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Il concetto di "familia" nel diritto romano

In diritto romano, il termine "familia" comprendeva il pater familias e tutte le persone libere a lui sottoposte, come la moglie, i figli e le loro famiglie, ecc.

Al pater familias erano sottoposti la moglie, i figli e tutti i beni della comunità familiare, su cui si esercitava la dominica potestas.

Quando il pater familias moriva o perdeva la propria capacità giuridica per capitis deminutio, la famiglia si scioglieva e si andavano a formare tante famiglie nuove ed indipendenti quanti erano i soggetti liberi a lui legati.

In età post-classica l'istituto familiare subì radicali mutamenti: in particolare, fu abolito il cosiddetto "Ius vitae ac necis" (diritto di vita e di morte) del padre sui figli e si affermò la capacità patrimoniale dei figli.

Il matrimonio, che costituiva il fondamento della familia propria, si basava sui seguenti principi:

  1. Monogamia: non era consentito ad un uomo avere due o più mogli legittime, anzi la bigamia era colpita da...
infamia. 2) Consensualità: a far sorgere il vincolo coniugale era il consenso, sia dell'uomo sia della donna. 3) Esogamia: per il quale il matrimonio era concepibile solo tra soggetti appartenenti a gruppi familiari diversi, sia dal punto di vista agnatizio sia da quello cognatizio. Il matrimonio cum manu è la forma più antica di matrimonio: la donna che lo contraeva usciva dalla famiglia d'origine ed entrava in una famiglia nuova, in condizione di sottoposta. Il maritus acquistava sulla moglie una particolare potestà, la manus maritalis, la donna perdeva ogni rapporto di agnazione con i suoi familiari d'origine e quindi ogni aspettativa sull'eredità. La perdita di ogni relazione con la famiglia d'origine era determinata dalla conventio in manum, se la donna era sui iuris, essa apportava al maritus sui iuris tutto il suo patrimonio. Successivamente fu previsto un nuovo tipo di unione matrimoniale, il matrimonio sine manu (la sposa

conservava lo status familiae originale)Che negli ultimi secoli della repubblica fu prevalente e fu considerata il matrimonio tipico del diritto romano.

In epoca postclassica, a seguito dell'inusso del cristianesimo, il matrimonio si andò configurando come negozio giuridico, ciò significa che per il sorgere del vincolo non occorreva più l'usus o il permanere dell'affectio, ma bastava il consenso iniziale dei nubendi.

Nel diritto romano mai fu richiesta una forma solenne per il matrimonio. Nell'epoca cristiana la benedizione del sacerdote era molto praticata, ma divenne forma legale in età tarda, in conformità al concetto di matrimonio come sacramento.

Requisiti essenziali per un matrimonio valido:

  1. il connubium: entrambi i nubendi dovevano essere cittadini romani, o comunque avere la capacità di unirsi in matrimonio con i cittadini romani, il connubium fu concesso progressivamente ai peregrini, mentre i plebei poterono

Unirsi in matrimonio con i patrizi in seguito all'emanazione della lex Canuleia (445 a. C.). La Constitútio Antoniniána del 212 d.C. ridusse l'importanza del connubium, poiché estese la cittadinanza a quasi tutti i cittadini dell'Impero. Non potevano contrarre matrimonium, perché privi di conubium, gli schiavi.

Capacità di unione sessuale dei coniugi: i coniugi dovevano essere capaci di unirsi in matrimonio ed aver raggiunto l'età pubere. Tale raggiungimento avveniva, per i Proculiani, al compimento del 14° anno di età per l'uomo e del 12° anno di età per la donna; per i Sabiniani, la pubertà doveva essere accertata caso per caso mediante una inspéctio côrporis.

Una causa giusta, come il matrimonio tra:

  • la moglie colpevole di adulterio e il suo complice
  • il tutore e la pupilla, no a che il primo non avesse presentato il rendiconto della gestione dei beni della seconda
  • il funzionario
di governo in provincia e una donna ivi domiciliata, no all'acessazione della carica; - senatores (e loro discendenti) e donne di condizione libertina o umile; - rapitore e rapita, tra padrino e glioccia e, in base a costituzionipostclassiche, tra persone che avessero pronunciato il voto di castità o preso gli ordini ecclesiastici maggiori. - Cristiani ed Ebrei. I matrimoni posti in essere in contrasto con prescritti divieti erano nulli. Le secundae nuptiae erano ammesse, sempre che non fosse violato il témpus lugéndi, cioè il periodo di dieci mesi di lutto imposto dal costume sociale alla vedova per evitare la eventuale commistio sanguinis. Del matrimonio derivavano i seguenti effetti: 1) i gli nati erano legittimi ed erano cittadini romani, anche se la madre era straniera (purché avesse il conubium). 2) i gli erano sottoposti alla patria potestas del genitore o, se questi era a sua volta lius familias, del di lui pater familias. 3) tra i coniugi,nonché tra ciascuno di essi ed i parenti dell'altro, si creavail vincolo di ad nitas.
4) trovavano applicazione quelle norme particolari, che presupponevano ilrapporto di coniugio
5) ammissione della praesúmptio Muciána, la quale comportava che tuttigli acquisti patrimoniali tatti dalla moglie si presumevano tatti in favore eper conto del marito, salva la possibilità di offrire prova contraria.
Da Augusto in poi, gli imperatori intervennero a favorire o a limitaredeterminati tipi di matrimonio.
In particolare, la lex lulia et Papia sancì l'obbligo per gli uomini tra i 25 ed i60 anni e per le donne tra i 20 ed i 50 anni di contrarre matrimonio conpersone nei rispettivi limiti di età. Tale disposizione valeva anche per lepersone vedove o divorziate, col solo limite per le donne di rispettare iltempus lugendi ( ssato in 10 mesi dalla morte del marito).
Il matrimonio si scioglieva per morte di uno dei coniugi, per il venir meno diuno dei

requisiti essenziali e, in ne, per divorzio. Il matrimonio si scioglieva quando veniva meno la reciproca capacità matrimoniale per:

  1. riduzione in schiavitù di uno dei coniugi: la capitis deminutio maxima, indiritto classico, scioglieva il matrimonio. Inoltre il postliminii non trovava applicazione in tale fattispecie. Infatti il captivus che tornava a Romariacquistava la patria potestas sui gli concepiti prima della prigionia, ma non lo stato di coniuge
  2. perdita della cittadinanza: la capitis deminutio media scioglieva il matrimonio solo se insieme alla cittadinanza veniva meno anche il connubium. In diritto giustinianeo, la perdita della cittadinanza non scioglieva mai il matrimonio;
  3. parentela sopravveniente: il matrimonio si scioglieva per incèstum supervêniens, cioè quando il suocero adottava il genero o la nuora.

Il divortium era conseguenza della concezione classica del matrimonio, secondo cui lo stesso cessava non appena veniva meno l'affectio maritalis.

Cioè la volontà dei coniugi di convivere, requisito necessario per la durata della permanenza del vincolo. Mentre in origine solo il marito aveva la facoltà del ripudio, successivamente anche la donna ne poté usufruire. L'unica limitazione era costituita per la libertà, la quale, se divorziava per sua iniziativa dal patrono, non poteva risposarsi. Fino all'epoca repubblicana, qualunque causa poteva costituire motivo di divorzio, anche se futile. AUGUSTO, con la lex lutia de adulteris coercendis (17 a.C.), comportamento, ad una giusta causa di divorzio. Successivamente, con l'influenza del cristianesimo, si diffuse l'avversione al divortium. COSTANTINO, in linea con lo spirito antidivorzista del cristianesimo, ritenne rilevanti, per ciascuno dei coniugi, ai fini del divorzio unilaterale le seguenti iustae causae:

  1. per la donna, quando il marito era riconosciuto omicida, violatore di sepolcri o avvelenatore
  2. per il marito,
quando la moglie fosse accusata di essere adultera, mezzana o avvelenatrice. Giustiniano ampliò le iustae causa di divorzio unilaterale, reputando valido il repudium, nel caso in cui la donna fosse andata a banchettare o a fare bagni con estranei o avesse frequentato spettacoli senza il consenso del marito, o nel caso in cui il marito avesse indotto a prostituirsi la moglie o l'avesse accusata falsamente di adulterio, oppure avesse mantenuto una concubina. Era iusta causa, per entrambi i coniugi, l'aver teso insidia alla vita dell'altro o l'aver congiurato contro l'imperatore. Il coniuge colpevole veniva privato di ogni diritto sulla dote e sulle donazioni propter nuptias. Si aveva concubinato qualora nell'unione tra un uomo ed una donna fossero presenti tutti i presupposti del matrimonium, ma mancasse la causa o la volontà: in quest'ultimo caso la convivenza era dovuta ad una allectio meno intensa di quella coniugale. Il concubinato acquistòrilievo giuridico solo con la lex lulia et Papiaaugustea a seguito della introduzione dei divieti matrimoniali. La legge aveva vietato e punito come crimina: - l'adulterium (con donne sposate); - l'incestum (tra persone legate da rapporti di parentela); - lo stuprum (con donne nubili o vedove honestae, ossia non libertine né di facili costumi). Il concubinato era invece ammesso, trattandosi di mera convivenza, con donne di basse condizioni, in qua stuprum non committur (con le quali non si commetteva stuprum). Il concubinato fu quindi visto come un surrogato del matrimonio, al quale si ricorreva per evitare le seconde nozze o per aggirare il principio monogamico ed evitare la bigamia. In età postclassica i figli dei concubini furono considerati gli naturali diambo i concubini (a differenza dei figli di unioni extramatrimoniali, considerati vulgo concepti e perciò attribuiti alla sola madre) e potevano essere riconosciuti dal pater con il nuovoistituto della legittimazione.8. LA DOTE Principio Fondamentale del matrimonium romano era che gli onera matrimonii dovevano essere sopportati dal marito o dal suo pater familias: questa regola, formatasi in relazione al matrimonium cum manu, trovò applicazone anche nel matrimonium sine manu. Dote (dos) era qualsiasi complesso di beni patrimoniali dati o promessi, in occasione o in vista del matrimonio, al marito dalla stessa donna, da un suo parente o da un estraneo, allo scopo di contribuire alle spese della famiglia (ad onera matrimoni ferenda). Originariamente non si avvertì la necessità di creare un apposito istituto per individuare tali beni e disciplinarne il regime in quanto, passando la donna sotto la potestas del marito o del di lui pater familias, automatic
Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher irep777 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Rossi Pellegrino.