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ECCARIA
tutti i fraintendimenti che hanno portato parole latine in italiano. La parola liturgica ha un potere fortissimo e
fortissime influenze sulla lingua. L’espressione latina del Credo citata era detta con enfasi e dava idea di estasi
e da qui è derivata la storpiatura. La parola liturgica è ripetuta anche senza comprenderla, è una formula magica
Tutto ciò è per dire che «pande iram» ha portato al nome di Pindaro per l’attribuzione della paternità
dell’opera. Tutti questi errori comunque sono generati dalla divisione della stringa differente rispetto a quella
delle parole. Qualcuno per l’attribuzione ha addirittura trovato la parola ‘piheris’ nelle iniziali del secondo
emistichio dei primi versi. Spesso il testo è stato modificato anche per far tornare questi giochetti finalizzati
all’attribuzione della paternità dell’opera.
Dal nome di Italico trovato nell’acrostico indicato si è inizialmente attribuita l’opera a Silio Italico. Alcuni
hanno pensato che fosse una sua opera della giovinezza, quando non era ancora affermato. Silio Italico scrive
per hobby ed è pieno di soldi, fatti sotto Nerone facendo il delatore. Silio Italico è in rapporti con Marziale ed
è strano che Marziale non abbia citato l’Ilias se davvero fosse di paternità di Silio Italico. Inoltre, da Marziale
sappiamo che Silio Italico ha iniziato a scrivere dopo la morte di Nerone e questo, quindi, non permetterebbe
di datare questa opera al periodo giovinezza dell’autore, periodo in cui non era ancora autore affermato.
L’Ilias ha circolato tantissimo, i riassunti circolavano già al tempo dell’originale. Per questo meccanismo,
Livio ce lo siamo perso ma non abbiamo perso Eutropio. È già tanto che non siano andate perse Iliade e
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Civiltà latina A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro Antonio Vercelli
Odissea. L’Ilias è stata usata moltissimo nelle scuole e per questo anche ha circolato moltissimo. Ci sono qui
moltissime copie dell’Ilias anche con trasposizioni di versi. Si tratta quasi si una tradizione aperta nella quale
sembra impossibile individuare un archetipo. Il manoscritto Vidobonensis latino 3509 dell’Ilias è un
manoscritto tardo nel quale viaggiano molte altre opere. Si tratta di un’antologia di traduzioni in latino
dell’Iliade. In questo manoscritto, nella nota relativa all’Ilias Latina salta fuori il nome di Baebius Italicus. In
questo manoscritto l’acrostico non è segnato in alcun modo. È probabile che il copista che ha copiato questo
manoscritto, quindi, non sapesse della presenza dell’acrostico. Egli però la attribuisce ad un Italico. Questa
potrebbe forse essere una prova del fatto che egli sapesse a prescindere dall’acrostico che l’opera era di un
Italico, al quale lui attribuisce il nome di Bebio. In realtà questa non è una prova certa e inconfutabile. Alcuni
in realtà hanno pensato che ci potesse essere una corruttela sul manoscritto per cui Baebius in realtà fosse Silii.
Il nome di Bebio Italico, quando è saltato fuori, era del tutto sconosciuto. È tutt’ora vivo l’enigma di come
possa esser sopravvissuto questo nome sconosciuto in un solo manoscritto della tradizione e di datazione tarda.
In realtà si è trovata attestazione di un certo Bebio Italico nelle iscrizioni epigrafiche. A fine Ottocento si è
trovata in Licia un’epigrafe greca che cita il nome di un certo Publio Bebio Italico che era un legato
dell’imperatore in Grecia. Si è riuscito comunque a datare con più precisione quest’Ilias ed è stata datata al
quinquennio aureo, i primi cinque anni dell’impero di Nerone, gli anni del buon governo di Nerone sotto il
priorato di Seneca e Burro. Adesso questa identificazione è abbastanza accettata. Si è persino riuscito a
individuare e descrivere un certo cursus honorum di questo personaggio che fino a poco tempo fa era del tutto
sconosciuto. Noi abbiamo tracce di questo personaggio fino a dopo il 90 d.C. L’opera, quindi, è stata scritta
probabilmente in età Neroniana. Alcuni lo datano sotto il quinquennio aureo altri invece più avanti, sotto la
congiura dei Pisoni, attorno al 65 d.C.
Pare abbastanza presente l’influsso di Seneca in quest’opera. È quindi necessario notare la presenza
nell’opera di cose caratteristiche senecane, dell’età dei flavi e dell’età di Nerone. Nella descrizione dello scudo,
ad esempio, ci sono parti non presenti nell’Iliade e che sono molto vicine alla propaganda neroniana (cfr.
Morelli 1914, Nerone e i poeti).
Bisogna quindi tenere presente che la datazione è circoscritta ma incerta e quindi è bene tenere presente
possibili riferimenti che possano fornire ulteriori indicazioni.
Riprendiamo ora la traduzione dal verso 6. Al verso 7 «protulerant» andrebbe ritenuto spurio se si vuole
avere l’acristico esatto italicus, per questo può essere posta un crux. Il verso metricamente funziona comunque
con protulerant.
Confiebat enim summi sententia regis, | protulerant ex quo discordia pectora pugnas, | Sceptriger
Atrides et bello clarus Achilles.
infatti il volere del sommo re si compiva da quando i cuori discordi si volsero a guerra, Atride
scettrigero e Achille famoso in guerra. 9
Civiltà latina A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro Antonio Vercelli
Achille nell’Iliade è solo ‘dios’, divino. L’Atride è invece «anax andron», ‘signore di uomini’. L’autore
dell’Ilias ha quindi messo del suo ma ha ripreso formule omeriche che si trovano altrove. Sceptriger oltretutto
è un apax, è un’invenzione dell’autore dell’Ilias (cfr. MQDQ). In Silio Italico abbiamo Sceptrifero (anzi, a
dire il vero, in un ramo della tradizione consultabile in apparato con MQDQ, abbiamo sceptrigero). In realtà
questo può anche essere un fatto di poligenesi (gero e fero sono usati nei composti abbastanza indistintamente).
L’epica, comunque, per sua natura funziona a tessere, a formule. Quindi l’autore dell’Ilias sta qui facendo un
po’ l’aedo.
Quis deus hos ira tristi contendere iussit? | Latonae et magni proles Iouis. Ille Pelasgum |
infestam regi pestem in praecordia misit | implicuitque graui Danaorum corpora morbo.
Che dio li spinse a contendere con rabbia triste? di Latona e del gran Giove la prole, che dei
Pelasgi al re orribile peste pose nel cuore e avviluppò i corpi dei Danai con grave malanno.
È possibile individuare qui diverse zeppe metriche.
È rarissimo in epica trovare la parola grecis per parlare dei Greci. Si usa Grai, Achei, Pelasgi.
Si noti inoltre che l’allitterazione è un fenomeno tutto latino. Perciò in greco l’allitterazione non c’è
praticamente mai.
«Corpora morbum» è presente nelle Georgiche. I poeti epici prendono pezzi e li riusano nella loro
composizione. Quando si usa una clausola che è già stata usata si sta compiendo un’operazione molto
complessa. Sopra alla tessera che si riusa c’è scritta l’opera da cui proviene, soprattutto per un lettore antico
che sa le opere molto famose a memoria, tanto più per testi che erano usati a scuola. I grammatici per spiegare
la grammatica e la retorica usavano Virgilio. Queste opere, quindi, erano anche conosciute smontate.
L’intertestualità poetica è grandissima e molto affascinante. Soprattutto nel mondo latino dove il canone è
abbastanza ridotto, questa operazione è molto produttiva. Nell’epica poi è tipico che gli autori si citino a
vicenda.
Si veda per esempio il famoso verbo del «taratantara dixit» di Ennio. Questo verso non suonava bene per
l’età classica e quindi Virgilio lo riusa ma ne modifica la parte finale per renderla in modo più minimale.
Nell’età imperiale invece si mettono composti e parole difficili. Vedendo come questo verso è stato riscritto
(basta cercare in MQDQ ‘at tuba’) si può vedere l’evoluzione storica delle epoche e dei rispettivi stili.
L’aemulatio non è solo andare in gara con il modello ma adattare proprio il modello ai tempi cambiati.
Bisogna però tenere presente che non sempre il riuso di tessere è consapevole. Spesso può essere l’inconscio
stesso dei poeti ad agire. L’aver sentito da un altro poeta una certa stringa può influenzare la propria produzione
poetica. Non sempre le tessere riusate si portano dietro il nome e l’autore dalle quali sono tratte, soprattutto se
si considera che non sempre i poeti riusano in modo conscio tessere letterarie e metriche.
martedì 27 settembre 2022
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Civiltà latina A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro Antonio Vercelli
Un poema epico si compone improvvisando. L’oralità spesso è alla base di questa improvvisazione.
L’oralità comporta alcuni aspetti particolari che per noi sono semi-strani. Il cantore che canta improvvisa versi
in modo semiconscio ed illimitato dal punto di vista della durata del testo. Il testo è elastico ed è strettamente
connesso con il concetto di performance. Ogni cosa che si scrive per un pubblico tiene conto del suo interesse.
Un aedo ha un vantaggio. Egli sta improvvisando e quindi sentendo le reazioni del pubblico può correggere il
tiro in presa diretta. I cantori erano assoldati e quindi facevano tutto il possibile per compiacere le persone a
cui dovevano offrire la loro performance. Inoltre, in tutte le forme di improvvisazione ancora oggi viventi c’è
sempre la musica. Il ritmo aiuta nell’improvvisazione. In realtà il cantore non improvvisa da zero ma ha un
repertorio di formule che monta in tempo reale in modo semiconscio. Ciò fa sì che non si faccia mai
un’improvvisazione due volte uguali. Di fatto chi improvvisa ha una serie di pattern musicali, ritmici o
linguistici che monta all’occorrenza. Gli antichi cantori avevano le loro formule. Il bambino andava dal
cantore, lo ascoltava e prendeva le sue forme, poi se ne inventava delle sue sul modello di quelle preesistenti.
Si vedano oggi le battaglie rap basate su un tema preciso e contro un avversario preciso. Di fatto si hanno una
serie di formule pronte da usare all’occorrenza, a seconda dei temi e delle caratteristiche dell’avversario. Di
fatto ciascuno ha il proprio repertorio di cose da dire e l’improvvisazione vera e propria è usata solo per
riempire i buchi.
Il cantore antico ha una gabbia che è l’esametro. Per il resto può improvvisare e riformulare. Ci sono una
serie di epiteti che vengono riusati. Ci sono epiteti che vanno bene con tutti i personaggi ed alcuni che vanno
bene solo per al