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FISICA SEMI-CLASSICA
2.1 RADIAZIONE DEL CORPO NERO – EFFETTO FOTOELETTRICO – EFFETTO COMPTON
Come abbiamo già visto, gli anni a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento furono un periodo di intenso lavoro scientifico per risolvere le questioni aperte dalla teoria elettromagnetica di Maxwell. Essi però non erano gli unici problemi aperti, uno dei quali riguardava il fenomeno di radiazione di un corpo nero.
Nel 1859, Gustav R. Kirchhoff enunciò il suo teorema sulla capacità di emissione e assorbimento dell'energia dei corpi. Nota l'esistenza della radiazione termica, un corpo emette onde elettromagnetiche in relazione alla sua temperatura; osservando la relazione tra frequenza d'onda e temperatura del corpo, Kirchhoff affermò che,
T , T u ,Tε ( ν )= α( ν )( ν )̃ ̃ ̃
con ε il potere emissivo e α la capacità di assorbimento del corpo, dipendenti dalla frequenza della radiazione e dalla
temperatura del corpo. La funzione u, detta funzione universale, non dipende dalle caratteristiche fisiche del corpo, come materiale, forma ecc. Essere in grado di definire la funzione universale significa riuscire a spiegare qualsiasi fenomeno di radiazione termica; per di più, per certi corpi, detti corpi neri, i quali presentano un coefficiente di assorbimento α pari all'unità, la relazione di Kirchhoff prende la forma, T u , Tε ( ν )= ( ν )̃ ̃ È quindi possibile studiare la funzione universale osservando le proprietà del potere emissivo di un corpo nero. Nel 1890, John William Strutt, barone di Rayleigh, insieme a James Jeans, cercò di dare una modellizzazione dell'andamento a campana della funzione universale, in figura. Essi considerarono una cavità, modellizzata ragionevolmente come corpo nero, in uno stato stazionario. In questo caso, le onde elettromagnetiche emesse dalle pareti interne della cavità possono
essere considerate come oscillatori. In questo caso, un'onda stazionaria in una cavità cubica di dimensione L può esistere solamente se la sua lunghezza d'onda è un sottomultiplo intero della dimensione della cavità stessa; se così non fosse, infatti, si genererebbero fenomeni di interferenza distruttiva.
Ammettendo l'esistenza di questi oscillatori elettromagnetici e considerando la loro energia media, si giunge ad un'espressione della funzione fondamentale data da:
T(ν) = 8 π ν˜3 c-2 / (ehν/kT - 1)
nella quale k = 1,380649x10-23 JK è la cosiddetta costante di Boltzmann. Questa funzione da buone previsioni per lunghezze d'onda elevate (frequenza basse), ma non quando esse diventano brevi. Infatti la legge prevede che gli oscillatori di lunghezza d'onda brevissima risultino fortemente eccitati anche a temperature ordinarie (300 K). Questo evento prese il nome di catastrofe ultravioletta dato che erano proprio questi il tipo
di raggi che dovevano essere emessi dai corpi a temperature ordinarie. Fino al 1900, la questione rimase aperta e fu il fisico tedesco Max Planck a dare una spiegazione consistente con i dati sperimentali. Egli diede la seguente modellizzazione:
&inseriti in un tubo nel quale si è fatto il vuoto, collegati ad un circuito elettrico sottoposto ad una differenza di potenziale, la corrente elettrica misurata sul circuito aumenta linearmente con l'intensità del fascio luminoso che illumina uno degli elettrodi. Inoltre si osserva che l'energia cinetica degli elettroni aumenta linearmente con la frequenza dell'onda, ma non prima che questa abbia raggiunto una frequenza di soglia. Classicamente, era già noto che un metallo riscaldato è in grado di emettere elettroni, una volta superata una soglia energetica, detta lavoro di estrazione, Φ. L'energia cinetica degli elettroni emessi per quello che viene detto effetto Joule è pari a E = K - Φ. Questo fenomeno era stato ampiamente provato, così come i lavori di estrazione studiati per una grande varietà di materiali. Tuttavia, per quanto riguarda l'effetto fotoelettrico, non si capiva, in un'ottica classica,
Perché dovesse esserci una frequenza di soglia.
Nel 1905, Einstein pubblicò una soluzione al problema: egli osservò l'analogia tra l'effetto Joule e l'effetto fotoelettrico e propose, ricordando la relazione tra frequenza e stato energetico data da Planck, una formulazione per l'energia cinetica degli elettroni emessi, introducendo anche la frequenza di soglia, ν:
E = hν - hνK 0
Questa analogia, a prima vista forzata, venne poi sostenuta fortemente dai dati sperimentali, forniti da dieci anni di misure fatte da Robert A. Millikan, i quali mostrarono che ν = Φ/h, e garantì il Nobel ad Einstein.
Einstein propose un'interpretazione per questo risultato: egli ipotizzò che l'energia dell'onda, così come l'onda stessa, fosse discretizzata in pacchetti energetici pari a hν, chiamati fotoni. Ne consegue che il campo elettromagnetico stesso risulta quantizzato; inoltre, sebbene la natura
La natura ondulatoria della luce fosse stata ampiamente dimostrata e studiata, essa presenta, durante l'interazione con la materia, proprietà corpuscolari. La diffusione Compton o effetto Compton è un fenomeno di scattering interpretabile come un urto perfettamente elastico tra un fotone e un elettrone considerato libero. Il fenomeno fu osservato per la prima volta da Arthur Compton nel 1922.
L'esperimento consisteva nell'utilizzo di una sorgente di raggi X, fatti incidere su una lastra di grafite (collimatore), così da poterne analizzare lo spettro con un analizzatore posto oltre la lastra stessa. In questo modo la lunghezza d'onda della radiazione incidente, λ, avrebbe potuto variare ad un valore λ' cambiando l'angolazione dell'analizzatore, θ, sebbene classicamente non si aspettasse alcuna variazione, per via della risonanza tra forzante (onda elettromagnetica) e oscillatore (elettrone). Compton però ottenne qualcosa di
differente: nella distribuzione spettrale del raggio rilevato, non si hanno differenze apprezzabili, in accordo con la predizione classica. Tuttavia, per angoli elevati, come 45°, 90° o 135°, si nota un incrementale separazione dei picchi di distribuzione spettrali.
Per via empirica, Compton ottenne la cosiddetta formula dello spostamento Compton: −λ=λλ (1−cos θ)C-12, con λ una costante pari a λ =2,4262x10 m detta lunghezza d'onda Compton.
Successivamente, Compton provò a modellizzare il fenomeno, sfruttando il concetto di fotone. Già da Maxwell era noto che l'energia di un'onda elettromagnetica è data da E= pc, con p la quantità di moto. La teoria di Einstein, invece, ammette l'esistenza di particelle puramente energetiche con energia espressa dalla medesima relazione di sopra. Quindi perchè non considerare la radiazione elettromagnetica come particellare?
possibile immaginare che tra la particella fotone e gli elettroni degli atomi di grafite -considerati liberi per la loro distanza dall'atomo e perché è statisticamente più probabile che vengano colpiti nella collisione- si verifichi un urto elastico. In questa situazione è noto che la quantità di moto totale e l'energia sono conservate: p_i + p_f = p_c + p_e E_i + E_f = E_c + E_e Ricavando la quantità di moto dell'elettrone diffuso da entrambe le relazioni: p_e = p_i - p_f E_e = E_i - E_f Svolgendo qualche calcolo si ottiene: p_c = (m_c / (m_c + m_e)) * p_i p_e = (m_e / (m_c + m_e)) * p_i Uguagliando le due espressioni si ottiene: 1 - cos(theta) = (m_e / (m_c + m_e)) * (E_i / E) Notiamo un'analoga tra questo risultato e la formula dell'urto elastico tra due particelle.teorico e quello sperimentale, infatti, se si suppone cheE=hν=hc/λ, si ha h'λ −λ= (1−cos θ)m ceE a tutti gli effetti, la costante h/m c risulta essere pari alla lunghezza d'onda Compton.eNotiamo però che questa formulazione sembra, apparentemente, non dare spiegazione del fatto cheun'onda di lunghezza λ viene rivelata a qualsiasi angolazione. Ciò si può spiegare semplicementeosservando che l'ipotesi di elettrone libero non può essere valida per qualsiasi punto della strutturamolecolare del collimatore; infatti gli elettroni dei gusci più interni sono fortemente legati al nucleo.Con una buona approssimazione è possibile sostituire m con m , la quale è enormementee ATOMOmaggiore della massa elettronica, cosicchè lo spostamento Compton risulta trascurabile.Si noti che è possibile generalizzare la formula di Compton inserendo la generica massa
m:h'-λ=λ(1-cos θ)mc^2.2 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR
Intorno ai primi anni del Novencento, presero vita esperimenti volti allo studio della natura degli oscillatori elettromagnetici introdotti da Rayleigh, Jeans e Planck. Si ipotizzò che essi avessero a che fare con la natura degli elementi fondamentali della materia, gli atomi, la cui struttura era già nota dagli esperimenti di Ernest Rutherford - di cui parleremo meglio in seguito.
L'esperimento che accomuna le esperienze principali è impostato nel seguente modo: si considera un gas surriscaldato di idrogeno, noto essere l'elemento più semplice, e