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SINDROME DELL’INTESTINO INFIAMMATO.

Con questo termine comprendiamo diverse malattie, dalla diversa eziopatogenesi, che decorrono

in modo acuto o cronico, ma con sintomatologia analoga dove prevalgono diarrea e mucorrea,

dolori addominali e perdita di sangue. Queste malattie comprendono la colite ulcerosa ed il morbo

di Crohn. A differenza dell’IBS, queste malattie possono avere un decorso anche molto grave, che

può richiedere intervento chirurgico con resezione della parte di intestino infiammata. Vedremo

anche che in queste malattie un intervento con pre o probiotici non ha dato risultati.

Entrambe le malattie sono caratterizzate da: tendenza alla familiarità; decorso cronico

intermittente; marcata efficacia al trattamento steroideo (FANS, soprattutto mesalazina, formulata

in modo tale che non svolga un effetto sistemico ma localizzato a livello intestinale; cortisone

soprattutto nei periodi di recidive). La manifestazione principale e comune alle due malattie è la

reazione infiammatoria cronica della parete intestinale, con periodiche remissioni ed

esacerbazioni. L’aspetto intestinale è variabile, e va da erosioni, ad ulcerazioni, fistole e reazioni

granulomatose. Da un punto di vista terapeutico nei casi più gravi si impiegano anche

immunosoppressori, essendo l’infiammazione a carico del sistema immunitario, che risponde in

maniera abnorme a qualche stimolo non ancora ben identificato.

COLITE ULCEROSA. Dal punto di vista anatomico nella rettocolite ulcerosa abbiamo

interessamento dell’ultimo tratto del colon, fino ad arrivare all’ano. È caratterizzata da un processo

infiammatorio continuo che interessa, inizialmente, il retto fino ad interessare l’intero organo

(intestino crasso). Il processo infiammatorio non interessa tutto lo spessore della parete, ma si

limita alla mucosa e sottomucosa. La mucosa presenta ulcerazioni superficiali, confluenti, di varia

estensione. Il retto è sempre coinvolto. All'esame istologico è presente un infiltrato di linfociti e

granulociti, con formazione di microascessi, nello spessore della mucosa.

MORBO DI CROHN. Questa patologia può interessare l’intero tratto gastrointestinale, dalla bocca

all’ano; colpisce più frequentemente l'ultima ansa ileale (70%), il colon destro (15%) ed il retto è

generalmente non colpito (solo nel 5% dei casi lo è). Il processo infiammatorio è segmentario,

discontinuo con zone indenne alternate a zone infiammate, da cui l’appellativo “malattia a salto”.

In questo caso il processo infiammatorio interessa tutto lo spessore della parete, conferendo al

tratto interessato un aspetto edematoso, ispessito e con lume ristretto. La mucosa presenta

ulcerazioni profonde, longitudinali.

In entrambe le patologie, essendo la struttura della parete intestinale alterata, risulta alterata

anche la sua permeabilità. Nel morbo di Crohn è più intuitivo, in quanto il processo edematoso va

ovviamente ad aumentare la permeabilità intestinale. Nella rettocolite ulcerosa analogamente, si

osserva alterazione della struttura delle tight junctions.

Nel caso in cui il paziente non risponda adeguatamente a trattamenti farmacologici e nel caso in

cui queste recidive diventino frequenti e molto debilitanti, si può intervenire anche

chirurgicamente; ovviamente è un intervento a cui si ricorre solo se non ci sono alternative.

Fattori ambientali, come il microbiota, ma anche infezioni e fattori metabolici, si ritiene che

possano svolgere un ruolo nello sviluppo e nella manifestazione dell’IBD. Anche alcuni farmaci

possono essere complici: un esempio è costituito dai chemioterapici, che sono particolarmente

aggressivi e possono predisporre, in certe condizioni, il paziente verso la manifestazione di

episodi di rettocolite ulcerosa. Il microbiota poi è fondamentale nello sviluppo del sistema

immunitario e rappresenta un target nella risposta infiammatoria durante l’IBD. La composizione

del microbiota subisce delle modificazioni durante l’IBD, sebbene non sia chiaro del tutto quanto

questo sia la causa o l’effetto. Il trattamento con antibiotici può incidere pesantemente sulla

manifestazione della malattia, soprattutto sulla recidiva, in quanto si va ad insistere su un

microbiota che in tutta probabilità è già alterato dal processo infiammatorio. Per quanto riguarda la

disbiosi, questa è sicuramente più grave nella rettocolite ulcerosa, in quanto interessa in modo

continuativo tutto il tratto del colon, che è il tratto che presenta una popolazione microbica più

elevata ed eterogenea.

Un altro fattore che può influenzare queste patologie è la dieta: dati epidemiologici evidenziano

una bassa diffusione delle IBD in America del Sud, Africa e Asia (tutte regioni in cui usano molte

spezie), mentre è più prevalente nelle persone bianche ed in certe etnie (es. ebrei). Sicuramente

per spiegare la più alta prevalenza in persone bianche non è sufficiente la dieta, essendo questa,

almeno in Europa, molto variabile; la causa non è ancora stata riconosciuta.

Micronutrienti.

Questo non è tanto un intervento farmaceutico quanto una necessità, in quanto le porzioni di

parete intestinale alterate non riusciranno a captare tutti i micronutrienti, condizione che può

portare ad una loro carenza sul lungo termine. Per controllare le condizioni di malassorbimento,

quindi, si può intervenire con integrazioni di vitamine e minerali. A onor del vero, soprattutto nei

periodi di recidiva anche somministrando grandi quantità di micronutrienti, trattandosi comunque di

una condizione di malassorbimento, non si riesce a riportare i livelli dei micronutrienti nella norma.

Essendo il paziente malnutrito si può avere un peggioramento del quadro clinico.

Probiotici, prebiotici e simbiotici.

Si può consigliare una loro assunzione nell’ottica di aumentare il tempo di remittenza. Questo tipo

di intervento può essere anche complementare all’intervento farmacologico, essendo mirato non

tanto al trattamento dei sintomi, quanto al mantenimento dello stato di benessere.

(a). Morbo di Crohn.

Probiotici: evidenze deboli e inconcludenti di efficacia nel trattamento del morbo di Crohn.

Prebiotici: assunzione di FOS, GOS ed inulina hanno dato risultati ancora meno significativi di

quelli derivanti dall’uso di probiotici. Analoga considerazione vale per i simbiotici.

Questo ci fa riflettere sul fatto che, pur essendo vero che pazienti con IBD hanno alterazioni a

carico del microbiota, probabilmente si tratta di una conseguenza della patologia (mentre abbiamo

visto che per IBS i confini tra causa e conseguenza erano molto labili). Può anche dipendere dal

fatto che la patologia è più aggressiva, nonché dal fatto che nelle IBD si ha un processo

infiammatorio causato da una risposta abnorme del sistema immunitario.

(b). Colite ulcerosa.

Probiotici. Metanalisi del 2012, su 43 studi clinici (1421 pazienti), che per lo più impiegavano

probiotici diversi. L’unico studio ad aver dato risultati significativi è stato quello che ha impiegato il

probiotico VSL#3, che contiene 9 x 1011 (quasi 1012) lattobacilli e bifidobatteri. Conferma

successiva di efficacia nell’associazione VSL#3 + mesalazina /immunosoppressori. Emerge un

sinergismo, ed è consigliato nei pazienti con colite ulcerosa media-moderata. Successivamente gli

studi sono stati stratificati in quelli che hanno usato VSL#3 rispetto a quelli che usavano

esclusivamente bifidobatteri. In questi ultimi si è osservata una tendenza al miglioramento, ma il

diamante si sovrappone con l’asse 0, quindi non significativo, mentre si osserva miglioramento

statisticamente significativo negli studi in cui è stato impiegato VSL#3.

Prebiotici e simbiotici. Esistono pochi studi e dunque non è possibile, al momento, fare

considerazioni di efficacia.

Fitoterapici.

(a). Morbo di Crohn.

Una metanalisi del 2013, che ha coinvolto quasi 500 pazienti ha impiegato un mix di due piante

medicinali: un estratto della corteccia di Boswellia serrata, associata all’estratto di Artemia

absinthium, ovvero di assenzio. Questa è l’unica metanalisi che prende in considerazione

l’impiego di fitoterapici; la conclusione è che in questo contesto è interessante soprattutto la

boswellia. Proabilmente la sua efficacia è legata alla potente azione antinfiammatoria che la

caratterizza. Esiste una formulazione standardizzata in acidi boswellici, i costituenti attivi, indicati

nel trattamento del morbo di Crohn.

Altri piccoli studi clinici hanno visto l’utilizzo di un’integrazione di ω3, che ha un ruolo

antinfiammatorio importante, impiegato come terapia di mantenimento, ovvero nel periodo di

remissione, o di agenti antiossidanti variamente associati (vitamina C + E o vitamina C + E +

glutamina)

(b). Colite ulcerosa.

La stessa analisi del 2013 suggerisce l’associazione di Aloe vera e Triticum aestivum nel

trattamento della colite ulcerosa nella fase attiva lieve-moderata. Anche in questo caso si sfrutta

l’azione antinfiammatoria ed antiossidante di queste piante medicinali.

Un piccolo studio clinico ha valutato l’associazione di curcumina (2g/die) + mesalazina /

sulfalazina; questa è risultata efficace nel ridurre le recidive (4,7% vs 20,5%). Sicuramente

l’efficacia della curcumina è conseguenza del fatto che non deve essere assorbita (abbiamo visto

le difficoltà a cui va incontro in questa fase), ma deve agire a livello locale, ovvero sull’intestino.

Vitamina D.

Carenza di vitamina D è stata associata all’IBD, ma non è ancora chiaro se sia la causa o la

conseguenza. La vitamina D contribuisce a mantenere l’integrità ed il trofismo della barriera

intestinale, e quindi anche la sua permeabilità. Per questo c’è l’idea che aumentando l’esposizione

alla luce o aumentando il consumo di alimenti ricchi di vitamina D, od eventualmente ricorrendo ad

un supplemento dietetico si possa migliorare il quadro sintomatico dell’IBD. Ad oggi, però, non ci

sono studi che dimostrino un suo effetto significativo. Questo potrebbe essere conseguenza di vari

fattori: da un punto di vista formulativo, gli integratori di vitamina D ad oggi disponibili godono di

bassissima compliance, in quanto sono o gocce di olio, spray, foglietti da mettere sotto la lingua

che si sciolgono. Considerando che si tratta di una terapia cronica sono tutte formulazioni poco

accettate dal paziente. Quindi il problema potrebbe essere che il paziente non assume la vitamina

D in modo adeguato, che i dosaggi sono troppo bassi, o che non c’è alcun nesso di casualità tra

vitamina D e IBD. Questo rimane ancora da chiarire.

Dieta.

Non ci sono evidenze chiare di una correlazione tra tipo di dieta e ins

Dettagli
A.A. 2023-2024
42 pagine
SSD Scienze mediche MED/09 Medicina interna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giuliacasaburi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Nutraceutica e nutrigenomica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Testai Lara.