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La guerra si concluse l'11 novembre 1918, quando la Germania firmò l'armistizio con le forze
dell'Intesa. Il numero di morti è stato calcolato in oltre quindici milioni.
Nazioni partecipanti alla prima guerra mondiale: gli Alleati sono indicati con il colore blu,
mentre gli Imperi Centrali con il colore nero.
Lo scoppio della guerra
Alcuni membri del governo austriaco pensavano che la campagna contro la Serbia sarebbe stata
il rimedio perfetto ai problemi politici interni dell'impero. Nel 1914 il governo dell'Impero
Austro-Ungarico aveva infatti una struttura "dualistica": Austria e Ungheria avevano
essenzialmente due governi separati sotto lo stesso monarca. Il governo magiaro manteneva il
controllo sulla politica di difesa, ma era dipendente da quello austriaco per questioni come
l'approvazione del bilancio.
L'assassinio di Francesco Ferdinando, il 28 giugno del 1914 a Sarajevo, creò l'opportunità tanto
cercata da alcuni leader austriaci di poter contare su un piccolo regno slavo. I cospiratori vennero
accusati dalle autorità Austro-Ungariche di essere stati armati dalla fantomatica Mano Nera, un
raggruppamento nazionalista pan-slavo collegato ad ambienti governativi serbi.
Con il supporto della Germania, l'Austria-Ungheria, che agì principalmente sotto l'influenza del
Ministro degli Esteri Leopold von Berchtold, il 23 luglio 1914 inviò alla Serbia un ultimatum
composto da 15 punti, difficilmente realizzabili, che doveva essere accettato nel giro di 48 ore
per evitare la guerra. Il governo Serbo accettò tutte le richieste meno una (quella che avrebbe
permesso alla polizia austriaca di condurre le indagini nel territorio serbo al posto delle forze
dell'ordine locali). L'Austria-Ungheria ruppe perciò le relazioni diplomatiche il 25 luglio e
dichiarò guerra il 28, tramite telegramma inviato al governo serbo.
Il governo russo, che nel 1909 si era impegnato a garantire l'indipendenza della Serbia in cambio
che questa consentisse l'annessione della Bosnia all'Austria, mobilizzò le sue riserve militari il 30
luglio a seguito dell'interruzione nelle cruciali comunicazioni telegrafiche tra Guglielmo II e
Nicola II di Russia, che era sotto pressione da parte del suo staff per prepararsi alla guerra. La
Germania richiese, il 31 luglio, che la Russia ritirasse le sue forze, ma il governo russo
persistette, in quanto la demobilitazione avrebbe reso impossibile riattivare la pianificazione
militare in tempi brevi. La Germania dichiarò guerra alla Russia il 1° agosto e due giorni dopo
contro il suo alleato, la Francia.
Lo scoppio del conflitto è spesso attribuito alle alleanze stipulate nei decenni precedenti:
Germania-Austria-Italia e Francia-Russia; con Gran Bretagna e Serbia allineate a queste ultime.
In effetti nessuna delle alleanze venne attivata fin da subito, anche se la mobilitazione generale
russa e la dichiarazione di guerra tedesca contro la Francia furono motivate dalla paura che
l'alleanza avversa venisse posta in gioco.
La dichiarazione di guerra britannica contro la Germania (4 agosto), per esempio, non fu il
risultato di intese ufficiali con Russia e Francia (ufficialmente non era alleata a nessuna delle due
nazioni), ma fu causata dall'invasione tedesca del Belgio (la cui indipendenza la Gran Bretagna
aveva garantito di sostenere fin dal 1839), il quale si trovava sul percorso pianificato dai tedeschi
per l'invasione della Francia.
Partecipazione Italiana
Dalla Neutralità all'entrata in guerra
«Cittadini e soldati, siate un esercito solo! Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento,
ogni recriminazione è tradimento.»
(Vittorio Emanuele III)
Anche se con la Triplice Alleanza del 1882 era diventata ufficialmente alleata di Germania e
Austria-Ungheria, l'Italia aveva intensificato, negli anni precedenti allo scoppio della Grande
Guerra, i rapporti con Regno Unito e Francia, conscia che gli accordi raggiunti, in particolare con
quello che era stato il nemico austriaco nell'Ottocento, non le avrebbero garantito, anche in caso
di aiuto militare, quei territori su cui aveva posato gli occhi per espandere il proprio territorio
(del Trentino, di Trieste con l'Istria e di Zara con la Dalmazia), tanto che esisteva un accordo
segreto del 1902 con la Francia, che praticamente annullava i suoi impegni di alleata.
Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, il 3 agosto 1914, il governo guidato dal conservatore
Antonio Salandra dichiarò che l'Italia non avrebbe preso parte al conflitto, forte del fatto che la
Triplice Alleanza aveva carattere difensivo, mentre in questo caso era stata l'Austria-Ungheria ad
attaccare. In realtà sia Salandra sia il ministro degli esteri Sidney Sonnino avviarono presto
trattative con i due schieramenti per capire quale sarebbe stata la ricompensa in caso di vittoria.
E, anche se la maggioranza del governo era assolutamente contraria all'entrata in guerra, primo
tra tutti l'ex Presidente del Consiglio Giolitti, molti intellettuali (tra cui socialisti come Ivanoe
Bonomi, Leonida Bissolati e l'allora direttore dell'Avanti! Benito Mussolini, Filippo Tommaso
Marinetti e Filippo Corridoni) si schierarono con gli «interventisti», per lo più nazionalisti e
parte dei liberali.
Alla fine, il 26 aprile del 1915, al termine di una ardua trattativa, l'accordo con l'Intesa si
concretizzò nel Patto di Londra, firmato da Sonnino all'insaputa del parlamento italiano. Con il
Patto di Londra l'Italia ricevette la promessa di ottenere, in caso di vittoria, Trento e il territorio
attiguo fino al Brennero, le città di Gorizia, Trieste e Gradisca d'Isonzo, l'Istria (esclusa Fiume)
fino al Quarnaro e parte della Dalmazia. Inoltre vennero raggiunti accordi per la sovranità sul
porto albanese di Valona, la provincia di Adalia in Turchia, e parte delle colonie tedesche in
Africa.
L'Alleanza aveva offerto invece solamente parte di Trentino e Friuli, con l'esclusione di Gorizia e
Trieste; va inoltre considerato il fatto che l'Austria-Ungheria era la potenza contro la quale si era
combattuto durante le guerre d'indipendenza e che entrare in guerra al suo fianco avrebbe
smentito tutta la tradizione risorgimentale, sulla quale si fondavano in gran parte le motivazioni
degli interventisti.
Il 3 maggio l'Italia disdisse la Triplice Alleanza. Nei giorni seguenti Giolitti e il parlamento, in
maggioranza neutralista, combatterono l'ultima battaglia per tenere l'Italia fuori dal conflitto,
mentre i nazionalisti manifestavano in piazza per l'entrata in guerra ("le radiose giornate di
maggio", secondo la definizione di Gabriele D'Annunzio). Il 13 maggio Salandra presentò al Re
le dimissioni; Giolitti, nel timore di approfondire una frattura istituzionale, rinunciò alla
successione e si dimise. L'Italia entrò perciò in guerra per volontà di un gruppo di relativa
minoranza, chiamando a combattere i militari lungo più di 650 chilometri di fronte.
Interventisti e neutralisti in Italia
Alla vigilia della guerra, l'opinione pubblica italiana era così spaccata:
Interventisti
I liberal-conservatori, che speravano in un rafforzamento delle istituzioni
o
in senso autoritario, tra cui Antonio Salandra e Sidney Sonnino.
Gli irredentisti, che vedevano la guerra come una prosecuzione del
o
Risorgimento, un'occasione per liberare le terre italiane irredente, rimaste in mano
austriaca.
I socialisti rivoluzionari, che speravano che la guerra avrebbe accelerato il
o
compimento della rivoluzione socialista, tra cui Benito Mussolini.
I nazionalisti, che esaltavano la guerra come strumento per dare potenza e
o
prestigio alla Nazione.
Gli industriali dell'industria pesante, che avrebbero fatto ingenti guadagni
o
attraverso la produzione bellica.
La massoneria e gli intellettuali come D'Annunzio, Corradini, Marinetti e
o
molti altri.
Neutralisti
I cattolici, sia per i principi evangelici sia per non andare contro la
o
cattolicissima Austria.
I socialisti, che vedevano la guerra come una inutile strage, e che volevano
o
proteggere gli interessi sovranazionali della Seconda Internazionale Socialista.
Giolitti e i giolittiani, che ritenevano di poter ottenere comunque
o
dall'Austria le terre irredente in cambio della neutralità.
Gli industriali che producevano per l'esportazione, che speravano di poter
o
sostituire sui mercati internazionali la Germania impegnata nella guerra.
L'Italia entra in guerra
L'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, e alla Germania quindici mesi
più tardi.
All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò la prima salva di cannone contro le postazioni
austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima
città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione
ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo
soldato italiano, Riccardo di Giusto.
Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte
aperto dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo
principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in
direzione di Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici
ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella
che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre
sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle
rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine.
Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est. Queste
furono:
Prima battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915
Seconda battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 4 agosto 1915
Terza battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 4 novembre 1915
Quarta battaglia dell'Isonzo: 10 novembre 1915
In queste prime quattro battaglie le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di
150.000 feriti, il che equivaleva a circa un quarto delle forze mobilitate. Degna di menzione è
l'offensiva nell'alto Cadore sul Col di Lana tendente a tagliare una delle principali vie di
rifornimento al settore Trentino attraverso la Val Pusteria. Questo teatro di operazioni fu
secondario rispetto alla spinta ad est, tuttavia ebbe il merito di bloccare, in seguito, contingenti
austro-ungarici: la zona di operazioni si avvicinava infatti più di ogni altro settore del fronte a vie
di comunicazione strategiche per l'approvvigionamento del fronte tirolese e trentino.
Ingresso dell'Impero Ottomano
L'Impero Ottomano si unì agli Imperi Centrali nell'ottobre-novembre del 1914, minacciando i
territori russi del Caucaso e le comunicazioni britanniche con l'India e l'Oriente tramite il Canale
di Suez. L'azione britannica aprì un altro fronte a sud con le campagne di Gallipoli (1915) e della
Mesopotamia, nonostante i turchi avessero inizialmente successo nel respingere le incursioni
nemiche. Ma in Mesopotamia, dopo il disastro dell'assedio di Kut (1915-16), i britannici si
riorganizzarono e catturarono Baghdad nel marzo 1917. Più a ovest, in Palestina, gli iniziali
fallimenti britannici vennero ribaltati con la conquista di Gerusalemme nel dicembre 1917 e la
Forza di spedizione egiziana guidata da Edmund Allenby che sconfisse le forze ottomane nella
battaglia di Megiddo (settembre 1918).
La Russia in subbuglio
L'insoddisfazione nei confronti della condotta di guerra del governo russo crebbe nonostante i
successi del giugno 1916 (offensiva Brusilov) nella Galizia Orientale, contro gli austriaci,
quando i successi russi furono minati dalla riluttanza degli altri generali di impegnare le loro
forze a supporto del comandante vittorioso.
Le fortune alleate si ravvivarono solo temporaneamente con l'ingresso in guerra della Romania, il
27 agosto. Le forze tedesche arrivarono in aiuto delle unità austriache impegnate in Transilvania,
e Bucarest cadde ai piedi degli Imperi Centrali il 6 dicembre. Nel frattempo, l'instabilità interna