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Processo di ricombinazione del DNA

Dopo la ricombinazione, il DNA viene tagliato nel mezzo e le due porzioni vengono unite. Successivamente si procede alla trascrizione, inclusa la porzione costante. Questo processo, sebbene casuale, dipende dalla localizzazione delle sequenze omologhe. Inoltre, il segmento genico deve essere riconosciuto, quindi il gene possiede anche sequenze di riconoscimento RSS (recombination signal sequences) per il taglio. Queste sequenze non si troveranno nel trascritto, ma servono semplicemente agli enzimi per indicare il punto in cui tagliare, assicurando che il riarrangiamento del DNA avvenga correttamente.

Le porzioni V e J non si uniscono direttamente, ma vengono ripiegate dalle RAG (recombination activating genes), formando una forcina. A questo punto intervengono altre proteine che aprono la forcina. Il problema è che queste proteine non sono enzimi precisi che riaprono a metà, ma tagliano in maniera casuale. Di conseguenza, non si ottiene un match perfetto tra i filamenti e per questo intervengono anche enzimi del complesso di riparazione.

Che introdurranno nucleotidi complementari. Questo però causerà la variazione di complementarietà tra V e J. Questo è un vantaggio, perché introduce una variabilità, ma può essere uno svantaggio, perché si può alterare la cornice di lettura e produrre una proteina incompleta. Così si distingue:

  • riarrangiamento produttivo
  • riarrangiamento non produttivo

Quando un allele non è produttivo può riarrangiare l'altro allele, infatti, ogni gene ha due alleli. Se anche il secondo non funziona, il linfocita va incontro ad apoptosi. Qualora non vi fosse apoptosi, bisogna comunque silenziare il gene, tramite metilazione o altre tecniche. Alla fine comunque si otterranno un linfocita maturo, con due alleli, uno per la catena pesante e uno per la catena leggera. In generale, quindi, per ottenere la diversità anticorpale vengono sfruttati:

  1. multipli segmenti genici nella linea germinale
  2. la flessibilità giunzionale

legata al taglio e all'inserzione di altri nucleotidi per legare i due frammenti di DNA ricombinati

l'inserzione di ulteriori nucleotidi casualmente, oltre a quelli necessari per la ligazione

la ricombinazione delle regioni V, J e D

ipermutazione somatica

Tutto questo avviene prima che il linfocita incontri l'antigene. Un linfocita maturo esprime sulla sua superficie IgM e IgD. Quando incontrano l'antigene i linfociti attuano un'ulteriore serie di modificazioni, tra le quali l'ipermutazione somatica. Questo avviene per generare linfociti B con affinità maggiore per il loro antigene. A mano a mano si formano così cloni di cellule B, che colgono e attaccano l'antigene a concentrazioni sempre più basse. Non sempre le mutazioni portano a catene funzionali, e così alcuni linfociti si possono perdere. Le mutazioni avvengono nei centri germinali delle regioni ipervariabili e con l'aiuto dei linfociti T

helper.L'ipermutazione sembrerebbe associata all'azione di diverse proteine:

  • citidina deaminasi: trasforma la citosina in uracile, con conseguente appaiamento differente da C-G in U-A
  • uracildna glicosilasi: rimuove l'uracile, con conseguente buco nel filamento di DNA, che sarà riempito in modo casuale

Si pensa che avvenga mediante una rottura al doppio filamento del DNA nella V region e un riparo non error free.

Dopo la prima infezione è necessario trasformare la produzione di IgM in IgG.

Inizialmente le IgM funzionano da recettore sulla membrana del linfocita B, successivamente, dopo l'incontro dell'antigene, la cellula prolifera e produce plasmacellule e cellule della memoria. Per essere rilasciati all'esterno gli IgM devono subire uno splicing alternativo, per rimuovere la porzione transmembrana e generare una catena μ (mu), secernabile all'esterno.

Infatti, ogni catena pesante ha 2 esoni che codificano per la regione

transmembrana e la codacitoplasmatica e 1 esone che codifica per la regione C-terminale della forma secreta.

Per produrre le IgG è necessario un secondo processo di ricombinazione, indotto da segnali di switching (cambio di classe), da cui non è più possibile tornare indietro. Questo perché un linfocita può produrre un solo anticorpo.

Il meccanismo di taglia e cuci evita il rischio di produrre catene non funzionanti, infatti i cambi della porzione costante (mu e delta) producono sempre anticorpi funzionanti (alfa, epsilon e gamma). Il processo è regolato dall'azione dei linfociti T helper e avviene solo dopo la stimolazione antigenica.

Esistono traslocazioni che portano alla trasformazione tumorale dei linfociti, in quanto si ha un spostamento di un gene oncogeno nel gene delle immunoglobuline. Siccome questo è espresso nei linfociti B, solo queste andranno incontro ad una trasformazione tumorale. Per questo, ad esempio, non avvienenelle

cellule epatiche o nei linfociti T, queste sono silenziate. L'esclusione allelica avviene quando vengono bloccati alleli non ancora ricombinanti, per evitare di ottenere più prodotti da uno stesso linfocita. Infatti, ogni linfocita B riconosce uno specifico antigene, in particolare piccoli epitopi. Più linfociti, però, possono riconoscere epitopi diversi dello stesso antigene e per questo durante l'infezione intervengono più di un linfocita.

Cellule T: La cellula T riconosce, tramite la regione V del recettore, per primo l'antigene presentato dalle antigen presenting cells (APC). Il recettore transmembrana delle cellule T è molto simile alla porzione del braccio corto degli anticorpi. È formato da due catene alfa e beta di amminoacidi positivi transmembrana (eterodimero legato da ponte di solfuro). È presente una grossa variabilità (segmenti V, D, e J), grazie all'addizione di nucleotidi palindromici o non. Si tratta di

un processo taglia e cuci, che non sopporta più eventuali modifiche. È possibile ottenere ricombinazioni non produttive, le quali si possono provare a correggere grazie al secondo allele (rescue pathway), solo in presenza di sequenze V avanzate. Per fare questo si ricombina un secondo segmento di ogni porzione e si rimuove la porzione non funzionante.

Il TCR (T Cell Receptor) funziona come un complesso di proteine, che mandano un segnale all’interno della cellula per far attivare e dividere il linfocita T. Questo recettore interagisce con l’MHC (I organismo, II APC) o HLA.

L’MHC è una struttura transmembrana, con all’interno una cavità, in cui trasporta l’antigene da presentare.

Anticorpi Monoclonali

Gli anticorpi sono diventati un mezzo terapeutico grazie agli anticorpi monoclonali, che hanno guadagnato un premio Nobel e sono stati usati in clinica per la prima volta negli anni ‘80.

Un anticorpo monoclonale è un anticorpo

sempre uguale, prodotto da un’unica cellula progenitrice, che riconosce sempre lo stesso epitopo.

I primi tentativi riscontrarono diversi problemi, in quanto venivano prodotti nel topo, e quindi in ambito clinico danneggiavano l’organismo umano. Gli anticorpi monoclonali, infatti, vanno somministrati endovena, e quindi venivano identificati come estranei. Così facendo si potevano formare immunocomplessi.

Partendo da una proteina è possibile avere diverse plasmacellule che generano anticorpi deputati al riconoscimento di diverse porzioni diverse della stessa proteina, generando così anticorpi policlonali (complesso di tanti anticorpi che riconoscono porzioni diverse di una stessa proteina).

Oltre ai topi, per produrre questi anticorpi si possono usare le cellule Chinese Hamster Ovary (CHO), inserendo al loro interno il DNA riarrangiato con il gene umano di interesse. Queste produrranno gli anticorpi con dei tempi estremamente celeri, motivo per il quale sono

Impiegate nelle grosse colture, che potranno essere usate per scopo terapeutico. Al fine di utilizzare il composto di anticorpi monoclonali per fini terapeutici occorre eliminare tutte le componenti di contaminazione (purificazione). Qualsiasi molecola che viene prodotta per uso terapeutico deve sottostare a delle regole molto strette, che prendono il nome di Good Manufacturing Practice (GMP), che impongono che tutto venga prodotto in ambiente sterile e non ci siano contaminanti in tutta la catena del farmaco.

TUMORI

Un tumore è una proliferazione incontrollata, che colpisce i meccanismi di controllo del ciclo cellulare. Si differenziano in base alla loro capacità di invadere i tessuti circostanti e generare metastasi in:

  • tumori benigni: masse circoscritte e localizzate, anche di grandi dimensioni, che si creano spaziospingendo lateralmente sui tessuti circostanti. Sono circondati da una capsula fibrosa.
  • tumori maligni: infiltrazione di cellule maligne nei tessuti circostanti e

Nei vasi, originano metastasi. Si distinguono istologicamente dal tessuto circostante, ma non sono ben delimitati, manca la capsula.

Caratteristiche di una cellula tumorale, che la portano a diventare indipendente dai segnali esterni:

  1. Potenziale di replicazione quasi privo di limiti: la cellula va incontro a processi di divisione continui
  2. Capacità di evadere l'apoptosi: sviluppano una serie di meccanismi che reagiscono contro il meccanismo apoptotico indotto dalla cellula o dall'esterno
  3. Risposta anomala ai fattori di crescita: le cellule tumorali ad un certo punto diventano autosufficienti, per cui crescono e proliferano a prescindere dagli stimoli che ricevono. Producono i propri fattori di crescita (regolazione autocrina)
  4. Insensibilità ai fattori che bloccano la proliferazione
  5. Capacità di produrre fattori che stimolano l'angiogenesi: il tumore ha bisogno di vasi per crescere e nutrirsi. Bloccare la proliferazione dei vasi causa necrosi
all'interno del tumore (utilizzato in terapia) e spesso regressione dello stesso6. telomerasi molto attive: l'accorciamento dei telomeri è ridotto e quindi non vanno incontro a senescenza ed apoptosi. Una cellula tumorale, in base al tipo di cellula e allo stadio in cui si trova, può presentare: - aneuploidia: numero anomalo di cromosomi nelle cellule in stadio avanzato, spesso sono quelle che formano le metastasi - modificazioni della superficie cellulare: portano alla comparsa di nuove proteine e alla scomparsa di proteine importanti, ad esempio, per l'adesione della cellula alla matrice. Questo comporta una maggiore mobilità e una più facile invasione - perdita di inibizione da contatto: le cellule tumorali proliferano anche quando occupano lo spazio disponibile, non entrano in G0 come dovrebbe essere, ma piuttosto vanno a formare strati su strati - indipendenza dal fattore di crescita: le cellule crescono in laboratorio anche in mezzi

semisolidi, insolito per le cellule normali - modificazione del citoscheletro, che risulta ridotto - rido

Dettagli
A.A. 2022-2023
11 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/18 Genetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MaddalenaFiorentini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biologia e genetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Meneveri Raffaella.