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Le marcite: un precedente storico
La pratica del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura non è una novità
assoluta. Storicamente, nella Pianura Padana era diffuso il sistema delle
"marcite", ovvero campi irrigati durante i mesi invernali con acque
provenienti da scarichi civili non trattati. Questa tecnica, oggi
improponibile per motivi igienico-sanitari, trovava giustificazione in una
serie di fattori favorevoli. Le acque reflue civili di un tempo erano prive di
contaminanti chimici artificiali, come plastificanti, detersivi, solventi o
disinfettanti, il cui impiego massivo è iniziato solo a partire dagli anni
Sessanta. Inoltre, queste acque avevano una temperatura relativamente
stabile, raramente inferiore ai 10°C, il che contribuiva a mantenere il
terreno attivo anche durante la stagione fredda. I reflui apportavano
nutrienti e sostanza organica, migliorando la fertilità e la struttura del
suolo, in modo simile a quanto accadeva con le esondazioni del Nilo
nell’antico Egitto.
Tuttavia, il contesto odierno è profondamente mutato. Le acque reflue
contengono numerose sostanze potenzialmente pericolose, oltre a
un'eventuale carica patogena. Di conseguenza, il riuso in agricoltura
richiede oggi una rigorosa regolamentazione e sistemi di trattamento in
grado di garantire un’effluente sicuro.
Le fasi del trattamento depurativo
Un impianto di depurazione urbana si articola in una sequenza di
trattamenti che si susseguono all’interno di reattori specifici. Tali
trattamenti possono essere suddivisi in tre categorie principali:
meccanici, biologici e chimico-fisici. L’obiettivo complessivo è la
rimozione della sostanza organica e dei nutrienti, che rappresentano i
principali inquinanti delle acque reflue domestiche.
La logica di progettazione prevede che i trattamenti più semplici e meno
costosi vengano effettuati per primi. I trattamenti meccanici consentono
di rimuovere i solidi grossolani e il materiale sedimentabile, riducendo così
il carico che giunge alle fasi successive. Successivamente, i trattamenti
biologici, basati sull’azione di microrganismi, degradano la materia
organica disciolta e rimuovono l’azoto e il fosforo mediante processi quali
la nitrificazione, la denitrificazione e l’assimilazione biologica.
In alcuni casi, l’effluente può essere sottoposto a trattamenti chimico-fisici
aggiuntivi, soprattutto se è necessario raggiungere standard di qualità
elevati o rimuovere sostanze specifiche. Tali trattamenti possono includere
la precipitazione chimica del fosforo, l’ossidazione avanzata, la filtrazione
o la disinfezione finale tramite clorazione o raggi ultravioletti.
Considerazioni finali
Gli impianti di depurazione urbana sono stati concepiti con l’obiettivo
primario di trattare le acque reflue domestiche, garantendo la rimozione
della sostanza organica e dei nutrienti principali. Tuttavia, nel tempo, la
complessità dei reflui urbani è aumentata, soprattutto a causa della
presenza di sostanze emergenti di origine industriale o domestica. La
progettazione, la gestione e il potenziamento degli impianti devono oggi
tenere conto di queste nuove sfide, garantendo elevati livelli di efficienza
depurativa, compatibilità ambientale e possibilità di riuso sicuro delle
acque trattate.
Nel contesto della gestione delle acque reflue urbane, un esempio
significativo è rappresentato dalla città di Milano, dove l’ente gestore
responsabile del servizio idrico e della depurazione è la Metropolitana
Milanese (MM). Questo dato, apparentemente secondario, assume
rilevanza se si considera che in un’area metropolitana così estesa e
densamente abitata, i volumi d’acqua trattati sono ingenti e non tutti sono
imputabili direttamente agli scarichi civili o industriali.
Una parte delle acque in ingresso agli impianti di depurazione viene
effettivamente recuperata e riutilizzata in agricoltura, il che rappresenta
un vantaggio ambientale e funzionale, poiché evita che queste acque
vadano completamente perse. Tuttavia, dal punto di vista idraulico, ciò
comporta che gli impianti ricevano portate molto elevate. Questo
aumento della portata è dovuto non solo alla componente domestica e
industriale, ma anche a contributi non sempre desiderati, come le acque
meteoriche e le cosiddette acque parassite.
Tale situazione ha un duplice effetto. Da un lato, si verifica una forte
diluizione dei carichi inquinanti, che può agevolare il trattamento di
alcune componenti, ma dall’altro lato introduce difficoltà legate al
trattamento stesso, per via dell’elevato volume idraulico. In aree urbane
come Milano, quindi, gli impianti di depurazione ricevono grandi quantità
d'acqua contenenti carichi inquinanti relativamente bassi, perché molto
diluiti.
Per quanto riguarda la rimozione dei parametri convenzionali, come
la domanda biochimica di ossigeno (BOD), la domanda chimica di
ossigeno (COD), i solidi sospesi e i nutrienti (in particolare azoto e
fosforo), generalmente i risultati ottenuti sono soddisfacenti. Tuttavia, in
certi casi si verificano dei malfunzionamenti degli impianti che
compromettono la qualità dello scarico finale, con conseguenze negative
sul rispetto dei limiti normativi e sulla qualità ambientale del corpo idrico
ricevente.
In relazione al concetto di abitante equivalente, si è già discusso
ampiamente del suo significato. Tale parametro rappresenta una unità di
misura standardizzata del carico inquinante prodotto da una persona
al giorno. Serve come riferimento per dimensionare e valutare il
funzionamento degli impianti di trattamento. Un tipico impianto può
essere progettato, ad esempio, per servire 200.000 abitanti equivalenti, di
cui una parte (ad esempio 20.000) può essere attribuita a utenze
industriali.
Le portate in ingresso agli impianti derivano principalmente da tre
componenti:
1. le acque reflue provenienti dalla rete fognaria,
2. le acque meteoriche, che si aggiungono durante gli eventi piovosi,
3. le acque parassite, che comprendono infiltrazioni o immissioni non
desiderate.
In aree critiche come Milano, si registra anche un ulteriore apporto idrico
rappresentato dalle acque di falda pompate (ad esempio, da stazioni
metropolitane) e scaricate direttamente in fognatura, contribuendo
così ad aumentare la portata. Tali acque, pur essendo spesso di buona
qualità, non dovrebbero essere trattate negli impianti di depurazione,
poiché non necessitano di processi depurativi complessi e causano
consumi energetici elevati legati al pompaggio e alla movimentazione.
L’immissione di acque pulite nella rete fognaria solleva anche una
questione critica dal punto di vista idraulico. Se un collettore è stato
dimensionato per una portata specifica e riceve invece volumi superiori a
causa di queste immissioni extra, è probabile che lo sfioratore di piena
entri in funzione più frequentemente del previsto. Questo implica che
parte del carico, anche se diluito, venga scaricato direttamente nel
corpo idrico superficiale, con potenziali impatti ambientali negativi.
Un esempio emblematico si è verificato in passato nel comune di
Bulgarograsso, in provincia di Como, dove lo sfioratore di piena
funzionava quasi ininterrottamente, impedendo che una porzione
significativa del carico fognario raggiungesse l’impianto di depurazione. La
situazione è stata in seguito corretta, ma dimostra quanto il problema
della diluizione eccessiva e della gestione delle portate sia attuale e
rilevante.
Per quanto riguarda la regolamentazione, in Lombardia vige ancora il
Regolamento Regionale n. 3 del 2006, successivamente integrato da
un altro provvedimento del 2009. Tuttavia, il regolamento del 2006 resta il
riferimento principale in materia di gestione delle portate da inviare al
trattamento durante gli eventi meteorici. Questo regolamento stabilisce
i criteri per la progettazione degli scaricatori di piena e dei collettori
fognari.
Due sono i criteri principali adottati nel dimensionamento delle portate:
1. Il primo criterio prevede che anche durante le precipitazioni piovose
si debba garantire una portata in ingresso all’impianto pari ad
almeno 750 litri al giorno per abitante equivalente.
Considerando che un abitante scarica mediamente circa 200 litri al
giorno, si ammette quindi un coefficiente correttivo che consenta
un’entrata fino a quasi quattro volte superiore rispetto al carico
secco.
2. Il secondo criterio fa riferimento a un rapporto di diluizione pari
a 2 rispetto alla portata media in tempo asciutto. Questa viene
calcolata su base giornaliera per i reflui civili e come media su 12
ore per i reflui industriali, assumendo che di notte non vi siano
produzioni industriali rilevanti.
Il primo criterio è di tipo fisso e, pertanto, più semplice da applicare,
mentre il secondo è più sito-specifico, cioè adattabile al contesto locale.
Se, ad esempio, la portata media giornaliera a Milano è pari a 400 litri per
abitante, l’applicazione del primo criterio non risulterebbe particolarmente
cautelativa, poiché 750 litri corrispondono a meno del doppio. Viceversa,
con un rapporto di diluizione pari a 2, si ha una maggiore flessibilità,
anche se resta comunque un'approssimazione utile ai fini progettuali.
Qualora la portata in ingresso ecceda i limiti previsti da questi criteri, la
quota eccedente può essere inviata direttamente al corpo idrico
ricettore tramite sfioratori di piena appositamente dimensionati. Ciò
presuppone che le acque meteoriche iniziali, quelle che cadono nei primi
minuti di pioggia e che solitamente sono le più contaminate (note come
acque di prima pioggia), vengano comunque trattate in impianto.
Tuttavia, nella pratica, è emerso che queste acque non sempre
raggiungono l’impianto di depurazione, rendendo necessaria la
costruzione di vasche di prima pioggia, ovvero serbatoi temporanei che
trattengono i primi flussi idrici contaminati prima del loro invio
all’impianto.
Un quadro aggiornato dello stato degli impianti di depurazione in
Lombardia, fornito dall’ARPA Lombardia nel 2020, mostra la
distribuzione degli impianti per dimensione. Dall’analisi dei dati risulta che
la maggior parte degli impianti è costituita da piccole strutture con
capacità inferiore a 2000 abitanti equivalenti. Si tratta
prevalentemente di impianti a vasca Imhof o trattamenti primari
semplici, spesso localizzati in aree rurali o in piccoli centri abitati.
Secondo i dati disponibili, nel 2020 risultavano 968 impianti
appartenenti a questa categoria.
Questa segmentazione impiantistica pone ulteriori sfide nella gestione
delle a