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IL REGNO ITTITA DI HATTI (ETA’ DEL BRONZO)
In Anatolia erano presenti una decina di colonie principali paleoassire dette karum, e un’altra
decina di colonie minori collegate alle città indigene, wabartum. Le città-Stato locali erano più
numerose delle colonie, si trovavano nelle vallate tra boschi, le montagne e i corsi d’acqua, ed
erano tutte indipendenti, ma con centri minori gravitanti intorno ai maggiori. Ogni città era sede di
un palazzo reale, possedeva un re o, raramente, un Gran Re, oltre a figure quali funzionari come il
capo della cittadella o a coloro che erano legati ai settori in contatto col commercio.
I rapporti con lo stato paleoassiro erano intrattenuti attraverso dei trattati, che ogni re di nuova
intronizzazione stipulava con i karum di Kanish o con quello della propria città. Il re locale
consentiva la permanenza della colonia assira sul territorio in cambio del diritto di prelazione su
una quota minoritaria delle merci.
A seguito del collasso delle colonie paleoassire iniziò, per l’Anatolia, un periodo di crisi e
scarsamente documentato. Quando tornarono ad essere abbondanti le fonti, la regione era stata
unificata sotto un’unica dinastia, quella ittita.
Secondo la tradizione coloro che unificarono il regno d’Anatolia furono Pithana e suo figlio Anitta,
che avevano condotto delle campagne militari durante la caduta delle colonie assire, per
impadronirsi dei vari principati. Nonostante questo, però, il fondatore della dinastia è riconosciuto
in Hattushili I. Egli, dall’Anatolia centrale, fece partire una serie di spedizioni per conquistare
l’Anatolia meridionale e la Siria, sottomettendole. Da qui egli porterà nello stato la scrittura
cuneiforme, che verrà poi adattata alla lingua ittita. Fu inoltre lui a portare la capitale ad Hattusa.
Anche il suo successore Murshili I continuò questa politica espansionista, sottomettendo Ebla,
Aleppo e poi entrando in Mesopotamia. In questo modo l’Anatolia ottenne il controllo delle vie
commerciali che la collegavano al meridione.
Dopo i successi di questi primi re, l’Anatolia conobbe un periodo di indebolimento, evidentemente
dovuto alle guerre dinastiche intestine al paese e dalle incursioni nemiche.
Telepinu salì al potere con un colpo di stato, uccidendo il precedente sovrano e la sua famiglia e
prendendone in sposa la sorella. Egli si occupò della norma sulla successione al trono: doveva
salire al trono uno dei figli maschi avuti dal sovrano con la moglie ufficiale, se non vi era uno figli
maschi allora la carica passava a uno dei figli maschi avuti con le donne dell’harem, ma se anche
in questo caso non vi era presente un erede maschio, il potere passava per linea femminile al
marito della figlia. Egli fece poi anche una norma giuridica contro la pena di morte in quanto
andava a togliere forza lavoro allo stato. Questa pena era sostituita con un risarcimento alla
famiglia.
Un rinascita si ebbe con Tutkhaliya I, che annesse Kizzawatna attraverso un tratato e il
matrimonio con la principessa del Paese, e il suo successore Arnuwanda che riorganizzò lo stato,
ma la svolta avvenne con Shuppiluliuma I. Con le su campagne militare, egli sottomise il gran
regno di Mittani, che divenne suo vassallo. Il governo di Aleppo e Karkemish venne affidato ai suoi
figli e quest’ultimo assunse sempre più importanza, tanto che i suoi governatori ottennero uno
status nella gerarchia del regno pari a quello del principe ereditario. Gli altri regni conquistati,
invece, venivano annessi attraverso n trattato di subordinazione vincolante, che pretendeva un
giuramento di fedeltà al sovrano ittita e alle divinità di Khatti. Attraverso la politica espansionistica
di Shippiluliuma I si arrivò ad uno scontro con l’Egitto e all’inizio di un periodo di tensione che
sfociò poi in una grande battaglia. La vedova di un faraone aveva chiesto al re ittita di inviargli un
principe, il quale sarebbe diventato faraone d’Egitto al suo fianco. Nonostante la richiesta bizzarra,
Shippiluliuma I inviò suo figlio Zannanza, il quale, però, venne ucciso al suo arrivo in Egitto. I
rapporti tra Khatti e l’Egitto iniziarono così a deteriorarsi. Shippiluliuma inviò una spedizione
punitiva, che però si ammalò di peste e la portò in patria, contagiando il successore appena
asceso.
Salì allora al trono Mushilli II, il quale abbe molti successi soprattutto sul fronte anatolico, che lo
portarono a raggiungere la massima espansione del regno, conquistando il regno di Arzawa
nell’Anatolia occidentale, che spacca in tre stati minori affidandoli a tre membri della famigliee
locali, e che permetteva quindi un’estensione dal mar Egeo a Qadesh.
La battaglia definitiva con l’Egitto si ebbe con Mawattalli II, successore di Murshili II, che affrontò
Ramesse II nella battaglia di Qadesh. Il faraone aveva fatto una spedizione in territorio siriano
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sotto il controllo ittita, obbligando il re di Amurru a sottometterglisi. Mawattanis scese quindi non
l’esercito, scontrandosi con quello faraoinico e avendo la meglio. Gli Ittiti si ripresero, quindi, i
territori persi. Sotto Mawattani II ci fu anche il trasferimento della capitale a Turhuntassa. Non si sa
se questo fosse un provvedimento estremo preso a causa delle continue incursioni delle tribù a
nord di Khattusha o se sia dovuto all’incentramento della religione sul dio della tempesta che
aveva proprio origine in Anatolia meridionale, ma con la fine del regno di Mawattalli II la capitale
tornò a Khattusha.
Il successore Murshilli III, dopo dieci anni di regno, venne spodestato dallo zio Hattushili II. I
potentati si schierarono tra le due parti, ma lo zio ebbe la meglio e Murshilli III scappò. Con lui si
ebbe l’accettazione di una tregua tra Khatti e l’Egitto, con la stesura di un trattato con Ramesse II.
Entrambi i regni erano occupati a doversi difendere da altri nemici su altri fronti, perciò la scelta più
intelligente era quella di sospendere le ostilità. Vennero fatte sposare due principesse ittite al
faraone e conclusa un’alleanza che diede il via alla cosiddetta Pax Hethitica, che rappresentò
l’ultimo stadio di forza del regno ittita. Questo infatti, con i successori di Hattushili III, si indebolì
irrefrenabilmente, fino alla sua caduta con Shuppiluliuma II, l’abbandono della capitale, e
all’ascesa di Karkemish.
Società e cultura
Essendo in contatto con la cultura della Siria e della Alta e Bassa Mesopotamia, è inevitabile che in
Anatolia siano presenti dei tratti caratteristici di queste culture. Si tratta però di una ricezione non
passiva, come si può notare dall’adozione del sillabario babilonese, poi utilizzato per creare una
lingua scritta adattabile all’hittita. Questo permise inoltre la formazione di dizionari bilingue e testi
letterari tradotti. Abbiamo però anche un’originalità culturale antico-hittita derivante dalla tradizione
locale.
Il centro direzionale della città anatolica è l’acropoli, che vede la presenza di più edifici e non di un
solo complesso palaziale. In questo modo ogni edificio ricopre una funzione precisa.
Importante per l’economia ittita sono le risorse presenti in Anatolia: la forte presenza di legname e
di minerali come rame e argento e di pietra. Vi sono poi culture cerealicole ma anche coltivazione
di vite, ulivo, piante da frutteto e apicoltura. I campi sono recintati da muretti o siepi. L’allevamento
di suino avviene nelle zone boschive, mentre nelle valli vi è quello bovino ed equino. Per quanto
riguarda quello caprovino s ha una transumanza orizzontale, con dispersione invernale e
assembramento estivo. Nonostante queste buone risorse il problema principale in Anatolia è la
manodopera. Le campagne sono spopolate e per questo spesso si corre all’utilizzo dei prigionieri
di guerra per coprire i buchi.
Alcune città si imposero poi come centri religiosi: Arinna centro della divinità solare, Nerikka e
Zippalanda del dio della tempesta.
Gli ittiti avevano tre modi differenti di raffigurare le divinità:
antropomorfa, sotto l'aspetto di un essere umano;
1. Dall'animale simbolo
2. Forma aniconica, non raffigura niente di preciso. E’ la forma del blocco di pietra, blocco di
3. pietra poteva essere il simbolo della divinità stessa.
E’ tipico per gli ittiti assorbire all'interno della cultura dello stato le varie culture rurali, in modo che
le popolazioni potessero riconoscersi all'interno della cultura dello stato. Per tale motivo si
necessitava di una grande quantità di templi, per l’elevato numero delle divinità da venerare.
Nella città stato il sovrano deteneva il potere assoluto e il ruolo si tramandava matriarcalmente al
figlio della sorella. Nonostante questo esisteva un’assemblea, definita pankus, la quale sorvegliava
l’operato del re e controllava che egli non abusasse del suo potere portando danni allo stato.
Esisteva poi anche un tribunale che si occupava degli interventi giudiziari. Della politica del paese
non facevano parte i nobili, che si occupavano invece dell’amministrazione statale. Nei villaggi e
piccoli centri urbani vi erano invece delle strutture di autogoverno riconosciute dal re: i sindaci e
un’assemblea di anziani. Al palazzo si pagava una luzzi, cioè un tributo. Importante era infine il
peso della donna, che si esprime nella figura dela tawananna, cioè la madre del re, che conserva
potere fino alla propria morte ed è più vecchia della regina. 7
Diffuso era l’utilizzo della magia, che altro non era se non l’uso dei principi attivi derivanti da
conoscenze scientifiche. Così come se una persona prende in mano qualcosa che è freddo, il
freddo passa attraverso la mano di chi lo tiene, e avviene quindi la trasmissione di una sostanza
sull'altra, allo stesso modo mettendo in mano a una persona qualcosa con proprietà benevoli
questa ne riceveva un senso di benessere. Ad esempio l'acqua ha proprietà intrinseche guaritrici
nel caso in cui al suo interno vengano messi elementi purificatori come il cedro. Accompagnato il
gesto da formule magiche, parole a forza del bene o del male, la magia avveniva.
Si poteva scaricare l'impurità di una persona su un’altra, ad esempio in caso di malattia si poteva
passare in un altra persona il male provato, si utilizzava molto spesso un animale in quanto non
piaceva sacrificare vite umane in cambio di altre. A volte si utilizzavano delle figure sostitutive di
pasta di pane o cera, che poi venivano gettate nel fuoco e dissolvendosi allontanavano del tutto il
male.
La magia veniva applicata in una dimensione positiva per allontanare il male, ma le stesse norme
potevano essere usate per dare del male, in questo ca