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• LIBERALISMO E LIMITI DELLA CITTADINANZA
Il diffondersi di concetti quali “multiculturalismo, politica della differenza, politica
dell’identità e politica del riconoscimento” indica una crisi del modello di cittadinanza
basato sul possesso di diritti universali. Questo modello accordava il riconoscimento dello
status di cittadino a tutti gli individui di uno Stato mediante la concessione di diritti civili,
politici e sociali. Alcuni gruppi finirono per sentirsi marginalizzati, oppressi ed esclusi a
causa della propria identità socio-culturale diversa. Per questo motivo c’è bisogno di una
nozione di cittadinanza sensibile all’identità socio-culturale degli individui.
Il processo di elaborazione di quest’ultima è stato accompagnato da nozioni quali “diritti
collettivi o di gruppo”, così il liberalismo è sembrato incapace di difendere i diritti delle
minoranze.
Kymlicka ha cercato di dimostrare che: il liberalismo può elaborare un’efficace teoria dei
diritti delle minoranze e che sono le premesse stesse della teoria liberare ad esigerlo. Il
suo progetto teorico consiste nella giustificazione dei diritti delle minoranze come mezzi
per proteggere comunità culturali, che sono essenziali per la libertà e l’uguaglianza degli
individui.
• LIBERALISMO E CULTURA
Kymlicka concepisce il liberalismo come un insieme di argomenti morali sulla
giustificazione dell’agire politico e delle istituzioni. Questo viene esposto mediante tre
proposizioni.
1. L’interesse di ogni singolo consiste nel condurre una vita buona e di avere quelle
cose che una vita buona contiene – Il processo deliberativo per indentificare cosa
rende una vita buona avviene in un contesto caratterizzato da relazione di
interdipendenza, la cultura.
2. Dobbiamo condurre la nostra vita dall’interno, in accordo con le nostre credenze
(principio cardine del liberalismo politico a proposito della neutralità della Stato).
3. Dobbiamo essere liberi di mettere in dubbio, esaminare e talvolta cambiare le
nostre credenze.
Da qui derivano le libertà civili e personali, l’avversione al paternalismo e l’interesse per a
tutela della privacy.
Quando Kymlicka parla di cultura, si riferisce a culture sociali che sono caratterizzate non
solo da valori e tradizioni comuni ma anche da un insieme di istituzioni e pratiche sociali
condivise (territorio, linguaggio); perciò una cultura, nel modo in cui la intende Kymlicka,
può essere pluralista.
• DIVERSITA’ CULTURALE E DIRITTI DELLE MINORANZE
Kymlicka distingue due tipi di diversità culturale cui corrispondono due tipi di Stati.
1. Minoranze nazionali: la diversità culturale trae origine dall’assorbimento di uno stato
più ampio di culture territorialmente concentrate che in precedenza di governavano
da sole (esempio: Quebec in Canada, Trentino in Italia). Queste minoranze non
aspirano all’assimilazione ma a forme di autonomia o di auto-governo, come poter
parlare la propria lingua d’origine, in modo da preservare la propria specificità
culturale. – Stati multinazionali.
2. Minoranze etniche: la diversità culturale è data dall’immigrazione. Gli immigrati,
essendosi trasferiti volontariamente, sono disposti ad integrarsi nella nuova cultura
sociale senza la pretesa di ricostruire la propria cultura sociale. – Stati polietnici.
La diffusione internazionale del multiculturalismo è stata possibile grazie all’accettazione di
tre principi fondamentali:
1. Lo Stato deve appartenere a tutti i cittadini in eguale misura.
2. Le minoranze non devono essere assimilate coercitivamente.
3. Riconoscimento dei torti commessi dalle maggioranze, accettazione della legittimità
di politiche compensative.
Mettendo in atto i tre principi sopra descritti, gli Stati hanno concesso alle minoranze alcuni
diritti. Kymlicka ha fatto una distinzione tra diritti di auto-governo (riguardano l’autonomia
politica concessa alle minoranze nazionali), diritti polietnici (diritti concessi agli immigrati
per esprimere la la loro specificità culturale) e diritti di rappresentanza speciale (diritti
richiesti per sopperire ai possibili deficit di rappresentatività delle istituzioni nei confronti
degli interessi delle minoranze – attuazione di tribunali speciali).
Questi diritti costituiscono forme di cittadinanza differenziata secondo l’appartenenza di
gruppo, in quanto vengono attribuiti all’individuo come facente parte di un gruppo culturale
– questo giustifica il fatto che il liberalismo può elaborare un’efficace teoria dei diritti delle
minoranze, infatti alcuni diritti alle minoranze sono coerenti con i principi del liberalismo.
• DIRITTI DELLE MINORANZE E LIBERALISMO
I diritti delle minoranze possono essere accettati solo quando non contraddicono il rispetto
della libertà e dell’autonomia degli individui. Per dimostrare che quanto sopra detto è vero,
Kymlicka utilizza due argomenti. Il primo fa riferimento alla cultura come contesto in cui
l’autonomia si esercita e acquista significato (gli individui scelgono e diventano autonomi
all’interno della cultura a cui appartengono), il secondo si basa sulle premesse egualitarie
della teoria liberale.
POSSIBILE OBIEZIONE: pericolo derivante dalla concessione alle minoranze illiberali di
questi diritti, esempio: gruppo tradizionalista. Kymlicka risponde formulando una
distinzione tra due tipi di pretese.
1. Restrizioni interne: misure che un gruppo può avanzare per ridurre l’impatto del
dissenso interno (restrizione delle libertà fondamentali). Incompatibili con il
liberalismo.
2. Tutele esterne: misure che un gruppo richiede per proteggere la sua esistenza e
identità. Accettabili.
Per quanto riguarda il secondo argomento, quello che si basa sulle premesse egualitarie
della teoria liberale, possiamo dire che i principali esponenti del liberalismo sono Rawls e
Dworkin le cui teorie si basano non solo sulla differenza tra scelte e circostanze ma anche
e soprattutto sulla compensazione delle ultime. Posto che l’appartenenza ad un
determinato gruppo culturale svantaggiato sia una circostanza immeritata, possiamo
ritenere che i diritti delle minoranze possano legittimamente trovare posto all’interno della
teoria liberale.
Infine, secondo Kymlicka, gli immigrati aspirano a integrarsi e non rappresentano una
minaccia, perciò le loro richieste vanno interpretate come la ricerca di termini equi di
integrazione.
• LIBERALISMO, AUTONOMIA E DIRITTI DELLE MINORANZE
Kymlicka fa dell’autonomia il valore fondante della sua teoria, intendendola come
revisibilità razionale dei propri fini, ovvero la capacità di rivedere i propri fini in base a
ragioni. Anche in questa accezione l’idea di autonomia si mostra problematica perché
discutibile.
Prima di tutto, la tesi non è auto-evidente né universalmente condivisa perché come ha
scritto Parekh “l’idea di vivere all’interno è di stampo Protestante e ha giocato solo un
ruolo limitato nel corso della storia”. Perciò, l’autonomia è solo uno dei modi possibili di
esistenza nelle società liberali. In questo modo, la teoria di Kymlicka sembra incapace di
cogliere e rispettare la profonda diversità che caratterizza il mondo contemporaneo.
Kymlicka ritiene che nelle società contemporanee esistono diversi gruppi culturali che
attribuiscono grande valore al rispetto delle tradizioni, ma un’enfasi accentuata
sull’autonomia potrebbe portare alla marginalizzazione di tali gruppi.
Il liberalismo di Kymlicka aspira a liberalizzare le minoranze non-liberali, ma questa
trasformazione non deve essere coercitiva. Perciò Kymlicka distingue tra processo di
identificazione della teoria liberale più difensibile e il problema di chi possa esercitare
l’autorità di imporla alle minoranze che non la riconoscono. Tranne nel caso di gravi
violazioni dei diritti umani, ciò che gli Stati liberali possono fare si limita all’azione indiretta
e al fornire incentivi alla liberalizzazione. Nuovamente, l’approccio di Kymlicka si dimostra
incapace di rispettare le minoranze nella loro specificità.
A questo, Kymlicka risponde che la concezione liberale del multiculturalismo trasforma le
tradizioni culturali dei popoli: sia il gruppo dominante che quello subordinato entrano in
relazione trasformandosi da entrambe le parti coinvolte. In questo senso, si richiede al
gruppo maggioritario di rinunciare alle fantasie di superiorità razionale e di abbandonare il
modello secondo cui le minoranze devono essere assimilate coercitivamente. Mentre da
parte delle minoranze si esige il rifiuto delle pratiche contrarie ai principi liberal-
democratiche.
• IMMIGRATI E DIVERSITA’ CULTURALE
L’immigrazione è un fenomeno largamente volontario e i migranti sono disponibili a
integrarsi nella società che li accoglie. Essi non cercano di riprodurre in toto la cultura
sociale del Paese di provenienza ma cercano di ottenere un’integrazione che sia il più
equa possibile attraverso l’inclusione (come già sopra descritto).
Diverse critiche sono state mosse a Kymlicka. In primo luogo, c’è qualche perplessità a
proposito dell’idea che gli immigrati cerchino sempre di integrarsi. Inoltre, anche l’idea che
i fenomeni migratori siano sempre di natura volontaria può essere messa in dubbio.
Un’altra difficoltà emerge dalla presenza di una qualche forma di pregiudizio
multinazionale. L’approccio di Kymlicka si presenta come teoricamente ingeneroso, perché
l’argomento principale si basa sull’appartenenza a una cultura sociale, ma gli immigrati ne
sono privi, perciò non esiste un argomento specifico che giustifichi i diritti polietnici. Una
ragione del pregiudizio multinazionale può risalire all’origine canadese di Kymlicka e il
interesse per le questioni delle minoranze nazionali.
L’integrazione pluralista di cui parla Kymlicka non è stata ancora raggiunta, anzi negli
ultimi anni si è diffuso un clima di sfiducia nei confronti delle politiche multiculturali.
Dunque, un modello teorico come quello sopra descritto sembra non avere alcun riscontro
nella realtà.