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Pur non figurando nel codice vigente una disposizione che sancisca esplicitamente la regola dell’inoppugnabilità delle
decisioni della Corte di Cassazione. Non è stata mai posta in dubbio la persistente operatività del principio, considerato
quale un postulato del sistema processuale funzionalmente connaturato all’esercizio della giurisdizione. E proprio con
riferimento al codice vigente è stato precisato che il principio dell’irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della
Corte di Cassazione, oltre ad essere rispondenti al fine di evitare la perpetuazione dei giudizi e conseguire un
accertamento definitivo, è pienamente conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidata alla medesima
Corte di Cassazione dall’articolo 111 Cassazione.
Generale irrimediablità degli errori esistenti nelle decisioni della Corte di Cassazione. Ha fatto sorgere perplessità sulla
compatibilità del principio di assoluta inoppugnabilità con il sistema costituzionale, tant’è che la stessa Corte di
Cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 629 e 630 cpp, in riferimento agli articoli 3
e 24 Costituzione, nella parte in cui non prevedono la possibilità di revisione delle decisioni della Corte di Cassazione
per errore di fatto. Pur dichiarando inammissibile tale questione, la Corte costituzionale ha rilevato che gli articoli 24 e
111 Costituzione assicurano l’effettività del giudizio di Cassazione come rimedio costituzionalmente imposto contro tutte
le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale e che la cogenza di tali principi postula l’esistenza di uno
strumento riparatorio destinato ad eliminare gli errori di fatto che abbiano compromesso il diritto al processo di
Cassazione. In sede di processo penale non avevano, infatti, rimedio errori materiali dovuti a disfunzioni percettive e
simili, diversamente da quanto avviene in sede civile, dove l’articolo 391 bis cpc prevede che se la sentenza pronunciata
dalla Corte di Cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’articolo 287 cpc ovvero da errore di fatto
ai sensi dell’articolo 395 n. 4 cpc, la parte interessata può chiedere la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi
degli articoli 365 e seguenti.
Prima della riforma operata dalla legge n. 128/2001. Anche la prassi aveva cercato di far fronte all’esigenza di rimediare
ad eventuali sviste del Supremo Collegio e la soluzione era stata generalmente rinvenuta nell’istituto della correzione
degli errori materiali già disciplinato dall’articolo 130 cpp, i cui confini venivano talvolta e per ragioni di giustizia
sostanziale estesi a coprire situazioni di errori percettivi di portata ben diversa rispetto al mero errore materiale.
Esatta delimitazione del concetto di errore materiale e dell’errore di fatto. Ha da subito suscitato grande interesse
definitorio sia in sede dottrinaria che in sede giurisprudenziale e, pertanto, il Supremo Collegio con quattro pronunce a
Sezioni Unite del 27 marzo 2002 ha cercato di aiutare l’interprete nella lettura di una norma tanto fondamentale quanto
criptica.
Legislatore. Non ha definito il significato ed i limiti dei due tipi di errore, materiale e di fatto, e così, specie con riferimento
a quest’ultimo, sono immediatamente sorti problemi interpretativi per una precisa delimitazione dei relativi concetti,
anche in considerazione del timore, palesato da diversa dottrina, che una lettura eccessivamente estensiva possa
trasformare l’istituto in un quarto grado di giurisdizione.
Giudice di legittimità. A Sezioni Unite, ha tempestivamente cercato di fare chiarezza intorno alla nozione di errore di fatto
ed errore materiale, osservando, in primis, che è senz’altro condivisibile l’opinione unanimamente espressa nei primi
commenti delle disposizioni dell’articolo 625 bis cpp, secondo cui nella previsione del ricorso straordinario sono
accomunate due situazioni processuali radicalmente diverse, alle quali corrispondono rimedi differenti per struttura e per
finalità.
Ricorso per errore materiale. Rappresenta null’altro che uno strumento di correzione, speciale rispetto a quello previsto
dall’articolo 130 cpp, senza alcuna incidenza sul contenuto della decisione e con funzione di mera rettifica della forma
espressiva della volontà del giudice.
Significato di errore materiale e di errore di fatto. Osserva sempre il Supremo Collegio a Sezioni Unite, che la figura
dell’errore materiale coincide, in tutto e per tutto, con quella che forma oggetto della disciplina dettata dall’articolo 130
cpp, da sempre ritenuta pacificamente applicabile anche ai provvedimenti della Corte di Cassazione. Tale tipo di errore
consiste, nella sostanza, nel frutto di una svista, di lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giudice e
materiale rappresentazione grafica della stessa e la difformità tra il pensiero del decidente e l’estrinsecazione formale
dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione. Il che spiega la
ragione, secondo la Corte, per cui la correzione dell’errore materiale ha una funzione meramente riparatoria,
consistendo in una rettifica volta ad armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale contenuto. La
correzione dell’errore materiale riguarda, quindi, la sola documentazione grafica quale mezzo di manifestazione della
volontà giurisdizionale, regolarmente formatasi pur sotto l’influenza probatrice di quell’errore.
Dottrina più autorevole. La formula non corrisponde a quel che il decisore aveva in mente: lapsus grafico, guasto
informatico, equivoco sul significato delle parole ed ogni possibile accidente ostativo. Collochiamo in tale classe anche
l’abbaglio aritmetico perché l’autore voleva quel che figura nel dispositivo, ma non l’avrebbe voluto se avesse usato bene
i numeri. Tale l’errore cosiddetto materiale. Siamo dunque nel campo del lapsus meramente espressivo, da cui deriva un
divario tra volontà del giudice, correttamente formatasi in assenza di sviste od equivoci, e materiale rappresentazione
grafica della stessa. Un difetto estraneo, pertanto, al processo cognitivo e valutativo, che si traduce nella sola
inadeguatezza della forma espressiva accidentalmente usata rispetto alla volontà del giudice e per l’eliminazione del
quale la novella ha previsto un rimedio speciale rispetto a quello previsto dall’articolo 130 cpp ma, al pari di questo,
attivabile in ogni tempo d’ufficio.
Natura dell’errore di fatto. Per l’errore di fatto, la svista deve, invece, aver influito sul processo formativo della volontà,
conducendo il giudice di legittimità ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata in assenza dell’errore
stesso. Le Sezioni Unite del Supremo Collegio hanno fornito, suggerendo una lettura delimitativa della nozione de qua
basata sull’elaborazione compiuta dalla giurisprudenza civile intorno all’articolo 395 n. 4 cpc, un’interpretazione univoca
dell’errore di fatto, definito come un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di
Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti del giudizio di legittimità ed è connotato dall’influenza esercitata sul
processo formativo della volontà, viziata dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, il cui svisamento conduce
ad una decisione diversa da quella che sarebbe adottata senza l’errore di fatto. Il diretto antecedente dell’istituto in
esame, richiamato dalle stesse Sezioni Unite, è il rimedio civilistico della revocazione, esperibile avverso le sentenze
pronunciate in grado di appello od in unico grado se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o
documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è
incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e
tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a
pronunciare. Volendo guardare alle definizioni coniate da autorevole dottrina per cercare di chiarire ulteriormente il
concetto, ricaviamo che, nel caso di errore di fatto, il dichiarante sa e vuole quel che dichiara, non avendo percepito
qualcosa; o, almeno, quel dato rilevante non figura nello scenario prospettato, perché interessa poco l’interno psichico,
inafferrabile dalle sonde; l’errore percettivo finto equivale all’autentico. Le Sezioni Unite del Supremo Collegio hanno poi
ulteriormente delimitato il concetto di errore di fatto, affermando che:
• Qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una distorta rappresentazione percettiva e
la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio.
• Sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o
processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di un’inesatta portata,
anche quando siano dovuti all’ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in
cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere solo nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie.
• L’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti
processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dell’effettiva portata della norma in quanto l’errore
percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale.
Ne consegue che l’error iuris, al pari dell’errore di giudizio o valutativo, non può mai essere fatto valere a mezzo del
ricorso straordinario, dato che, rispetto ad esso, resta intatto il rigore del principio dell’intangibilità della decisione della
Corte di Cassazione. Complessa la tematica della rilevanza, quale errore di fatto in cui sia incorsa la Corte, dell’omesso
esame di un motivo di ricorso. Anche in tale ambito il Supremo Collegio, sempre a Sezioni Unite, conserva un
atteggiamento di forte limitazione, affermando che l’omesso esame di un motivo di ricorso non dà luogo ad un errore di
fatto rilevante ai fini dell’articolo 625 bis cpp, né determina incolpevolezza della motivazione della sentenza allorché il
motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l’impianto della
motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi