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avere basse spese di produzione anche senza innovazioni tecnologiche. Questa

boom

situazione permise, tra il ’58 ed il ’63, un grande sviluppo che prese il nome di

economico. In questo modo la disoccupazione diminuì notevolmente e il mercato

interno si ampliò.

Questo grande sviluppo fu favorito in primo luogo, dalla politica economica impostata

liberismo

dai governi italiani, basata fondamentalmente sui principi del e del

capitalismo. Infatti l’economista liberale Luigi Einaudi (liberale che guidò la politica

economica del Paese dalla seconda metà del 1947), riteneva che la ricostruzione

dell’economia italiana dovesse fondarsi principalmente sulla libertà di iniziativa delle

aziende. I settori industriali che più crebbero furono la siderurgia, la

metalmeccanica, la chimica, la petrolchimica e l’edilizia. Nel frattempo la costruzione

di nuove autostrade facilitò i collegamenti fra le varie parti del Paese. Di

conseguenza, in breve tempo, le abitudini e le stesse esigenze degli Italiani

cambiarono. divario Nord Sud.

Le grandi trasformazioni economiche, però, aggravarono il tra e

triangolo

La crescita delle industrie fu particolarmente intensa nel cosiddetto

industriale (Torino, Milano e Genova), in cui si era verificata la prima

industrializzazione. Nel Nord il livello di vita salì molto rapidamente e si ebbe una

forte richiesta di manodopera. Nel Sud agricolo vi fu una riduzione di posti di lavoro

e la povertà rimase diffusissima. Negli anni ’50 meno del 10% della popolazione

dell’Italia settentrionale aveva un’alimentazione scarsa, mentre nell’Italia

meridionale più del 50% si trovava in questa situazione.

Gli interventi del governo

L’unica soluzione possibile, per risolvere la situazione nelle campagne del Meridione,

sembrava essere una riforma agraria che spezzasse il latifondo, creasse le premesse

per lo sviluppo dell’agricoltura e consentisse di superare il problema della

disoccupazione. Infatti De Gasperi - completata la ricostruzione sul finire degli anni

Quaranta anche grazie agli aiuti americani previsti dal Piano Marshall – pose mano a

una riforma agraria nel 1950 senza colpire a fondo gli interesse della grande

proprietà. Le dimensioni quantitative della riforma non furono tali però da segnare

un’inversione di tendenza: a partire dal 1950 circa 750000 ettari della terra dei

latifondi vennero assegnati a circa 130000 famiglie, senza che questa operazione

consentisse di rinnovare a fondo l’agricoltura italiana. Per il Mezzogiorno si trattò di

un’operazione che non modificò in modo incisivo la situazione. Due furono gli eventi

che modificarono a fondo l’Italia e crearono le premesse per la sua trasformazione da

Paese contadino a Paese industriale: la nascita della cassa del Mezzogiorno, istituita

nel 1950, era un ente pubblico finalizzato alla realizzazione di interventi per lo

sviluppo e l’industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia; l’emigrazione contadina, tra

gli anni ’50 e ’60, verso il Nord dove , una volta completata la ricostruzione delle

fabbriche, c’era bisogno di molta manodopera. In generale, comunque, l’emigrazione

italiana fu un fenomeno complesso, che ha profondamente cambiato la fisionomia del

Paese; vanno distinti tre diversi flussi: dalle campagne verso le città, dalle aree rurali

del Sud verso le grandi città industriali del Nord e verso l’estero. 3

Il fenomeno del tarantismo

Secondo la credenza popolare il tarantismo era una malattia provocata dal morso

della tarantola (Lycosa tarentula), che si manifestava soprattutto nei mesi estivi

(periodo della mietitura) e che provocava uno stato di malessere generale - dolori

addominali, stato di catalessi, sudorazioni, palpitazioni - in cui musica, danza e colori

rappresentavano gli elementi fondamentali della terapia che consisteva, appunto, in

un esorcismo musicale. La musica è

l’elemento più importante della terapia;

infatti,la tarantata, che giaceva al suolo

o sul letto, ascoltandola cominciava a

muovere la testa e le gambe, strisciava

sul dorso, sembrava impossibilitata a

stare in piedi e quindi si manteneva

aderente al suolo, identificandosi con la

taranta. Successivamente batteva i piedi

a tempo di musica come per

schiacciare il ragno, compiva svariati

giri e movimenti acrobatici, finché,

stremata dagli sforzi, crollava a terra.

Scientificamente parlando, il veleno

scaturito dal morso di questo ragno,

entrato in circolazione, provoca stati di

forte agitazione psico-motoria seguiti da

violente emicranie e rigidità muscolare che dà vita ad attacchi epilettici.

Questo rito è stato molto studiato; il migliore e più dettagliato studio rimane quello

compiuto da Ernesto De Martino nel 1959. Egli analizzò il fenomeno del tarantismo

da un punto di vista storico, culturale e religioso e definì il tarantismo un “male

culturale”, escludendo reali fenomeni di aracnidismo, peraltro rarissimi. Secondo lo

studioso, il tarantismo è una specie di isteria, un “male sociale”, legata alle precarie

condizioni socio–economiche di vita dei contadini; il morso del ragno altro non è se

non il simbolo di tutto ciò che costituisce trauma o frustrazione psichica, economica, 4

sociale o sessuale. Non a caso ad essere "pizzicate" erano per lo più le donne,

emarginate tra gli emarginati, che durante l'estasi o il tormento del veleno, si

potevano permettere di tutto, anche di mimare amplessi in pubblico. Per una donna,

la taranta era spesso l’unica via d’uscita da uno stato nevrotico e sociale o da forme

di depressione individuale e l’unico modo per essere integrate nella comunità.

Secondo De Martino, quindi, la "tarantata" non è stata morsa da nessun animale.

Questa teoria può trovare fondamento nelle teorie di Sigmund Freud; infatti in “Il

disagio della civiltà” (1930) afferma che la civiltà è un male inevitabile ed è un male

perchè reprime e devia gli impulsi libidici ed è proprio questo che porterebbe

all’isteria riscontrata soprattutto nelle pazienti di sesso femminile.

Ma in realtà, né la scienza né studi di questo tipo hanno mai saputo fornire una

risposta concreta al problema, non riuscendo a spiegare né le cause né le origini del

Tarantismo.

Il fenomeno del tarantismo oggi è pressoché scomparso nella sua forma originaria, o

si pensa che si sia modificato in altri aspetti, essendo radicalmente mutate le

componenti psicologiche, sociali, culturali, economiche e religiose che ne

costituivano la base.

Come l’esperienza della seconda guerra mondiale ha

influenzato

la letteratura e l’arte

IN ITALIA

Dopo la conclusione tragica e pessimistica della Seconda Guerra Mondiale, gli artisti

italiani avvertirono l’esigenza di ridare forza ai valori che erano stati alla base

dell’arte del ‘900. Così nasce il Neorealismo in Italia come conseguenza della crisi tra

il 1940 e il 1945 che, con la guerra e la lotta antifascista, sconvolse fino alle radici e

cambiò il volto all’intera società italiana. Questo movimento si nutrì, quindi, di un

modo di guardare il mondo, di una morale e di una ideologia nuove che erano proprie

dell’antifascismo. Il Neorealismo si presentò così come un’arte impegnata contro

l’arte che tendeva ad eludere i problemi reali del nostro Paese. Infatti gli autori

neorealisti intendevano rappresentare la realtà contemporanea della guerra, della

Resistenza e del dopoguerra, per dare testimonianza artistica di un’epoca che segnò

tragicamente la vita di tutto il popolo italiano. Proprio il bisogno di rappresentare

direttamente storie di vita vissute in prima persona, sia dagli scrittori sia dai lettori,

comportò la scelta della prosa a scapito della poesia, l’adozione di un linguaggio

tendenzialmente chiaro e comunicativo, il rifiuto della tradizione letteraria della

pagina ben scritta di moda negli anni Venti e Trenta. Gli scrittori guardavano con

sempre maggiore interesse ai modelli realistici della trazione ottocentesca, da Tolstoj

a Verga, impiegando tuttavia nuove forme di espressione narrativa e soprattutto un

linguaggio non letterario ma aderente alle forme e ai modi espressivi popolari,

compresi il gergo e il dialetto.

Uno tra i maggiori esempi di romanzo neorealista è “Cristo si è fermato a Eboli”

di Carlo Levi dove l’autore racconta la sua esperienza di confinamento in un paese

della Lucania per le sue posizioni antifasciste. In realtà non è un romanzo vero e 5

proprio: è piuttosto un complesso intreccio di documento memoriale e di saggio

sociologico e antropologico. Levi vi racconta la sua scoperta della realtà meridionale

e vi traccia un ritratto di tagliente crudezza della locale borghesia ma si concentra

soprattutto sui contadini: uno mondo remoto dalla realtà moderna, ancora pagano,

immersa in un dimensione ancestrale, magica e superstiziosa, che popola la realtà di

potenze misteriose, di spiriti e folletti, e non vede separazione tra il mondo umano e

quello degli animali e dei mostri fantastici; un mondo estraneo alla storia e ad ogni

coscienza politica, chiuso in un’atavica rassegnazione e in una cupa passività. Questo

romanzo suscitò forte impressione nel clima del dopoguerra perché segnava la

scoperta dei problemi di un’Italia pressoché ignorata dalla cultura fra le due guerre.

IN FRANCIA

Uno fra i maggiori esponenti della letteratura francese nel secondo dopoguerra fu

Albert Camus: importante romanziere, drammaturgo, saggista e giornalista. Con lo

scoppio della seconda Guerra Mondiale i suoi romanzi esprimono al massimo la

poetica dell’assurdo e anche esistenzialista anche se Camus stesso non voleva essere

L’uomo, secondo l’autore, cerca una giustificazione all’esistenza e al dolore e

definito così.

all’ingiustizia che esse porta in sé: ma non può trovarla, perché non esiste alcuna ragione

comprensibile in grado di spiegare la realtà.

Camus non si acquieta nella rappresentazione del nichilismo contemporaneo. Egli dà

vita a una tormentata ascesi antipessimistica, che si risolve nell'idea di una ribellione

al Nulla e all'Assurdo, di cui è “La Peste” (1947) a rappresentare il punto più alto.

Scrive questo romanzo in pieno Novecento recuperando il tema della peste che ha

sempre personificato l’idea del male, della colpa e del terrore del contagio, da

malattia del corpo diventa male di vivere. Questa tragedia porta un senso di

irreparabilità, di angoscia, ma non di rassegnazione. Il male accade senza che

nessuno lo possa spiegare ed ad esso non viene attribuita nessuna spiegazione divina.

Nonostante descriva un evento reale Camus lo nasconde sotto un sottile velo

metaforico: la peste diventa quindi specchio del contesto storico in cui l’autore vive,

ovvero si personifica con il nazismo e con la guerra, con l’oppressione della dittatura

hitleriana e con la Resistenza. L’allusione alla resistenza contro il nazismo (a cui

Camus partecipò attivamente) è piuttosto evidente: le condizioni di estremo pericolo,

la necessità etica di agire, la volontarietà dell’adesione sono caratteristiche comuni

alle squadre di soccorso come alle formazioni partigiane. In generale però la peste

diventa metafora del male, dell’assurdità del dolore inflitto agli uomini,

dell’insensatezza del loro esistere, del disagio che l’uomo del Novecento prova;

l’unica salvezza può essere la rivolta lucida e cosciente contro l’assurdo, ovvero

attraverso l’impegno e la solidarietà fra gli uomini.

In generale la corrente letteraria di questo periodo in Francia è l’Esistenzialismo al

quale Camus non vuole essere associato. Venuti a conoscenza di ciò che accadeva

durante la guerra, alcuni intellettuali pongono l'attenzione sugli aspetti negativi della

condizione umana nel mondo, che l'esperienza della guerra, con tutti i suoi orrori e le

sue distruzioni, ha reso ancora più evidenti. I temi fondamentali sui quali si pone

l'attenzione sono la nascita, la lotta, il passare del tempo, la morte, ecc.

IN INGHILTERRA

La percezione dell’assurdità della vita, elemento cardine della filosofia esistenzialista,

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