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La produzione aggregata e le principali variabili macroeconomiche.
Gli economisti che studiavano l’attività economica nel diciannovesimo secolo o al tempo
della Grande Depressione non potevano contare su alcuna misura affidabile della
produzione aggregata. Per capire che cosa stesse succedendo all’economia nel suo
insieme, dovevano mettere insieme una grande quantità di informazioni, dalla produzione
di acciaio alle vendite nei grandi magazzini. Fu solo alla fine della seconda guerra
mondiale che molti paesi iniziarono a tenere un sistema di contabilità nazionale. Negli
Stati Uniti, le misure della produzione aggregata sono state pubblicate regolarmente a
partire dall’ottobre del 1947. Come ogni sistema contabile, la contabilità nazionale
definisce i concetti utilizzati, e quindi indica come costruire le misure corrispondenti. Per
capire l’importanza cruciale della precisione e della coerenza interna di tali rilevazioni,
basta osservare i dati per un paese che non abbia sviluppato tale sistema. Senza di esso, i
numeri che dovrebbero dare una certa somma ne danno una diversa e non si capisce
bene a quali variabili corrispondono i dati pubblicati.
Pil:produzione e reddito
La misura della produzione aggregata nella contabilità nazionale è il prodotto interno
lordo, o Pil. Il Pil è il valore dei beni e dei servizi finali prodotti nell’economia in un dato
periodo di tempo. La parola chiave è finali; vogliamo considerare solo la produzione di
beni finali, non di beni intermedi. Questa prima definizione suggerisce di costruire il Pil
registrando e sommando la produzione di beni finali –ed è anche il modo in cui il Pil è
effettivamente calcolato. Ma ci suggerisce anche un secondo modo di pensare e costruire
il Pil: il Pil è la somma del valore aggiunto nell’economia in un dato periodo di tempo. Il
termine valore aggiunto significa esattamente il valore della produzione di un’impresa
meno il valore dei beni intermedi che l’impresa usa nella produzione stessa. Questa
definizione ci suggerisce un secondo modo di pensare al Pil. Messe insieme, queste due
definizioni implicano che il valore dei beni e servizi finali –la prima definizione di Pil- può
essere pensato anche come la somma del valore aggiunto da tutte le imprese lungo la
catena produttiva di quei beni finali- la seconda definizione di Pil. Finora abbiamo
considerato il Pil dal lato della produzione. L’altro modo di guardare al Pil è dal lato del
reddito. Il Pil è la somma dei redditi dell’economia in un dato periodo di tempo.
Per riassumere, possiamo pensare alla produzione aggregata –Pil- in tre medi diversi ma
equivalenti: 3
• Dal lato della produzione, il Pil è uguale al valore dei beni e servizi finali prodotti
nell’economia in un dato periodo di tempo;
• Sempre dal lato della produzione, il Pil è la somma del valore aggiunto
nell’economia in un dato periodo di tempo;
• Dal lato del reddito, il Pil è la somma dei redditi percepiti nell’economia in un dato
periodo di tempo.
Pil nominale e Pil reale
Il Pil nominale è la somma delle quantità dei beni finali valutati al loro prezzo corrente.
Questa definizione chiarisce che il Pil nominale cresce nel tempo per due ragioni:
• Perché la produzione di molti beni cresce nel tempo;
• Perchè il prezzo di molti beni cresce anch’esso nel tempo.
Se vogliamo misurare la produzione e le sue variazioni nel tempo, dobbiamo eliminare
l’effetto dell’aumento dei prezzi. A questo scopo si costruisce il Pil reale come la somma
delle quantità di beni finali valutati a prezzi costanti, invece che correnti.
Se l’economia producesse un solo bene finale, costruire il Pil reale sarebbe facile:
dovremmo moltiplicare la quantità del bene finale prodotta in ciascun anno per il suo
prezzo in un dato anno. Il problema principale nella costruzione effettiva del Pil reale è che
in realtà i beni finali sono più di uno. Il Pil reale deve essere definito come media
ponderata della produzione di tutti i beni finali, e questo solleva il problema di quali pesi
usare.
I prezzi relativi dei beni sembrerebbero una scelta naturale. Se un bene costa il doppio di
un altro, dovrebbe contare il doppio nella costruzione del Pil reale. Ma questo solleva un
ulteriore problema. Cosa succede se, come accade spesso, i prezzi relativi cambiano nel
tempo? Dovremmo scegliere come pesi i prezzi relativi in un dato anno, o dovremmo forse
cambiare i pesi nel tempo?
Quello che dovremmo sapere ora è che nella contabilità nazionale degli Stati Uniti la
misura del Pil reale è chiamata Pil reale a catena a prezzi del 2000. si tratta della misura
più accurata della produzione dell’economia. E la sua evoluzione mostra l’aumento nel
tempo della produzione statunitense.
I termini Pil nominale e Pil reale hanno entrambi molti sinonimi:
- il Pil nominale è anche chiamato Pil a valori o a prezzi correnti;
- il Pil reale è anche chiamato Pil a prezzi costanti, Pil in termini di beni, Pil aggiustato per
l’inflazione, Pil ai prezzi del 2000.
Successivamente, se non indicato diversamente:
Pil indicherà il Pil reale e Yt indicherà il Pil reale nell’anno t;
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Il Pil nominale e le variabili misurate a prezzi correnti verranno invece indicate con
il simbolo dell’euro –per esempio, Euro
Il pil reale misura la grandezza di un’economia: un Paese con un pil doppio rispetto a
quello di un altro è economicamente due volte più grande di quest’ultimo. Altrettanto o
forse anche più importante è il livello del pil reale pro capite, il pil reale diviso per la
popolazione del paese. Esso misura il tenore di vita di quel paese.
Un paese può avere un elevato livello del Pil o un alto livello del Pil pro capite, ma
crescere lentamente – per esempio il Giappone. Un Paese può invece avere un basso
livello del Pil pro capite, ma crescere velocemente – per esempio la Cina. Nel valutare la
performance di un’economia da un anno all’altro, gli economisti guardano invece al tasso
di crescita del Pil reale, o crescita del Pil. Nei periodi di crescita positiva del Pil si parla di
espansione. Durante i periodi di crescita negativa del Pil si parla di recessione.
Le altre principali variabili macroeconomiche
Il Pil è la variabile macroeconomica più importante. Ma altre due variabili, la
disoccupazione e l’inflazione, rilevano aspetti altrettanto importanti dell’andamento di
un’economia.
Iniziamo con qualche definizione. L’occupazione è data dal numero di persone che hanno
un lavoro. La disoccupazione è costituita dal numero di persone che non hanno un lavoro,
ma lo stanno cercando. La forza lavoro è la somma delle persone occupate e di quelle
disoccupate. Costruire il tasso di disoccupazione è meno semplice di quanto non possiate
immaginare. Determinare se una persona sia occupata è facile. Determinare se una
persona sia disoccupata è più difficile. Infatti, per essere classificati come disoccupati,
bisogna soddisfare due condizioni: a) non avere un impiego; b) essere alla ricerca di un
impiego. E’ proprio questa seconda condizione che è difficile da valutare.
Gli economisti si preoccupano della disoccupazione per due ragioni:
1. Per i suoi effetti diretti sul benessere delle persone disoccupate. Nonostante i
sussidi di disoccupazione oggi siano maggiori di quanto non lo fossero durante la
Grande Depressione, spesso la disoccupazione è associata a forti disagi finanziari
e psicologici. Quanto forti siano questi disagi dipende dalla natura della
disoccupazione. Spesso immaginiamo i disoccupati come un gruppo di persone
rimaste disoccupate a lungo, ma in realtà questa immagine non riflette affatto
quanto succede negli Stati Uniti, dove ogni mese molte persone diventano
disoccupate e molti disoccupati trovano un lavoro. Tuttavia anche negli Stati Uniti
alcuni gruppi soffrono in misura sproporzionata il fenomeno della disoccupazione,
in quanto sono perennemente disoccupati e in genere anche più a rischio di
perdere il lavoro nel caso di aumento del tasso di disoccupazione.
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2. Gli economisti si preoccupano della disoccupazione anche perchè essa segnala
che l’economia potrebbe utilizzare in modo efficiente alcune delle sue risorse. Se
la disoccupazione è molto alta, e molte delle persone che cercano lavoro non
trovano un impiego, significa che nel funzionamento dell’economia c’è qualcosa
che non va. Ma anche un tasso di disoccupazione molto basso può essere un
problema. Come un motore che corre a una velocità troppo elevata, un’economia
con un tasso di disoccupazione troppo basso potrebbe sovrautilizzare le sue
risorse umane e incorrere in carenza di forza lavoro. Tuttavia è difficile stabilire
quale sia un tasso di disoccupazione “troppo basso”. La domanda è stata sollevata
negli Stati Uniti nel 2000. Alla fine di quell’anno, alcuni economisti temevano che il
tasso di disoccupazione, allora al 4%, fosse troppo basso. Anche se non sono
arrivati a sperare in una recessione, essi auspicavano una riduzione temporanea
del tasso di crescita per far aumentare il tasso di disoccupazione. Alla fine hanno
avuto più di quanto chiedevano: non un semplice rallentamento, ma una vera e
propria recessione nel 2001.
Il tasso di inflazione
L’inflazione è un aumento sostenuto del livello generale dei prezzi, o semplicemente del
livello dei prezzi. Il tasso di inflazione è il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel
tempo.
Dal punto di vista pratico si pone il problema di come calcolare questo livello dei prezzi. I
macroeconomisti di solito considerano due indicatori del livello dei prezzi, o indici dei
prezzi: il deflatore del Pil e l’indice dei prezzi al consumo.
Per quanto concerne il deflatore del Pil, abbiamo visto come un aumento del Pil nominale
possa derivare da un aumento del Pil reale o da un aumento dei prezzi. Se il Pil nominale
aumenta più velocemente del Pil reale, la differenza è dovuta ad un aumento dei prezzi.
Questo motiva la definizione di deflatore del Pil. Il deflatore del Pil nell’anno t, Pt, è
definito come il rapporto tra Pil nominale e Pil reale nell’anno t.
In merito all’indice dei prezzi al consumo, invece, sappiamo che il deflatore del Pil dà il
prezzo medio dei beni inclusi nel Pil, cioè dei beni finali prodotti nell’economia. Tuttavia, i
consumatori sono interessati ai prezzi dei beni che consumano. I due insiemi di prezzi
possono non essere gli stessi perché i beni prodotti nell’economia non coincidono
necessariamente con i beni acquistati dai cons