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I brasiliani amano la Francia, vista come luogo di democrazia e dei diritti dell’uomo. Ai brasiliani veniva
insegnato prima il francese che l’inglese. Leila non suonò più ma cominciò a studiare architettura e
Sebastiao continuò il suo master. Lavoravano per pagarsi la retta perché non avevano borse di studio. Dopo
scoprirono che erano lo stesso controllati, che la gente che reputavano amici li aveva denunciati, che
c’erano fascicoli su di loro tenuti dal regime dittatoriale. Poi il regime è finito e chi era stato torturato era
adesso al potere. Le dittature finiscono sempre, non hanno destino.
In Francia hanno sperimentato la solidarietà.
Leila ha comprato la prima macchina fotografica per fotografare gli edifici. Così si appassionò alla
fotografia. Decise di andare in Africa dove avrebbe studiato le piantagioni di caffè e il modo in cui potessero
aumentare la rendita dei terreni, a Londra invece ci andava per incontrare Leila. Studiò anche le piantagioni
di tè, trovando dei luoghi fertili dove avviarle. Quanto ci tornò nel 91 per un progetto fotografico erano già
cresciute. In Africa aveva trovato il suo paradiso.
La fotografia lo appassionava, ogni volta che vedeva le foto che scattava in Africa era molto felice. Per lui
l’Africa era un secondo Brasile, hanno la stessa vegetazione, culture, anche perché un tempo erano un solo
continente. Quando andava a Londra da Leila parlava spesso della sua voglia di lasciare l’economia, finché
nel 1973 decise di diventare fotografo freelance.
Decisero di tornare a Parigi, vivendo di stenti, nelle mansarde dei palazzi, Leila faceva gli straordinari tra
lavoro e università per pagare gli attrezzi fotografici.
Anche se Leila era incinta, decisero di andare in Africa con la CCFD e fotografarono siccità, povertà ecc.
C’erano due fotografi: lui in bianco e nero e un altro invece a colori.
Di ritorno dal Niger andarono ad abitare a casa di amici, ma Salgado di ammalò per aver mangiato carne
avariata. Leila riuscì a vendere alcune foto e il CCFD usò una loro foto per un manifesto che venne appeso in
tutta Francia. Con quella somma, invece di comprare una casa, comprarono altri apparecchi fotografici.
Salgado grazie ai suoi studi di economia è riuscito a far diventare la sua passione in fotografia in rendita.
Quando cominciò con la fotografia aveva provato nudo, paesaggi e ritratti ma poi si era spostato verso i
temi sociali. Questo perché aveva vissuto nel periodo della rivolte sociali. Aveva cominciato a lavorare con il
CCFD e a pubblicare le sue opere nella stampa cristiana. I cristiani facevano anche opere di volontariato e
aiutavano le persone in difficoltà e i rifugiati.
Il suo scopo era quello di mostrare come il mondo fosse segnato da enormi differenze e ingiustizie che gli
europei compivano nei confronti degli altri popoli, come i contadini di caffè in Africa.
Grazie alla sua formazione eterogenea lui riusciva subito a capire la situazione della zona che voleva
fotografare e a raccontare la loro storia attraverso la fotografia.
Dal 75 al 79 lavorò con Gamma, un’agenzia che aveva alcuni aggancia nella stampa e che quindi era sempre
in attività e non si lasciava perdere un colpo. La sera data i rullini a dei passeggeri volontari che tornavano a
Parigi e poi contattata l’agenzia per descrivere i turisti e spiegare le foto. Non ha mai perso un rullino. A
volte di spostava direttamente dallo Stato dove si trovava, senza passare da Parigi.
Salgao crede nelle sue immagini, sono espressione dei suoi pensieri, della sua vita, se si trovava in un posto
era perché aveva una sua ideologia, era curioso. Le sue foto sono soggettive.
Per lui fotografare non è solo pubblicare foto nel giornale, anche perché lavori con quel giornale per pochi
giorni, ma è vivere. Second lui i primi cugini della fotografia sono gli architetti, perché anche loro operano
con luci, forme e armonie. La fotografia è diversa dal cinema perché è sprazzo di vita, un attimo di vita, non
un’immagine continua.
Chi segue un fotografo potrebbe annoiarsi perché stanno fermi per molto tempo ad aspettare lo scatto
perfetto. In più, prima della fotografia digitale, dovevi aspettare che le foto venissero sviluppate per capire
se avevi o meno catturato il momento e rappresentato quello che volevi.
Ha fatto poi dei viaggi nel sud America, in quei paesi che però all’agenzia Gamma non interessavano. Per
fotografare i nativi, diffidenti nei confronti degli occidentali che li avevano massacrati, doveva riuscire ad
inserirsi, diventare amico, essere accettato. Insieme hanno condiviso molto.
Anche se prima non interessavano a nessuno le sue foto, vince il Prix de la Ville de Paris e fu pubblicato il
suo primo libro.
Ha lavorato per medici senza frontiere in Mali, Etiopia, Ciad e Sudan e questo lavoro gli ha fatto vincere il
Word Press Photo e Oskar Barnack.
Lui non ha maia chiesto alla gente di mettersi in posa, li riprendeva nei loro gesti quotidiani dopo essere
riuscito ad acquistare la loro fiducia. Lui vuole denunciare il modo in cui le terre del nord siano così più
ricche in confronto a quelle del sud, vuole contribuire nella sensibilizzazione nei confronti delle
diseguaglianze, azione impossibile solo attraverso la fotografia, infatti aderiscono tanti media. La sua
fotografia è una denuncia. La fotografia è una potente forma di scrittura che non bisogna di traduzione
quindi più immediata.
Successivamente è entrato nell’agenzia Magnum, dopo nacque il suo secondo figlio affetto da sindrome di
Down, che quindi li ha proiettati in questo nuovo mondo di cui non sapevano nulla, ma che comunque ha
modificato il modo di vedere il mondo.
Salgado fotografa in bianco e nero, le ultime foto a colori risalgono a Life nel 1987. Alla Magnum ha
incontrato grandi fotografi, molti diventati amici e con alti ha avuto forti scontri. Quando ha assistito e
fotografato i sei colpi di pistola sparati al presidente Reagan mentre usciva dall’hotel ha ottenuto molti
soldi dalla vendita delle foto.
Nel 1994 ha creato con sua moglie la loro prima agenzia a Parigi chiamata Amazonas Images anche se
decisero di assumere pochissimo personale.
Nel lavoro “La mano dell’uomo” ha deciso di fotografare quelle aree non ancora colpite dalle innovazioni
robotiche ecc nell’industria, per fotografare il mondo prima che cambiasse completamente.Pochissimi
reportage sono stati fatti in Europa perché le industrie era delocalizzate nei paesi dell’est e del sud. Lo stupì
la creazione delle navi, del ferro che galleggiasse, come venivano costruite e poi il cui ferro, una volta
smontate perché ormai vecchie, venisse spedito in Asia e lavorato per creare dell’altro. Di come ci fossero
due facce della medaglia, quella bella del carbone che si trasforma nella lavorazione e quella brutta della
gente che muore per i gas nocivi. Ha visitato varie fabbriche e visto come l’uomo lavora in maniera
differente a seconda del prodotto, quindi non è l’uomo che fabbrica il prodotto ma il prodotto che fabbrica
lui. Ha visto che ci sono lavori davvero difficili che vengono ben pagati e altri che invece vengono
sottopagati. Ha visto il mondo dell’industria da tutte le angolazioni.
Altro reportage è stato quello nella miniera di oro di Serra Pelada, in uno stato al nord del Brasile, dove
lavoravano migliaia di persone volontarie che andavano da laureati a completi analfabeti. L’ fece molte
foto. Quando però ci tornò successivamente delle grandi macchina russe avevano preso il posto degli
uomini nel lavoro e quelli avevano cominciato a vivere nella povertà non essendo specializzati.
“In cammino” lui raccolta i cambiamenti che ha portato sostituire la manodopera dell’uomo con le
macchine, la modifica della famiglia umana, le grandi masse che sono costretta a spostarsi per ragioni
economiche, politiche o religiose. Il viaggio che l’uomo intraprende.
La costruzione di fabbriche ha portato la gente a vivere nelle città, grandi masse si spostano verso le città,
ma questo non significa che vivono bene, anzi, molti sono poveri, le città sono al collasso. Che siano in
America, Africa o Asia, i poveri sono tutti uguali, vivono nelle baracche, bidonville (città fatte di lamiere) i
bambini giocano tra i rifiuti, i giovani sniffano.
Salgado e sua moglie, allo scadere del loro passaporto brasiliano, non hanno potuto rinnovarlo e quindi,
prima di acquisire la cittadinanza, sono stati per un periodo rifugiati invece i figli sono proprio francesi.
La realizzazione di “In cammino” è durata sei anni, lui ha viaggiato ovunque vedendo questi migranti che, in
situazioni disperate, cercavano di scappare dalla loro realtà verso paesi più ricchi in cerca di un futuro
migliore. Oppure quelle persone fuggite da calamità naturali. Fa una differenza tra profughi e migranti, i
profughi fuggono dalla guerra, non in cerca di una vita migliore, ma solo per salvarsi.
In Mozambico per anni si era tenuta una guerra fratricida a causa di due diversi schieramenti politici,
quando finì Salgado decise di andare per vedere la gente ricongiungersi e sentire l’atmosfera di gente che
prima si odiava diventare solidale. Vide anche scene tremende lungo quelle file di persone che
percorrevano chilometri e chilometri, stanchissimi, come quando, ignari del pericolo, molti si tuffarono in
un fiume per bere e finirono per essere mangiati dai coccodrilli. Quando diversi anni dopo stava per tornare
di nuovo in Mozambico, sua moglie gli chiamò dicendo invece di andare in Ruanda perché molta gente
stava fuggendo verso la Tanzania. Così arrivò in Kenya e si diresse alla sede del’UNHCR dove gli dissero che
non poteva andare in Ruanda perché stava scoppiando la guerra e le persone stavano quindi fuggendo in
Tanzania. In Ruanda c’era stato tante volte dopo aver contribuito a creare delle grandi piantagioni di the
quando era ad economia, anche per esempio per “La mano dell’uomo” , e questa volta vide cose terribili,
morti su morti, cadaveri nel fiume, corpi mutilati, montagne di cadaveri, un orrore. Le cause della guerra
erano etniche, ma in realtà erano dovute alla povertà e allo sfruttamento. Dopo nove mesi fu costretto a
tornare in Francia perché incapace di continuare, anche se poi vi tornò scoprendo che un suo vecchio amico
era stato assassinato assieme alla sua famiglia.
Anche quando tornò nelle piantagioni, non trovò altro che fuoco e morti, sicuramente di gente che aveva
conosciuto. Fu un duro colpo, anche perché lì, vicino al lago Kivu, aveva passato molte esperienze e recato
per molti lavori. Tutta la violenza che ha visto nella creazione di “In cammino” l’ha scosso, ma non importa
perché è fel