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ESIODO
8: Esiodo e la Musa - Gustave Moreau
L’altro grande poeta epico dell’età arcaica è Esiodo, il quale nei secoli viene
rappresentato come il poeta investito per eccellenza. Lo si pone abitualmente
nell’VIII° ma la sua cronologia precisa non è certa; gli antichi ragionavano
lungamente sulla cronologia relativa tra lui ed Omero, ed alcuni pensavano che
Esiodo fosse addirittura anteriore ad Omero, tanto che vi è un’opera che li mette a
confronto in un agone.
Con Esiodo si è di fronte a delle importanti novità. Egli scrive due opere che si
interessano ad argomenti del tutto diversi da quelli trattati nei poemi omerici, ma
furono i due poeti ai quali si è attribuita la ‘creazione’ della teogonia greca, ed è lo
stesso Erodoto ad esporre questo pensiero:
“Io credo che Omero ed Esiodo siano più vecchi di me di 400 anni e
non oltre: e furono proprio questi poeti a fissare per i Greci la
teogonia, ad assegnare i nomi agli dei, a distribuire prerogative e
7
attività, a dare chiare indicazioni sul loro aspetto. ”
Ciò vuol dire che già nel V° secolo a.C., da colui che viene considerato il fondatore
della storiografia, Omero ed Esiodo fossero coloro che avessero dato forma al
pantheon olimpico (e non a quello romano). Di questo tema si occupa una specifica
opera di Esiodo, la Teogonia (‘nascita degli dei’).
In realtà questo poema si apre con un’ampia sezione che è propriamente una
cosmogonia (nascita del cosmo), nella quale si racconta come dal Caos primigenio e
dalla Notte sia nato tutto il resto. La seconda generazione fu quella di Urano (il
cielo) e Gea (la terra), fratello e sorella: secondo Esiodo ogni notte Urano giaceva
sopra Gea, ma Urano, terrorizzato dal pensiero di essere detronizzato da uno dei
suoi figli, li ricacciava appena nati nel ventre materno. Se non che uno dei suoi figli,
Kronos (l’equivalente di Saturno), con un falcetto tagliò i genitali al padre; genitali
che caddero a sud ovest del Peloponneso, e dai quali nasce Afrodite (la dea che
nasce dalla schiuma –afròs-), una dea quindi di una certa antichità e che conserva in
sé una valenza primigenia in quanto dea non solo dell’amore, ma anche della
fecondità intesa come impulso di aggregazione della materia.
Detronizzato, Urano si ritira e Kronos (che non è il tempo, il quale invece è Chronos),
salito al trono, acquisisce la paura del padre di essere detronizzato, e si accoppia con
Rea. Essi hanno una serie di figli, che alla nascita vengono ingoiati dal padre, finché
nasce Zeus, che Rea sostituisce con una pietra, la quale porta il reflusso degli altri
figli e alla salita al potere di Zeus. Per affermare il proprio potere Zeus deve
misurarsi con i suoi fratelli e con gli dèi della generazione precedente, e a ciò viene
7 Esiodo, Storie, Libro II
dedicata la seconda parte della Teogonia, definita titanomachia. Zeus affronta i
Titani, esseri anziani quanto lui, li sconfigge e spesso li esilia.
Si è dinanzi a quello che può essere definito un mito di successione. Miti di
successione ne sono attestati diversi in area mediorientale, e non sono affatto
dissimili da quello olimpico, essendo similmente molto cruenti.
All’inizio del poema Enuma Elish (‘quanto sopra’) vi è l’episodio dell’unione tra Anu
(cielo) e Eea (terra) e il figlio dei due Marduk sale al potere rendendo magicamente
impotente il padre. Nel poema Kumarbi si prevede la successione tramite l’azione di
Kumarbi di inghiottire i genitali del padre Anu.
Nell’Enuma Elish si parla ad un certo punto anche di due dei originari che
rappresentano non cielo e terra, ma cielo e acqua, e una cosa del genere è attestata
anche nell’Iliade, nel XV° canto, vi è un accenno alla teogonia degli dei greci, quando
si accenna alla spartizione tra Poseidone, Ade e Zeus della terra. E questo fa pensare
che, ovviamente, ci fossero molte versioni della nascita del mondo e degli dei (già in
età storica), la più importante delle quali è la Cosmogonia Orfica, inerente al mondo
misterico, la quale afferma che il cosmo nacque da un uovo primordiale.
Tuttavia anche all’interno della cosmogonia olimpica ci sono delle discrepanze. Nei
poemi vicino orientali si trovano delle somiglianze sia alla versione omerica (che
rimane comunque accennata) che a quella esiodea. Nel poema orientale Atrahsis vi
è un mito analogo a quello del XV° libro dell’Iliade, nel quale gli dèi Anu (il cielo),
Enlil (il tempo) ed Enki (l’acqua). La cosa interessante è che questo poema si apre
con Anu, il più importante degli dei, che sente il desiderio di alleggerire il mondo
dagli uomini e manda il diluvio. Esattamente come fece Zeus agli inizi dei Canti Cipri,
il primo poema del ciclo troiano.
Come già accennato in precedenza, l’accostamento del mondo greco a quello vicino
orientale ha portato a molti eccessi, specie negli anni ’80 quando l’idea di
multiculturalismo tendeva a voler eliminare i forti pregiudizio classicistici che erano
stati ipoteca europea.
Nell’epica greca un ruolo fondamentale è giocato dall’autorità dei poeti:
nell’Odissea sia Demodoco che Femio rivendicano l’ispirazione delle Muse (figlie di
Zeus e Mnemosine, la personificazione della memoria) che presiedono diverse arti
tra le quali la poesia epica, presieduta da Calliope. La sapienza viene vista come
appannaggio del mondo divino e le Muse sono il tramite col mondo umano. Questa
dinamica vale per tutta l’epica greca, ma ciò che mette in opposizione Esiodo e
Omero sta proprio nella rivendicazione: mentre nel caso dell’Iliade e dell’Odissea
non c’è nessun punto in cui il cantore dica qualcosa di se, e questo portò alla nascita
di moltissime invenzioni sulla figura di Omero, quali la sua cecità; Esiodo rivendica la
propria individualità nei suoi poemi (nella Teogonia ma soprattutto nelle Opere),
non aspettando che la sua eccellenza gli sia riconosciuta dalle divinità, e ci tiene a
specificare che l’ispirazione divina è toccata proprio a lui e non ad un altro poeta.
Questo non vuol dire che Esiodo avesse un’individualità poetica nel senso odierno,
ma vuol dire avere una rivendicazione di autorità laddove l’ispirazione dell’aedo
omerico era un’ispirazione generica e che toccava a tutti i rapsodi. La rivendicazione
si trova già all’inizio della Teogonia:
“Quelle che il canto bello d'Esiodo ispirarono un giorno,
mentr'egli pasturava le greggi sul santo Elicona,
quelle medesime Dive narrarono a me ciò ch'io narro,
le Muse Olimpie, figlie di Giove, dell'ègida sire.
«Pastori avvezzi ai campi, gran bíndoli, pance e null'altro,
favole molte sappiamo spacciar ch'ànno aspetto di vero;
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero».
Disser del sommo Giove cosí le veridiche Figlie;
e a me diedero un ramo di florido alloro, stupendo,
ch'io ne tagliassi uno scettro, m'infusero in seno la voce
divina, ond'io potessi cantare il presente e il futuro,
mi disser di cantare la stirpe dei Numi immortali,
e loro stesse, sempre, del canto al principio e alla fine;”
Qui comincia la narrazione della parte cosmogonica della Teogonia. È essenziale
capire la cornice di questo poema, il quale pone tutta la storia dell’affermazione di
Zeus e della costituzione del pantheon greco sotto l’autorità del canto delle Muse
fatto ad Esiodo in un determinato momento. Un’ispirazione che è veritiera, ed
Esiodo si vanta di avere il vero racconto delle Muse mentre altri cantori possono
avere un racconto falso. Questa scena rappresenta l’archetipo dell’investitura
poetica e pochi saranno i poeti successivi che rinunceranno ad alludere ad una
rivendicazione dell’ispirazione data dalle Muse, paragonando la loro esperienza a
quella Esiodea.
L’altra opera principale di Esiodo è Le Opere e i Giorni. Anticamente era nota solo Le
Opere e successivamente vi è stata attaccata la seconda parte (I Giorni) che non
faceva sicuramente parte del progetto originale.
Si tratta di un poemetto scritto sempre in esametri e che si pone lo scopo di
raccontare la vita quotidiana, in quanto si tratta di una serie di insegnamenti che il
poeta Esiodo elargisce la fratello Perse per dirgli in quali tempi fare le diverse
operazioni riguardanti l’allevamento, l’agricoltura, la navigazione e al culto (che è la
causa per cui sono stati attaccati in coda I Giorni,che di fatto sono i giorni fausti e
infausti). Questa forma di poesia nella quale si ammanniscono una serie di
insegnamenti al lettore si chiama poema didascalico (da didasco che significa
‘insegno’). E’ sicuramente un poema didascalico poiché ha scopo d’insegnamento,
ma nella forma prende dall’epica, e fa chiaramente parte di un orizzonte epico che
trova in Omero i suoi orizzonti principali.
Esiodo nacque – e lo dice lui stesso- a Cuma, in Eolia, ma non ci visse a lungo perché
fin da piccolo con la famiglia si trasferì in un piccolo villaggio della Beozia chiamato
Ascara, un luogo che Esiodo odia visceralmente e di cui dice tutto il male possibile.
Del resto Esiodo non è facile agli ottimismi ed è forse uno dei poeti più pessimisti
della grecità. Egli non perde, nei suoi scritti, occasione per sottolineare quanto il
mondo a lui contemporaneo sia decaduto sotto ogni possibile standard di
sopportazione.
In effetti Le Opere sono un poema dalla composizione piuttosto complessa, poiché
la parte centrale è composta dalla parte didascalica; ma nella prima parte, quella più
nota, Esiodo parla del perché sia giunto a scrivere quel poema: il fratello Perse è uno
sfaccendato e gli addirittura rubato l’eredità, con la complicità di giudici “mangiatori
di doni”, ovvero corrotti. Esiodo si lamenta di una società in cui tutti sono corrotti e
pensano solo a se stessi, a cominciare dal fratello al quale lui contrappone una serie
di valori, in primis il lavoro, che per Esiodo è una sofferenza ma è la strada giusta da
seguire per entrare nell’ordine della giustizia di Zeus, e chiunque si distacchi da
quell’ordine verrà punito. L’ordine che Esiodo propaga non è amichevole nei
confronti dell’uomo, ma è un ordine dal quale è meglio non distaccarsi.
Per dare corpo a questo suo discorso Esiodo sceglie una strada particolare, ovvero
quella del mito. Pur non essendo Le Opere un poema epico, egli utilizza il mito per
rispondere a diverse doman