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IMMIGRATI
è in perfetta sintonia col clima culturale di oggi. La difficoltà di accettare
questo fenomeno è dovuta alla preoccupazioni che riguardano il nostro
assetto di stato sociale, perché non essendo i paesi nostri dove si pensa
sopratutto a produrre il lavoro ma a tutelare le prestazioni sociali (i privilegi)
quando arrivano gli immigrati, si pensa che solo una minore % possa lavorare
e agli altri invece si dovranno dare le prestazioni. Essendo in crisi, queste
prestazioni non sono pensabili da garantire da qui la paura e la difficoltà di
accettarli.
Un altro lato della crisi dello stato sociale riguarda l'impatto sugli assetti dello
stato sociale, ovvero la crisi ecologica. Essa, sullo stato sociale, ha un
impatto enorme. 5 lezione 6.10.15
Bronner = aspetti psicologici dei fenomeni totalitari. Spiegazione provocatoria
delle dinamiche di adesione (anche di noi europei) a ideologie e modi di
pensare un po eccentrici.
...crisi dello stato sociale
in nesso con la crisi degli indicatori di benessere (non più materiali, come il
reddito, bensì immateriale come l'educazione, la formazione ecc).
Negli anni 90 gli psicologici valutavano la qualità della vita non solo in termini
economici ma anche degli aspetti più intima della vita umana.
Il passaggio dagli indicatori materiali e quelli non materiali genera, in ordini
degli obiettivi che si deve proporre la politica, qualche tensione. Politica si
sente sovraccaricata di compiti che forse essa non è un bene che assuma.
La politica in questo momento è incerta perché sente che ormai ,più entrano
indicatori immateriali nella sua sfera, più il compito si fa arduo e dall'altro lato
si tratta di un compito che la politica può promuovere ma di cui non deve
occuparsi.
La riflessione sui limiti della politica: fin dove è lecito che essa si possa
spingere? Spetta alla politica di garantire la felicità dei cittadini? O spetta ad
essa creare le condizioni affinché i cittadini possano ricercare il massimo
della felicità? O deve disinteressarsi proprio a questo aspetto? Si potrebbero
anche ricostruire le ideologie nel corso della storia proprio in base a questa
questione.
È evidente che la politica deve occuparsi della povertà (felicità/sviluppo
materiale dell'Africa) ed è facile da gestire tecnicamente, mentre lo stesso
non potrebbe valere per i cittadini europei perché si tratta di una società
diversa.
Esiste anche un lato ecologico della crisi dello stato. Con questo non intende
che il sistema di produzione capitalistico trova ormai nella natura un problema
che non aveva previsto (cioè la scarsità delle risorse). La natura non è più
quella riserva inesauribile che si era pensato. Questo lato forse si può ancora
gestire in qualche modo.
Con il lato ecologico della crisi dello stato sociale il prof intende "la difficile
gestione dei rischi che lo sviluppo capitalistico industriale comporta e col
quale fino a ieri non si credeva di dover far conto".
Back "Società dei rischi" = nel dibattito culturale il tema dei rischi era già
percepito. La tesi dell'autore --> lo sviluppo industriale della 1° modernità ha
prodotto molta ricchezza e soprattutto il problema di un equa ripartizione della
stessa. Il problema fondamentale della 1° modernità è dato dalla
distribuzione. Come distribuire equamente questa ricchezza? Da Marx fino a
ieri questo era il problema della 1° modernità.
Una volta raggiunto la 2° modernità (giorni d'oggi) il problema della nostra 2°
modernità, il vero problema dello Stato, non è più quella della distribuzione
della ricchezza, bensì dell'equa ripartizione dei rischi. Oggi ci si trova
davanti al fatto che crescono in modo irrefrenabile i rischi di ogni tipo
(alimentari, sanitari, ecologici, per l'uomo come l'impatto della tecnologia).
Esempio: rischi alimentari/sanitari=mica tutte le popolazioni del mondo
corrono gli stessi rischi?
Distribuire la ricchezza è difficile, ma ridistribuire i rischi è quasi impossibile.
Nicklas Lumann ha scritto sulla società dei rischi = definizione del "rischio" --
> è sinonimo di complessità. Nell'opera "Sistema sociale" si legge
complessità = necessità di selezione che significa contingenza che a sua
volta significa rischio. La sua tesi: una società complessa come la nostra è
per definizione rischiosa. Dire complessità è die rischio per Lumann. Ad un
certo punto però fa un affondo su concetto di rischio e fa una distinzione tra
rischio e pericolo. Per spiegarla fa un esempio: prima dell'invenzione
dell'ombrello, un cavernicolo con un cielo nuvolo si esponeva al pericolo di
bagnarsi. L'abitante del XX secolo, nella stessa condizione climatica, si
espone non al pericolo ma al rischio di bagnarsi per aver deciso di lasciare
l'ombrello a casa. Nel 1° caso il pericolo è qualcosa di esterno, non si può far
niente contro di esso. Nel 2° invece si tratta di un rischio perché lo si decide
da noi. Con questo Lumann voleva dire che la differenza tra pericolo e
rischio sta nel fatto che i 1 son esterni e rappresentano qualcosa dove no si
può far nulla, nel 2 invece è un pericolo che dipende dalle nostre decisioni.
Dal cavernicolo ad oggi, tante cose si sono trasformate da pericolo a rischio
perché dipendono anche dalle nostre decisioni. La tecnica è un grande
trasformatore perché mette a nostra disposizione un'infinità di strumenti. Oggi
quasi tutto ciò che ci "minaccia" dipende dalle nostre decisioni.
Il problema insorge nel fatto che una società dei rischi come la nostra (cioè
quella complessa e perché tende a far dipendere dalle decisioni umane tutto
ciò che ancora ieri non dipendeva da noi) si esasperato a tal punto che
persino quando c'è un terremoto lo sdegno va nei confronti del potere politico
che ha consentito la costruzione delle case anti-sismiche. Il nostro
atteggiamento istintivo è quello di domandare ormai di chi è la colpa/
imputabilità. La vera difficoltà della società dei rischi sta proprio qui. Il fatto
che tutto dipende dalle decisioni genera una frattura tra i decisori e chi è
semplicemente coinvolto. La vera frattura sociale di oggi non è più quella
economica, bensì tra i decisori e i coinvolti. Perché? Lumann risponde che
chi decide guarda al problema in genere, nella prospettiva del rischio; chi
invece è solo coinvolto nella decisione tende a guardarlo nella prospettiva di
pericolo e in quanto tale non ne vuole sentir parlare (ha paura di una cosa per
questo non la vuole riconoscere). Il pericolo torna nella società dei rischi
quindi, torna sotto forma di panico e paura.
Jonas "Principio della responsabilità", anni 80, = IL riferimento del dibattito
ecologico. La sua tesi è: "agisci in modo che l'essere umano sia sempre
considerato come un fine e mai come un mezzo del tuo agire" Kant, agisci in
modo che le conseguenze del tuo agire siano sermone compatibili con la
sopravvivenza della terra --> il nuovo categorico di Jonas. Euristica della
paura di Jonas = nel caso ci possano essere delle gravi conseguenze, si ha il
dovere di fermarsi (per salvaguardare le generazioni future).
Oggi la società si trova di fronte a dei problemi drammatici perché sempre più
tutto ciò dipende dalle decisioni umane. La possibilità di fare delle scelte
comporta il problema in cui la politica si trova a dover affrontare le questioni
di questo tipo. C'è una sorte di doppia morale secondo Jonas: 1 dei decisori e
1 dei coinvolti che sono difficili da combinare (uno ha deciso di fare dei rischi
e l'altro è solo coinvolto involontariamente e percepisce quella decisione
come un pericolo). Questo, secondo Jonas, è difficile da risolvere con gli
strumenti della liberal-democrazia. Per lui, le società autoritarie hanno
maggiore capacità di gestire questi problemi che quelle democratiche.
Lumann invece afferma che in una situazione del genere suggerisce una
gag-rule (forse incompatibile coi regimi democratici) : in una società come
questa si può continuare a pensare di avere le istituzioni democratiche solo
se si ha la cortezza di non discutere quei problemi sui quali si sa già in
partenza sarà impossibile trovare un accordo.
Questi autori sono sfiduciosi nelle democrazie liberali, forse un po troppo
realisti. Ma il prof non è d'accordo con loro, secondo lui sono problemi in cui
forse si può gestire la situazione.
Neutralizzatori delle conseguenze non intenzionali = Stato + Natura =
assorbivano quelle conseguenze. La natura oggi non è più in grado di farlo,
per cui non si può più non tenere in considerazione quest'impossibilità della
natura (uno segue i propri interessi, produce il riscaldamento globale e
scioglie il ghiaccio; non lo fa mica intenzionalmente contro il ghiaccio). Ma
deve assumere una coscienza ecologica.
Se poi uno decide di non voler correre i rischi rappresenta uno dei problemi
più grossi di questa questione in quanto la tecnologia non lo permette perché
è troppo avanti. A forza di controllare tutto, ci siamo illusi di poter controllare
tutto. Non si riesce più a sopportare una minima incontrollabilità (per questo
ci si rivolge ai maghi/chiromanti).
L'incertezza, però, non è solo normale ma ci rende anche liberi (secondo
prof). Si dimostra quotidianamente che della libertà non ci interessa niente,
bensì si pretendono le certezze, le sicurezze, e questo ce lo deve garantire lo
Stato. Da qui si avvince il problema di fondo: la crisi dello stato sociale. Non
si può pretendere di avere le certezze insieme alle libertà (non si può avere la
botte piena e la moglie ubriaca). L'azione libera è paragonabile alla natività
(secondo Arendt) perché porta alle conseguenze che altrimenti non
sarebbero avvenuti. Non a caso i tassi di nascita nei paesi democratici e
sviluppati sono quasi pari a 0. Infatti si tratta delle società in cui non si pensa
al futuro, l'interesse personale ed egoistico prevale.
Tornando al livello culturale = è qui che sta la vera rilevanza del problema.
L'atteggiamento che si ha rispetto a quella che è la società nella quale si vive:
se si pensa che non si deve correre dei rischi, nessuno vorrà fare una
determinata cosa. Per fortuna c'è ancora qualcuno che corre dei risch