche per gli impianti?
Attorno agli impianti c’è la mucosa masticatoria. La chirurgia effettuata alla
riapertura determina la quantità di mucosa masticatoria che si trova attorno
ad un impianto quindi dipende dal dentista. Attorno all’impianto c’è l’attacco
epiteliale più lungo rispetto al dente naturale. Le fibre sopracrestali sono ad
andamento perpendicolare prima e poi parallelo rispetto all’impianto, questo
venne visto sugli impianti machined (lisci), negli impianti ruvidi (plasma spray)
invece sembra che le fibre si mantengono perpendicolari fino alla superficie
impiantare.
Più ci si avvicina all’impianto in senso orizzontale, più il tessuto diventa
fibroso e povero di cellule e di vasi, e questo sembra condizionare in senso
negativo la resistenza di questi tessuti all’infiammazione.
Vennero fatti degli studi sui cani:
Studio di Berglundh: gengivite sperimentale a breve termine (3
settimane): l’ampiezza dell’infiltrato infiammatorio è identica tra denti di
controllo e impianti.
Studio di Ericsson: gengivite sperimentale consolidata (3 mesi): infiltrato
maggiore negli impianti.
Studio di Lindhe: parodontite/perimplantite sperimentale (6 mesi):
infiltrato maggiore negli impianti.
Quindi sembra che i tessuti perimplantari, a parte i primi tempi sono meno
resistenti all’infiammazione rispetto ai tessuti attorno al dente naturale.
Perciò possiamo dire che i tessuti perimplantari si comportano in modo
diverso rispetto ai denti naturali, quindi non so se quello che vale per i denti
naturali lo posso trasferire anche agli impianti.
Mentre nella parodontite l’infiltrato infiammatorio si trova solo nei tessuti molli
e non nell’osso, nella perimplantite invece si, infiltrato infiammatorio si
estende anche dentro l’osso.
I pazienti suscettibili alla parodontite e ancor di più alla parodontite
aggressiva, sono più suscettibili alla perimplantite.
Nel leggere gli studi fatti sugli impianti dobbiamo stare attenti nel vedere se
quegli studi valutano solo se gli impianti sono rimasti nel cavo orale, ma
anche come, cioè in che stato sono.
Trattare la perimplantite è più difficile del trattare la parodontite, perché nella
parodontite posso levigare la radice, negli impianti non posso ovviamente,
sono più difficile da pulire. Gli impianti lisci, che si usavano prima erano
ovviamente più facili da pulire e trattenono meno placca. Ora però si usano
gli impianti ruvidi.
Mezzi per decontaminare la superficie impiantare: curette, scaler ad
ultrasuoni, acido citrico, clorexidina, oppure lo spray di bicarbonato, questi
sembrano avere una qualche efficacia, ma curette e scaler non servono a
nulla. Il laser non fa niente.
È fondamentale avere una superficie impiantare non contaminata. Quando
andiamo a trattare difetti intraossei attorno agli impianti potremmo anche
vedere che si riforma osso, ma questo osso non è a diretto contatto con la
superficie implantare, ma c’è l’interposizione di epitelio o di connettivo.
Studio di Lindhe: cani in cui misero due tipi diversi di impianto: quello a
esagono esterno e un altro sempre a esagono esterno ma formato da
due parti: una delle due parti aveva una vite che lo faceva avvitare nella
seconda parte. Poi viene fatta la perimplantite sperimentale e si aspetta
che l’osso si riassorba fino a metà impianto su entrambi i tipi di
impianto. Vennero fatti dei lembi e pulita la superficie implantare
dell’impianto pezzo unico con clorexidina, spray di bicarbonato, venne
pulita in tutti i modi possibili. Venne messo il Bio Oss, e la membrana e
richiuso il lembo. Nell’altro tipo di impianto venne sostituito il pezzo di
sopra (che era stato interessato dalla parodontite) con un altro pezzo
nuovo, sterile, poi Bio Oss, membrana e richiuso il lembo. Si aspetta la
guarigione, poi si sacrificano i can