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Estratto del documento

L’articolo 1365 stabilisce che un concetto espresso nel contratto debba valere, per

interpretazione estensiva. Seppur questo è un criterio formalmente soggettivo, si tratta in

realtà di un’interpretazione oggettiva secondo ragionevolezza, infatti si stabilisce che

quanto indicato, secondo ragione, possa essere associato a quanto non specificato o

omesso. L’interprete deve quindi identificare la ratio del contratto mediante la quale

determinare l’estensione dei concetti espressi nel contratto ad altre fattispecie.

Un criterio di raccordo fra quelli oggettivi e quelli soggettivi è dato dall’articolo 1366 che

dispone l’interpretazione secondo buona fede; per alcuni è un criterio sussidiario per

altri è invece primario al pari del 1362 e quindi concorsuale. Buona fede significa che i

contenuti del contratto devono essere intesi non letteralmente ma in base allo spirito che

il dichiarante vuole dare e che il destinatario deve comprendere in base ad usi del traffico

e coscienza sociale. Secondo il principio del gradualismo deve esserci buona fede

oggettiva (del contratto) e soggettiva (di chi interpreta). Secondo buona fede oggettiva

significa analizzare i comportamenti e la correttezza dei contraenti se si parla di

esecuzione di contratti, se è invece riferita all’interpretazione dei contratti va considerato

l’intero ambito giuridico per accertare la conformità del regolamento a tutti i principi.

La Cassazione, definendo il ruolo di buona fede in chiave sistematica e assiologica, ha

definito alcune regole:

a) L’interprete ha a disposizione lo strumento della buona fede per eventualmente

modificare il senso che si desume dal contenuto letterale al fine di ristabilire equilibrio

degli interessi contrapposti.

b) Il giudice può rilevare d’ufficio l’eccessività delle penali contrattuali e ridurle

automaticamente per ristabilire l’equità.

c) Clausole non ispirate al principio della buona fede sono NULLE poiché imposte dalla

parte forte verso la più debole.

d) Il principio della buona fede non deve essere criterio sussidiario ma va sempre eseguita

l’interpretazione secondo tale principio.

e) Nell’interpretazione del CCNL occorre dare il giusto rilievo alla buona fede intesa

come bilanciamento tra diritti in prospettiva.

f) la buona fede è, per il giudice, strumento di governo della discrezionalità nella fase

esecutiva del contratto. In ossequio ai principi comunitari e all’intero ordinamento

giuridico vigente l’interprete deve intervenire qualora il contratto risulti “abusivo” e

quindi lesivo di situazioni altrui. Si tratta di una funzione sociale dell’interpretazione

secondo buona fede che tende comunque a limitare l’autonomia contrattuale.

Dopo l’interpretazione basata sui criteri formalmente soggettivi si prosegue con

l’interpretazione per criteri soggettivi prescritti dagli articoli 1367-1371. Relativamente

all’articolo 1367 il legislatore obbliga l’interprete ad associare a qualsiasi contratto, tra

i diversi possibili, un senso più adeguato ai valori di ragionevolezza, funzionalità, equità e

vincolatività. Si tratta del principio di conservazione ed in particolare si tratterebbe di un

criterio riconosciuto come sussidiario.

L’articolo 1368 comma 1 stabilisce che le clausole ambigue vanno intese in relazione al

luogo in cui il contratto è stato concluso, se riguardano invece un imprenditore vanno

intese in relazione alla sede dell’impresa. Si tratta dell’interpretazione dei cosiddetti usi

interpretativi. Questa logica è comunque ormai obsoleta e in una ottica evoluta della sfera

contrattuale il luogo è inteso come settore di attività e non più come luogo fisico.

L’articolo 1369 stabilisce che le espressioni con più significati devono essere intese nel

senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto. Si tratta di un criterio

annoverato tra quelli di interpretazione oggettiva ed è sussidiario.

L’articolo 1370 dispone che le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto, nel

dubbio, vanno interpretate contro chi le ha formulate. La ratio è quella di favorire

l’aderente nel caso in cui il formulante non predisponga la clausola secondo buona fede.

Questo criterio è andato rafforzandosi nell’ambito del regolamento comunitario ed è

una sorta di tutela per il consumatore che viene però estesa a qualsiasi tipo di

contrattazione. L’articolo 1371 che rappresenta la regola finale dell’interpretazione

stabilisce che un contratto “oscuro” vada interpretato diversamente a seconda che esso

sia a titolo gratuito o oneroso.

Capitolo Secondo – Verso una nuova sistematica dei criteri di ermeneutica contrattuale

La tradizionale ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362-1371 è stata negli ultimi

tempi fortemente criticata. Si tratta di vincoli tipici di un piccolo “sistema” che non sono

più attuabili nell’ottica della complessità del vigente ordinamento italo-comunitario.

Questa nuova logica impone soprattutto il controllo di meritevolezza degli interessi delle

parti e l’articolo 1322 si riferisce in particolare ai contratti atipici o innominati ma in realtà

estendibili anche ai contratti tipici. Si tratta di un controllo in positivo affinchè il contratto

risulti meritevole di tutela nel senso che non abbia futili effetti. Gli effetti del contratto

devono avere utilità sociale e non devono essere socialmente dannosi.

Il nuovo metodo sistematico e assiologico impone il superamento dell’astratto tipo

contrattuale che limita la relativizzazione dell’ermeneutica contrattuale.

Nella nuova ottica funzionale e dinamica l’integrazione, prevista dall’articolo 1372, è

operazione non più successiva all’interpretazione ma diventa contestuale con un

meccanismo di circolarità.

Nei contratti della p.a. l’interesse deve essere quello pubblico e l’interprete deve

accertare la presenza di tali interessi.

Il contratto collettivo di lavoro svolge una funzione normativa e non rispecchia sempre la

comune intenzione delle parti, per tale motivo possono essere interpretati dal punto di

vista oggettivo e non soggettivo. Le parti di un ccnl non tutelano propri interessi ma quelli

di intere categorie di lavoratori/imprenditori.

La buona fede in fase negoziale è un cardine per il nostro ordinamento e consente

all’interprete di accertare il rispetto dei precetti costituzionali che vedono al centro del

sistema la persona e il suo valore. Mediante la clausola generale di buona fede è possibile

eventualmente recuperare il contenuto dell’accordo.

Il principio gradualistico ha subito un radicale cambiamento e finalmente la giurisprudenza

ha destituito il suo valore come dimostrano: a) La rivalutazione del criterio di buona fede

oggi inderogabile, b) l’incidenza del criterio di conservazione del contratto in regimi di

civil e common law, c) l’abolizione del concetto del “in claris non fit interpretatio”, d)

il riconoscimento dell’esistenza di settori di attività in cui i contratti vengono espressi con

linguaggi propri.

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Publisher
A.A. 2024-2025
5 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Rebe_1999 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Toti Musumeci Salvatore.