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Effetti dell'ossigeno
R−SH RS O+OH → +H 2 con l'eliminazione del radicale OH e la produzione di quello RS, molto meno dannoso. Questi composti possono, altrimenti, donare il proprio idrogeno nel sito in cui è stato rimosso, in modo da riparare chimicamente il sito danneggiato dalla radiazione; questo tipo di reazione risulta in competizione con quella di fissaggio del danno da parte dell'ossigeno.
Come abbiamo già detto, l'ossigeno è un fattore modulante della dose. In particolare, se è nota la curva dose-sopravvivenza per una linea cellulare mantenuta in aria, è possibile ottenere quella in assenza di ossigeno semplicemente moltiplicando la prima per un fattore costante, che prende il nome di Oxygen Enhancement Ratio (OER): D(in assenza di ossigeno)OER= D(in presenza di ossigeno) rapporto tra le dosi in assenza e presenza di ossigeno, riferite allo stesso effetto.
L'ossigeno deve essere presente durante
l'irraggiamento o subito dopo, in quanto il processo che influisce sull'effetto della radiazione è di tipo radiochimico e non fisiologico. Si osserva anche che l'OER dipende dalla concentrazione di ossigeno o, in figura, dalla pressione parziale; in particolare, si ha un aumento rapido da 1 a 2 nell'intervallo da 0mmHg (anossia) a 3mmHg (0,5%, come nell'aria atmosferica), dopodiché ulteriori aumenti di ossigeno variano poco l'OER (fino a 3).
L'OER dipende dal LET della radiazione; in particolare, è dell'ordine di 2 o 3 per radiazione a basso LET, mentre risulta inferiore per quella ad alto LET. Ciò è dovuto alla maggior produzione di radicali da parte della radiazione a basso LET.
10. MODELLI PER LA SOPRAVVIVENZA CELLULARE.
Teoria del bersaglio di Lea: è uno dei primi modelli sviluppati per descrivere la mortalità clonogenica cellulare; questo venne sviluppato da D. Lea utilizzando soprattutto dati relativi a microrganismi.
Esso si fonda sulle seguenti ipotesi: esiste, all'interno della cellula, un bersaglio o più soggetto alla radiazione;
- questi bersagli possono essere in un dato numero entro la cellula e l'inattivazione di questi porta
- all'inattivazione della capacità riproduttiva della cellula stessa. Il numero dei bersagli totali e quello
- necessario per l'inattivazione della cellula non sono noti a priori.
- l'ordine di inattivazione dei diversi bersagli è irrilevante
- la deposizione di energia è di natura discreta e stocastica sia nel tempo che nello spazio.
Il modello è stato sviluppato considerando una popolazione cellulare esposta a radiazione di basso LET, in modo che
- la probabilità di interazione e deposizione di energia multipla sul singolo bersaglio sia piccola e trascurabile.
Indichiamo con il termine di eventi attivi gli assorbimenti di energia che potrebbero produrre il danno biologico - escludiamo quindi gli
eventi che portano a ricombinazione e restituzione chimica; inoltre, chiamiamo urti gli eventi attivi che avvengono entro il volume del bersaglio. La natura degli eventi attivi non è nota, ma si può pensare che essa coincida con il fenomeno di radiolisi dell'acqua. Il volume del bersaglio viene indicato conv
, mentre l'intero volume cellulare con V
; diciamo d
la densità volumetrica di eventi attivi, che sarà proporzionale alla dose ceduta alla cellula. Abbiamo quindi che la probabilità che avvenga un urto risulta vρ = Vd
, ponendo D = Vd
il numero totale di eventi.
La probabilità che una cellula venga colpita h
volte, ovvero che nel volume sensibile v
si abbiano h
eventi attivi, è data da una distribuzione binomiale:
P(h; D) = C(ρ^h * (1- ρ)^D-h)
con C = D! / (h! * (D-h)!)
(il coefficiente binomiale).
Introducendo H(h)
la probabilità che una cellula sopravviva ad h
urti, si ottiene chelaprobabilità di sopravvivenza di una cellula colpita h volte durante D eventi, i quali hanno una probabilità ρ di colpire il volume sensibile della cellula, è h D-hP(ρ, h, D) = C H(ρ)ρ(1-ρ)^(h)D-h. La sopravvivenza totale è quindi data dalla somma di queste probabilità: S(ρ, D) = ΣP(ρ, h, D)ρ^(h) da 0 a D.
Da questo modello, che ha come equazione generale l'espressione appena presentata, possiamo ricavare alcuni casi particolari. Ad esempio, se assumiamo che la cellula sopravviva solamente se h=0, ovvero nel caso di inattivazione per singolo urto, si ha che H(ρ) per h=0 = 1 e H(ρ) per h≥1 = 0. In questo caso la sopravvivenza diventa S(ρ, D) = (1-ρ)^D.
Essa può essere riscritta come D ln(1-ρ)S = e e considerando una probabilità di interazione bassa, ovvero ρ→0, possiamo approssimare a D-ρS = e.
Ricordando ora la definizione di D, possiamo introdurre il coefficiente di sopravvivenza R, definito come R = D-ρS.inattivazione α=ρv, tale per cui1D = α0corrisponde alla dose letale media.
Un altro esempio può essere ipotizzato osservando che, sperimentalmente, le curve di sopravvivenza presentano una spalla alle basse dosi e non seguono sempre l'andamento esponenziale che si ottiene con l'ipotesi di singolo bersaglio.
Pertanto possiamo ipotizzare che nella cellula ci siano n bersagli, ognuno con la stessa probabilità q di essere colpito; ipotizziamo anche che ogni urto sia in grado di inattivare ogni bersaglio. Sia B(b) la funzione che esprime la probabilità di sopravvivenza di b bersagli colpiti; allora si ha che la probabilità che una cellula sopravviva è
B(b,n,D) = C B(b)(q (1-e^(-qD))^n-b
Se si assume che b<n allora B(b) è tale per cui la probabilità è pari a 1, mentre se b≥n si ha che B(b)=0, allora la probabilità totale di sopravvivenza si può facilmente calcolare.
Poiché l'ennesimo bersaglio colpito dà luogo a sopravvivenza nulla e ha probabilità pari a n-qD(1-e), essa può essere sottratta a 1 per avere la probabilità di sopravvivenza totale: n-qDS(q, n, D) = 1-(1-e)^n. La figura rappresenta l'andamento che si ottiene con questo modello, rispetto a quello a singolo bersaglio (tratteggiata). Notiamo che per S<<0,1 le due curve coincidono; abbiamo indicato la dose 1/q con D, corrispondente alla dose che riduce la sopravvivenza a 0,37 nel tratto lineare (0,037 in quello complessivo). Si noti anche che l'estrapolazione del tratto lineare all'asse delle ordinate fornisce n, con derivata nulla. Lea sviluppò questo modello basandosi soprattutto su dati relativi a microrganismi. Lo sviluppo della coltura in vitro di cellule di mammifero dopo gli anni '60 mise in evidenza che la parte finale della curva di sopravvivenza non è lineare; il valore di D.sembrava non essere costante, ma decresce al crescere della dose. Inoltre i risultati sperimentali sembravano meglio descritti da una funzione del tipo: 2DD - (α + β)S = e Negli anni '70 si svilupparono numerosi modelli, almeno due dei quali prevedono il tipo di dipendenza lineare-quadratica: il modello molecolare e la teoria dell'azione duale della radiazione. Tuttora questa funzione è generalmente usata per descrivere le curve di sopravvivenza. Modello molecolare Proposto da K. H. Chadwick e H.P. Leenhouts nel 1981, questo modello si basa sulle seguenti ipotesi: - all'interno della cellula ci sono delle molecole la cui integrità è essenziale per la sopravvivenza della cellula, tra queste il DNA; - le lesioni prodotte dalla radiazione sono le rotture dei legami molecolari del DNA e il danno più critico corrisponde alla rottura della doppia elica (DSB); - i processi di riparazione includono ricombinazione, processi ditrasferimento di carica, processi di• restituzione e la riparazione enzimatica.
Sia N il numero totale di legami critici per unità di massa, ovvero di quei legami che porta alla rottura della singola0elica del DNA (SSB). Indicando allora con N il numero di legami intatti dopo la cessione di una dose D, si ha che
dN → −kDN e− =kN =N 0dD
in cui k è la probabilità “costante” di rottura di una singola elica. Il numero di legami rotti per unità di massa e per unità di dose è allora −kDN – N =N (1−e )0 0
Ora, le DSB possono essere dovute alla rottura della doppia elica in un singolo evento di deposizione di energia, oppure alla rottura di ogni catena indipendentemente, ma sufficientemente vicine nel tempo e nello spazio per cui si ha la rottura della doppia catena. Indichiamo allora con Δ la frazione di dose che agisce secondo il primo meccanismo e con (1-Δ) quella che agisce mediante il
secondo; il numero di legami rotti per cellula, sulla catene 1 e 2, sono rispettivamente k D k(1-Δ)D(1-Δ)q n – e e q n – e=ρ [1 ] =ρ [1 ]1 1 1 2 2 2 nelle quali n è il numero di legami critici sulle rispettive catene, mentre ρ sono le frazioni di legami riparati.1,2 1,2
Poiché, come abbiamo detto, affinché le due SSB portino a una DSB, occorre che esse siano vicine nel tempo e nello spazio, introduciamo un fattore di efficacia, E, che esprime la probabilità che esse lo siano e che portino ad una DSB. Allora il numero di DSB non riparate, causate dal secondo meccanismo citato, è 2-k(1-Δ )DQ E n n= ρ ρ ρ [1-e ]b 1 2 1 2 0 nella quale ρ rappresenta la frazione di DSB non riparate. Analogamente, per il primo meccanismo: 0 D-k ΔQ =n ρ [1-e ]01 0 0 nella quale n è il numero di siti che possono avere DSB.0
Il numero medio di lesioni della doppia catena
non riparate a seguito di questi meccanismi sarà dunque la somma diQ e Q :1 2 D 2−k Δ −k (1−Δ )DQ=n 1−e n nρ [ ]+E ρ ρ ρ [1−e ]00 0 1 2 1 2 0per cui il numero di rotture della doppia elica letali è{ }D D 2−k Δ −k (1−Δ)Q p C= [1−e ]+C [1−e ]0p 1 2nella quale p è una costante di proporzionalità tra DSB e morte cellulare. La frazione di cellule sopravvissute saràinfine p−QS =eSe k e k, costanti pari alla probabilità di rottura di legame per unità di dose, sono piccole, allora possiamo scrivere0che la sopravvivenza risulta 2S p(α D+β D=exp [&min;