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Il Trattato

Il Trattato è dunque la risposta del giudice Averroè a un quesito che gli è stato posto e che riguarda la compatibilità della filosofia con la legge islamica. Secondo il diritto islamico, tutte le azioni umane si dividono in:
  • atti permessi o leciti, sostanzialmente indifferenti dal punto di vista morale
  • atti prescritti, che si suddividono a loro volta in atti obbligatori e atti semplicemente raccomandati come meritevoli
  • atti illeciti, che comprendono sia quelli completamente vietati o interdetti, sia quelli degni di riprovazione
Se la filosofia non è altro che la considerazione di tutto ciò che esiste in quanto è prodotto da Dio ed è segno di Dio, essa non è né vietata né soltanto lecita: è prescritta dalla legge islamica, come obbligatoria, o quanto meno come meritoria. Averroè non ha alcun dubbio a questo proposito: se la logica e la filosofia non fossero state già disponibili, i

musulmani avrebbero dovuto inventale; mapoiché esse erano già state messe a disposizione, allora lo studio dei filosofi del passato, anche sepagani e non-musulmani, è in qualche modo un obbligo.

Ma cosa fare se si registra una discordanza tra gli insegnamenti della falsafa e quelli dellareligione? Per Averroè un contrasto effettivo o reale non può mai aver luogo: la rivelazione, inquanto ispirata da Dio, è sicuramente vera, ma anche le dimostrazioni razionali, se condottecorrettamente, sono indubitabilmente vere. Ora, la verità non può essere contraria alla verità, nonpuò mai entrare in contraddizione con sé stessa: la religione e la filosofia conducono sempreentrambe alla medesima verità. Per Averroè la verità è unica: la cosiddetta teoria della “doppiaverità” attribuitagli nel mondo culturale di lingua latina è del tutto estranea al suo pensiero.

Se la

verità è unica, i contrasti che si possono verificare tra filosofia e rivelazione sono puramente apparenti, nel senso che una delle due ipotetiche verità in conflitto deve in realtà essere interpretata più correttamente. Ma quale? Se si seguono con precisione le regole dettate dal modello sillogistico di Aristotele, qualsiasi dimostrazione scientifica o filosofica è indubitabile; è il testo rivelato (il Corano) a dover essere sottoposto a un'interpretazione che lo renda compatibile con la verità filosofica. Questa tesi non ha nulla di scandaloso. Il testo coranico presenta livelli diversi di lettura: - senso letterale o ovvio (il senso immediato o "prossimo") che è alla portata di tutti - senso metaforico o più profondo (un senso "remoto") che è accessibile soltanto alle persone più colte, ovvero a coloro che hanno gli strumenti per interpretarlo - i filosofi Lo studiodella filosofia è un compito che la legge prescrive come altamente meritorio, perché permette in condizione di cogliere la verità più profonda del testo rivelato. Questa conclusione implica due conseguenze: La prima è che la gente semplice è tenuta ad attenersi esclusivamente al senso letterale della rivelazione, che è strutturata in modo da risultare facilmente comprensibile, nel suo primo livello, anche per i semplici. La seconda è che dall'interpretazione del testo rivelato devono essere esclusi proprio i teologi. Chi sono i teologi? Coloro che non intendono attenersi solo al senso letterale, ma si attribuiscono il compito di interpretare il testo sacro non avendone i mezzi. L'unica maniera corretta di pervenire al senso profondo o metaforico di un passo coranico è quella di interpretarlo secondo le regole della logica e della filosofia: ma i teologi si oppongono alla filosofia e la rifiutano, cadendo in una sorta di

allegorismo incontrollato (si inventano dei possibili significati del testo sacro che non hanno alcun fondamento scientifico).

La dottrina dell'unicità dell'intelletto potenziale

Nel III libro del De anima Aristotele aveva distinto un intelletto agente o produttivo, in grado di produrre gli intelligibili, e un intelletto potenziale, in grado di ricevere gli intelligibili e di poterli pensare in atto. Quest'ultimo intelletto è descritto da Aristotele come "impassibile", "capace di ricevere le forme", "non commisto al corpo": il senso di queste espressioni sembra essere quello di sottolineare come tale intelletto non possa essere un organo corporeo, né possa essere modificato dal corpo stesso, altrimenti non sarebbe veramente "vuoto", per poter accogliere gli intelligibili. Per questo, l'intelletto potenziale è caratterizzato da una parte come "impassibile" (perché

non può "patire" ad opera del corpo) e dall'altra come "potenziale" (perché dev'essere in potenza rispetto a tutti i possibili contenuti intelligibili". Tuttavia, l'espressione "non commista al corpo" rimaneva di per sé ambigua. Aristotele intendeva dire che tale intelletto fosse del tutto separato dal corpo o che fosse nel corpo, pur non venendo modificato dal corpo stesso?

Fino ad Averroè, la teoria dominante del mondo della filosofia in lingua araba pone come unico e separato l'intelletto agente, e come proprio di ciascun individuo l'intelletto potenziale, ovvero quello con cui effettivamente si pensa.

La grande novità di Averroè è la scelta di porre come unico e separato anche l'intelletto potenziale, in modo da collocare l'intera attività del pensiero al di fuori degli individui: nessuno degli uomini possiede un'anima intellettiva in proprio;

Esiste una sola anima, ovvero un solo intelletto potenziale, a cui gli uomini si congiungono di volta in volta unicamente attraverso le proprie immagini sensibili, cioè attraverso le immagini ricavate dai sensi.

Le fasi della dottrina di Averroè sull'intelletto potenziale nei tre De anima:

  1. Epitome o Compendio: Posizione vicina a quella di Alessandro di Afrodìsia o meglio ancora di Ibn Baggia: l'intelletto potenziale è una pura posizione inerente alle immagini sensibili (i fantasmi).
  2. Commento Medio: Posizione vicina a quella di Temistio: l'intelletto potenziale è l'aspetto materiale dell'intelletto produttivo, ovvero è la stessa cosa dell'intelletto agente, ma sotto l'aspetto della ricettività.
  3. Commento Grande: Posizione definitiva di Averroè: l'intelletto potenziale è una sostanza unica e separata, distinta tanto dall'intelletto agente quanto dai singoli.

uomini; questi ultimi partecipano al processo del pensiero solo fornendo ciò che deve essere pensato (le immagini sensibili o fantasmi)

La dinamica conoscitiva secondo Averroè

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Publisher
A.A. 2021-2022
4 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/08 Storia della filosofia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cricetina93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Sorge Valeria.