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Un’altra eccezione al diritto d’autore riguarda i diritti di riproduzione (o duplicazione) che si
applicano ai contenuti audiovisivi e ai software. Quest’eccezione consente di fare una copia ad uso
privato di cui si ha l’originale; è lo stesso tipo di eccezione che si applica quando si registra un
contenuto. La logica che consente di fare quest’operazione è la giustifica di una copia fatta perché
non si è in grado di usufruire in quel momento dell’opera; a meno che il contenuto non è on
demand e quindi messo a disposizione in qualsiasi momento.
Un altro tipo di eccezione si applica al software: si ha il diritto di fare una copia di riserva dei
software perché quando i software erano veicolati su supporti fisici questi potevano facilmente
rompersi. Nella distribuzione digitale questo non ha più senso perché i contenuti sono spesso
legati all’account e indipendenti dagli strumenti fisici.
22.11.2017 – Contenuti digitali e DRM
Il bisogno di proteggere la creazione di un autore risale al 1514, quando Gregorio Allegri compone
il “Miserere”, uno dei brani più celebri dell’epoca. Per proteggere i diritti dell’autore furono messi in
atto diversi sistemi:
- Unica partitura
- Pochissime esecuzioni e in sedi prestigiose
- Divieto di copia pena la scomunica
Queste misure di protezione funzionarono e per moltissime anni non ci furono in giro riproduzioni
non autorizzate. Questo sistema funziona fino a quando Mozart riesce a riprodurlo a memoria e
iniziano a circolare copie e partiture non autorizzate.
In epoca moderna ci si pone il problema del rapporto tra l’evoluzione della tecnologia e
l’evoluzione del diritto che si muove in maniera lenta. L’evoluzione tecnologica cambia la vita e
quindi anche il diritto.
Nel campo del diritto d’autore vi è sempre stato un rapporto difficile tra la tecnologia e la protezione
degli autori.
Oggi quasi tutti i contenuti protetti dal diritto d’autore vengono veicolati in formato digitale senza la
necessità che esista un supporto fisico attraverso cui l’opera venga incisa. Questo fatto comporta
vantaggi (la condivisione di file facilitata, poter vedere un film quando si vuole, fare editing video o
audio) ma sono anche situazioni nuove. Il passaggio tra l’utilizzo di sistemi di duplicazioni di tipo
analogico verso quelli di tipo digitale ha portato dei forti cambiamenti nel diritto d’autore.
Vi è differenza tra la copia analogica e quella digitale.
La copia analogica:
- è impossibile per file digitali
- ha problemi di costi
- può prevedere un cambio di supporto che comporta una perdita di qualità sia da analogico
a digitale che da analogico ad analogico
La copia digitale:
- è veloce
- ha costi bassi e accessibili
- rende democratici gli strumenti: tecnologie sempre più sofisticate disponibili per tutti
- è una riproduzione esatta dell’originale (qualità 1:1)
L’aspetto della democratizzazione delle tecnologie non piace a chi protegge il diritto d’autore.
Tra gli aspetti che hanno reso più semplice la fruizione dei contenuti ma anche più pericolosa la
gestione dei diritti d’autore ci sono anche fattori tecnologici come
- i sistemi di compressione dei dati
- connessioni a banda larga
- software p2p
Questi cambiamenti rende difficile il controllo sia dei produttori di contenuti (come la case
discografiche) e dei rivenditori perché gli utenti diventano i distributori attraverso canali tradizionali
o canali online che possono essere anche legali (Google Play, Spotify).
In questo contesto la reazione dei titolari dei diritti dei paesi industrializzati/occidentali è stato un
irrigidimento delle normative a tutela del copyright (copyright law enforcement) in epoca recente.
Fino al 1992 il software non era protetto dal diritto d’autore; quando iniziano a diffondersi i
computer venivano venduti le copie dei videogiochi.
La risposta che viene sempre data a questo problema sono sanzioni sempre più gravi ma questo
tipo di reazione non ha mai portato a nessun risultato perché inapplicabili. Se il problema del
copyright sono le tecnologie la soluzione va trovata anch’essa nelle tecnologie: a partire dagli 2000
tutte le industrie dei contenuti investono nella ricerca per lo sviluppo del DRM (digital rights
management), sistemi di gestione dei diritti digitali che impediscono il download di file, la
duplicazione o la registrazione.
Esistono tre generazioni di DRM:
- sistemi che veicolano un contenuto informativo che riguarda i diritti dell’opera
- sistemi di protezione (sistemi anticopia, sistemi che impediscono di accedere a contenuti
come la crittografia come i decoder Sky)
- sistemi di gestione; si presenta non come una protezione ma una gestione dei diritti (SkyGo
funziona al massimo su due dispositivi; Netflix consente di scaricare per vedere contenuti
offline in maniera assistita da un DRM che consente di vedere il contenuto solo con
l’applicazione Netflix)
In questo sistema ci si è interrogati se l’implementazione dei sistemi di protezione sia o meno una
cosa legale. Il tema maggiormente delicato è la necessità di trovare un punto di equilibrio tra due
esigenze in conflitto: da un lato la giusta tutela dei diritti degli autori, da un lato quella di non
comprimere eccessivamente i diritti degli utilizzatori delle opere. Questi tipi di usi legittimi sono
definiti “fair use”.
Questo dibattito è confluito in una norma di legge che dice che i titolari di diritti d’autore possono
apporre sulle opere misure tecnologiche di protezione destinate a impedire o limitare atti non
autorizzati dai titolari dei diritti. È punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa
chiunque a fini di lucro installa dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono
l’accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del canone dovuto.
Una delle utilizzazioni libere del diritto d’autore riguarda la possibilità di fare una copia privata ad
uso personale. È consentita la riproduzione privata di audiovisivi per uso esclusivamente
personale purché senza scopo di lucro o fini commerciale nel rispetto delle misure tecnologiche di
protezione.
Implicazioni giuridiche
Ci sono quattro aspetti per cui i dispositivi possono rappresentare una minaccia:
- tutela dei consumatori – limitazioni alla fruibilità dell’opera
- riservatezza degli utenti – come si può preservare la privacy e la riservatezza da parte dei
sistemi tecnologici di protezione?
- compressione del fair use – limitazioni nella fruibilità dei contenuti rispetto a luoghi (sistema
regionale dei DVD)
- possibile invasività dei dispositivi – il caso XPC. Quando un DRM è lecito e quando illecito?
Il confine sta quando si lede diritti più importanti di quello del produttore.
28.11.2017 – Licenze Creative Commons
Il progetto Creative Commons nasce da un’idea di Lawrence Lessing, giurista americano diventato
famoso per aver patrocinato diverse cause contro Microsoft tra cui una che riguardava il fatto che
l’azienda avesse distribuito insieme al sistema operativo Windows 95 il browser Internet Explorer.
In quegli anni il browser più efficiente era Netscape navigator e Microsoft aveva sviluppato Internet
Explorer perché aveva capito che il mercato si muoveva in quella direzione, senza però riuscire a
contrastare Netscape. Avere il browser dentro il sistema operativo era comodo nonostante la
qualità inferiore. Dato che Microsoft occupava gran parte del mercato si pose il problema di abuso
della posizione dominante: forzando la scelta del prodotto browser Microsoft faceva leva sulla
concorrenza. Lessing aveva condotto molto cause contro Microsoft rendendolo un avvocato
rinomato.
Lessing decide di creare una no profit, la Creative Commons (cc), che ha sede tutt’ora a San
Francisco e ha scopo di creare strumenti giuridici (le licenze, contratti) che facilitino l’espansione e
lo sviluppo delle opere autoriali consentendo che sulle opere si possano realizzare opere ulteriore,
consentendo cioè la rielaborazione di opere di altri. Lessing si accorse che uno dei problemi della
normativa è che, evolvendosi, aveva creato una deriva preoccupante: qualcuno crea un’opera e ne
diviene automaticamente autore ed è abbinato al fatto che il diritto d’autore ha una durata lunga e
sempre più lunga. Molti autori erano però diventati famosi per aver tratto ispirazione da altre opere
(come fece Walt Disney): con le nuove normative del diritto d’autore una persona deve avere il
consenso dell’autore originale.
La soluzione di Lessing a un problema di questo tipo dev’essere ricercata all’interno del diritto e
qualcosa di assolutamente legale. I diritti patrimoniali d’autore sono diritti disponibili ed è del tutto
legale che chi ne è titolare li gestisca come vuole; per evitare che si debba passare dai consensi si
possono preparare un numero dato di licenze legate ad un prodotto. L’autore concede così a tutti
la facoltà di fare una serie di cose senza il bisogno di consensi.
Queste licenze Creative Commons, distribuite gratuitamente, si possono applicare a tutte le opere
dell’ingegno protette dal diritto d’autore e con le quali si possono distribuire film, poesie, canzoni,
opere letterarie. Ci si chiese se queste licenze potessero essere usate per distribuire il software: la
risposta formale fu sì, ma sostanzialmente tra tutte le opere protette dal diritto d’autore il software è
l’unica che si adatta male a essere distribuite dalle licenze.
Le licenze Creative Commons non sono un’alternativa al diritto d’autore che gestiscono il diritto
patrimoniale in modo diverso da quello tradizionale.
Esigenze degli autori
Per gli autori l’uso della licenza Creative Commons rende più facile il proprio lavoro. L’utilizzatore
di opere può usare queste licenze pur non avendo lo scopo di creare altre opere ma di riutilizzarle.
Perché l’autore dovrebbe fare delle licenze CC e che utilità ne ha? Secondo Lessing l’autore ha
dei ritorni dalle licenze perché l’autore ha delle esigenze da quello che crea:
- Protezione dell’opera: un autore impiega tempo e lavoro per creare qualcosa e può
essere contrario alla diffusione illegale della propria opera. L’evoluzione normativa funziona
per proteggere il lavoro dell’autore.
- Distribuzione dell’opera: avere la possibilità di diffondere la propria opera è importante
per l’autore perché gli venga riconosciuto il proprio sforzo. Questo bisogno è però poco
protetto dalla normativa del diritto d&rsq