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La distribuzione del potere
Lasciando da parte il punto di vista marxista, possiamo suddividere le moderne teorie sulla distribuzione del potere in quattro tipi fondamentali: la teoria delle élite, il pluralismo, il totalitarismo e la democrazia.
La parola "élite" è ampiamente diffusa nell'uso sociale per indicare un gruppo superiore in termini di capacità o privilegi. L'elemento centrale della teoria elitista è che in qualsiasi sistema politico è una minoranza della popolazione a prendere le decisioni fondamentali. I teorici delle élite sono per lo più antimarxisti e in genere anche fortemente antidemocratici, poiché sostengono che la teoria democratica varia a seconda della realtà alla quale si applica e, in pratica, è una forma di governo con un'innata debolezza. È implicito nelle teorie elitiste che il gruppo dominante sia consapevole della propria esistenza, coeso nel proprio comportamento.
E possieda un comune senso dei fini. La minoranza organizzata sarà sempre capace di sopraffare la maggioranza della società che è meno organizzata o non organizzata. Mosca divide l'élite in uno strato superiore (consistente in un piccolo gruppo di soggetti che prendono le decisioni politiche) e in uno strato inferiore (che svolge funzioni di leadership meno importanti, ad esempio i leader d'opinione e gli attivisti politici). Le relazioni tra l'élite e il resto della società si misurano in termini di autorità e reclutamento delle élite e mutano secondo due coppie di variabili. Il rapporto di autorità può basarsi o sul principio autocratico (l'autorità fluisce dalle élite verso le masse) o liberale (dalle masse verso le élite). Il reclutamento si basa su una dicotomia simile: c'è la tendenza aristocratica secondo cui il movimento è ristretto all'interno dell'élite,
conspostamenti dallo strato inferiore a quello superiore; e la tendenza democratica in cui i movimenti vanno dalle masseverso l'élite. Mosca era fortemente antidemocratico ma i seguito ha cambiato posizione ed ha accettato l'idea che ungoverno rappresentativo è il sistema migliore per articolare gli interessi a cui le élite dovrebbero rispondere, e percontrollare l'autorità autocratica della burocrazia attraverso l'autorità liberale di un'assemblea rappresentativa. Di fattoMosca avrebbe ristretto il diritto di voto alle classi medie e superiori.Il principale lavoro di Michels si concentra sui partiti politici; tuttavia la sua ben nota legge ferrea dell'oligarchia haimplicazioni ed applicazioni più vaste. Michels ha cercato di comprovare la sua teoria dell'oligarchia (il dominioautoperpetuantesi da parte di poche persone) studiando l'organizzazione dei partiti socialisti europei, in particolare
Il Partito socialista tedesco. Infatti egli sosteneva che non poteva esserci prova migliore per dimostrare che la legge ferrea esiste realmente se non quella di scoprire chi realmente esercitava il potere in partiti che pretendevano di essere controllati dalle masse dei propri iscritti. Michels giunge alla conclusione che l'organizzazione è l'inevitabile conseguenza della portata e della complessità delle attività umane. Una volta costituita un'organizzazione, essa viene dominata dalla sua leadership. Sostenendo che i partiti sono essenzialmente macchine per conquistare e conservare il potere Michels sostiene che per conseguire questo scopo essi devono moderare le proprie ideologie e le proprie politiche per ottenere un consenso che vada oltre l'ambito dei militanti di partito. A questo proposito l'iniziativa sta in larga parte nelle mani della leadership del partito che ha un netto vantaggio organizzativo sui semplici militanti.
Questo vantaggio è reso ancora più consistente da un fattore psicologico, l'apatia della maggioranza della popolazione che è ignorante e non si interessa della politica, tranne quando questa tocca direttamente i suoi interessi. Michels considera la manipolazione della non-élite da parte dell'élite come il normale stato di cose che si verifica in una società. Pareto e Mosca erano contemporanei e rivali; e avevano differenti opinioni riguardo alla formazione dell'élite, alle ragioni della sua esistenza, e al modo in cui avviene il suo reclutamento, cioè il problema della sua rigenerazione. Al pari di Mosca, Pareto sostiene che l'élite è composta da due distinte parti: le élite di governo (che influenzano direttamente o indirettamente le decisioni politiche) e le élite non di governo (che detengono posizioni di leadership nella società, ma non influenzano le decisioni politiche).
Pareto rifiuta l'idea marxista secondo la quale il gruppo dominante nella società è il risultato delle forze economiche o sociali, e sostiene che l'élite ha origine dagli attributi umani, dalle capacità individuali e dagli istinti. Gli esseri umani non agiscono secondo logica ma cercano di giustificare le proprie azioni in modo logico attraverso ideologie o valori che Pareto chiama derivazioni. Esse producono istinti ostinati della mente che Pareto chiama residui e sono questi a formare le basi dell'attività umana. Egli distingue i residui in due tipi: istinti di combinazione (comprendono l'uso delle idee e l'immaginazione, coloro che agiscono su queste basi sono le volpi) e persistenza degli aggregati (si pone l'accento su continuità, stabilità e ordine, coloro che agiscono su queste basi sono i leoni). In ciò Pareto richiama Machiavelli, il cui ideale è una combinazione tra saggezza e regolatezza.
così come per Pareto è una combinazione tra volpi e leoni. Pareto si distingue da Mosca e da altri teorici dell'élite in quanto non condivide l'idea che vi siano fini comuni e coerenti fra l'élite; viceversa sostiene che gli individui agiscono in quanto individui e per questo motivo spesso non sono in grado di prevedere le conseguenze né delle proprie azioni né di quelle degli altri. Burnham ha un approccio economico. Condivide con Marx l'idea che il potere risiede nelle mani di coloro che controllano i mezzi di produzione e sostiene che, mentre all'indomani della rivoluzione industriale costoro erano i capitalisti, nelle società industriali avanzate il controllo dei mezzi di produzione è passato a coloro che hanno competenze manageriali e tecniche che costituiscono la nuova élite. Wright Mills ha un approccio istituzionale. Sostiene che l'élite americana è radicata nelle strutture.La società è dominata da un complesso industriale-politico-militare di élite che in parte si sovrappongono, con spostamenti da un'élite all'altra. I membri più importanti di questo complesso costituiscono un'élite del potere.
Uno dei maggiori sostenitori della teoria Pluralista è Dahl. Egli ha cercato di confutare le teorie elitiste esaminando determinate decisioni politiche e chiedendosi se in tutti i casi esaminati un'élite definita fosse responsabile dei risultati del processo decisionale. Perché si possa sostenere che un'élite esiste e domina il processo decisionale devono verificarsi le tre condizioni seguenti: l'ipotetica élite è un gruppo ben definito; c'è un buon numero di casi che implicano decisioni politiche in cui le preferenze dell'élite sono contrarie a quelle che
qualsiasi altro gruppo potenzialmente esistente potrebbe suggerire; in questi casi le preferenze dell'élite prevalgono regolarmente. Per dimostrare la sua tesi Dahl indaga i processi decisionali nella città di New Haven in tre ambiti politici: il riassetto urbano, l'istruzione pubblica e il processo di definizione delle cariche partitiche a livello locale. A conclusione delle sue analisi egli afferma che i risultati delle decisioni su queste tre aree di problemi erano determinati dall'attività di tre gruppi reciprocamente chiusi, e dunque che non esiste una singola élite ma una pluralità di interessi. Essi tuttavia sono in uguali, in particolare nella disponibilità di risorse, e quindi nella capacità di influenzare le decisioni. Di fatto egli descrive un sistema di élite in competizione reciproca. Dahl definisce tale sistema come una poliarchia, cioè un governo di molti. Il punto di vista pluralista ha avuto
origine dal concetto di gruppo di pressione o di interesse, un'organizzazione che cerca di influenzare le decisioni politiche che riguardano le proprie posizioni o i propri interessi. È il pluralismo ad aver rappresentato la principale sfida non marxista ai teorici elitisti. La critica più ovvia che si potrebbe fare allo studio di Dahl su New Haven è che si tratta di un caso atipico. Tuttavia la più fondata critica al pluralismo fa riferimento a quella che Lukes ha definito come la seconda e terza dimensione del potere. Il pluralismo si preoccupa solo delle decisioni osservabili, istanze che di fatto sono nell'agenda politica e ignorano quelle che ne sono tenute fuori. Questa è la seconda dimensione del potere, Lukes sostiene che c'è una terza dimensione, quella del conflitto latente, che deriva dagli interessi reali dei membri della società. La seconda dimensione costituisce una seria critica della posizione pluralista e non.È difficile trovare argomenti per sostenerla, ma la terza dimensione, seppur logicamente impeccabile, è difficile da dimostrare, perché la verità, come la bellezza, è in ultima analisi negli occhi dello spettatore.- Il Totalitarismo e la democrazia vengono di solito considerati a ragione come concetti diametralmente opposti, ma hanno in comune il fatto di porre l'accento sulla partecipazione politica di massa, in contrasto con la teoria elitista, che tende per lo più a trascurare le masse considerandole subordinate e soggette a manipolazione da parte dell'élite, e con la teoria pluralista, che considera le masse come una molteplicità di interessi in competizione. Sono stati proposti due tipi di definizioni, quella fenomenologica e quella essenzialista. Friedrich ha dato la più nota definizione fenomenologica, secondo cui uno stato totalitario ha le seguenti caratteristiche: un'ideologia totalizzante, un