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Approfondimento di maturità
Carolina Cernic
Titolo: LE FOLLIE DELL'UOMO DEL '900
La violenza costituisce un aspetto caratterizzante della storia del Novecento. Mai come nel
XX secolo l'umanità aveva conosciuto l'esplodere di una forza tanto devastante. Il numero
dei morti e dei feriti in guerre, guerriglie, terrorismi, pulizie etniche e ideologiche supera
qualsiasi altro dato precedente. Non solo numeri però, ma anche modi di messa in atto della
violenza rappresentano un “unicum” nella storia: torture sempre più gratuite e sadiche,
tecniche di uccisione prive di ogni rispetto per la dignità umana, forme di persecuzione
contro donne e bambini, prigioni per la rieducazione delle menti. Il tema da me scelto parte
da un'interesse personale verso queste manifestazioni di violenza e in particolare verso
quelle avvenute così vicino a noi. Mi riferisco in questo caso al dramma delle foibe istriane
e triestine che ebbe origine fin dal 1918 ma che ebbe poi la sua massima esplosione negli
anni 1943-1945.Il termine “foiba” deriva dal latino “fovĕa” che significa fossa. Si tratta di
voragini rocciose a grande sviluppo verticale, presenti in tutto il territorio che va dal carso
goriziano e triestino alla corniola interna e all’Istria. Le foibe sono caverne che possono
raggiungere i 200 metri di profondità. Si tratta di uno dei più appariscenti fenomeni carsici.
Norma Cossetto, una studentessa universitaria istriana, venne torturata, violentata e gettata
in una delle tante foibe che caratterizzano il territorio della Venezia Giulia assieme ad altri
25 sventurati nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. La sua storia è stata spesso considerata
emblematica per descrivere i drammi e le sofferenze dell'Istria e della Venezia Giulia.
Questo come altri episodi mi hanno portato a cercare di trovare una risposta alla domanda su
che cosa sia la violenza quali ne siano le cause e le ragioni profonde quali i meccanismi e i
motivi. In particolare mi interessa capire se essa sia qualcosa di innato e in qualche modo
ineliminabile nell’uomo o se invece essa sia, al contrario, un comportamento appreso come
tale superabile. In ciò sono di valido aiuto gli studi della psicologia e in particolare il
confronto fra le tesi di S. Freud il padre della psicoanalisi e le teorie del comportamentismo
americano.
Dal punto di vista psicologico, la violenza è un'azione fisica o psichica esercitata da una
persona su un'altra. Spesso, ma non sempre, la violenza ha lo scopo di indurre nell'altro
comportamenti che altrimenti non avrebbe. La maggior parte degli psicologi definisce la
violenza come una figura dell’aggressività intesa come comportamento teso a fare del male
ad un'altra persona, fisicamente o psicologicamente. Sigmund Freud ha elaborato una
complessa teoria dell’aggressività. Per capire l’origine dell’aggressività secondo Freud, è
imprescindibile partire dalla nozione di pulsione. Il concetto di pulsione è infatti uno degli
aspetti fondamentali della sua teoria: “Per pulsione, possiamo intendere la rappresentanza
psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica, a differenza dello stimolo,
il quale è prodotto da eccitamenti isolati e provenienti dall’esterno.” In un saggio del 1929,
Il disagio della civiltà, Freud ritiene che la civiltà sia una tappa necessaria nel divenire
dell’umanità ma che essa comporti inevitabilmente un certo grado di infelicità. Essa infatti
obbliga l’uomo ad inibire molti desideri e pulsioni e a rinunciare al soddisfacimento di
molte esigenze, a meno che non le possa deviare verso delle mete socialmente e moralmente
accettabili. Le ragioni che inducono una società a reprimere la libido sono chiare: da un lato
essa deve neutralizzare una forza che opera in modo individualistico e amorale, minando i
presupposti stessi della convivenza civile; dall’altro la società non può fare a meno delle
forze e dell’energia dei suoi membri e dunque deve obbligare ciascuno di essi ad "investire"
l’energia libidica in prestazioni di tipo socialmente accettabile. Se del resto fosse permesso
all’uomo di dare libero sfogo ai suoi desideri e istinti, la società decadrebbe. Vi è quindi la
necessità di reprimere gli istinti distruttivi, e la civiltà lo fa attraverso norme, divieti e
permessi, metodi educativi all’interno della famiglia e poi nella scuola, nella società e così
via. Però, visto che è impensabile il dominio assoluto del Super Io sull’ Es, allora un certo
grado di disagio, di infelicità, di sofferenza, di nevrosi è inevitabilmente connesso con la
civiltà stessa. Insomma, l’uomo non può sopravvivere senza civiltà ma nella civiltà non può
mai vivere del tutto felice. L’uomo potrà trovare, tra le pressioni delle varie passioni e la
necessità di costringerle, soltanto una tregua ma non la serenità completa. La violenza
quindi è qualcosa di ineliminabile nell’uomo. Nella famosa risposta ad Albert Einstein sul
perché della guerra Freud afferma che “ La guerra sembra conforme alla natura, pienamente
giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile”.
Ciò tuttavia – secondo il padre della psicoanalisi – non significa arretramento o resa . Nella stessa
lettera ad Einstein Freud esprime tutta la sua avversione verso la violenza indicando nella
civilizzazione il principale antidoto contro di essa. Pur essendo ineleiminabili guerra e violenza
vanno infatti combattutte
“ … Credo che la ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo
fare a meno di farlo. Siamo pacifisti perché dobbiamo esserlo … Da tempi immemorabili l’umanità
è soggetta al processo dell’incivilimento (altri, lo so, chiamano più volentieri questo processo:
civilizzazione). Dobbiamo ad esso il meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui
soffriamo. …. Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento
psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa:
semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo,
per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, per così dire della massima
idiosincrasia. ...Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può
dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori - un atteggiamento più
civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un
prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo
possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra”
Lo studio dell'aggressività in termini di apprendimento è stato portato avanti all'interno della
tradizione del comportamentismo e in particolare nel filone delle teorie dell' apprendimento
sociale. Questo filone ha avuto raggiunto il suo massimo sviluppo intorno agli anni '60 e '70
e ha avuto le sue figure di maggiore spicco in L. Berkowitz, G.R. Patterson,T. L. Roshental,
A. Bandura. Le concezioni basate sull'apprendimento sostengono che l'aggressività è
qualcosa che si acquisisce con l'esperienza,che si impara. I comportamenti aggressivi
verrebbero appresi come qualsiasi altro comportamento. Allo stesso modo in cui le persone
imparano a leggere, a scrivere, così imparano a offendere, a insultare, a picchiare e persino
uccidere. Per la psicologia è apprendimento qualsiasi trasformazione durevole nei
comportamenti e nelle conoscenze dovuta all'esperienza, positiva o negativa che sia,
indipendentemente dal fatto che il risultato sia desiderabile o meno. Le ricerche empiriche si
sono occupate per lo più del condizionamento operante e dell'imitazione. Negli studi classici
di condizionamento operante, iniziati da Thorndike con i puzzle box e portati avanti da
Skinner con i più sofisticati Skinner box, l'animale viene rinforzato positivamente se compie
una determinata azione. Dopo un po' l'animale mostra di aver appreso il comportamento
rinforzato. Questo avviene anche nel caso in cui ad apprendere sono essere umani. Sono
state raccolte numerose prove empiriche del fatto che con un'adeguata distribuzione dei
rinforzi è possibile fare in modo che le persone imparino comportamenti aggressivi o, al
contrario, ottenere che imparino a non essere aggressive. Varie indagini di laboratorio hanno
mostrato che i soggetti sperimentati sono più inclini a compiere atti aggressivi se questi
vengono approvati dallo sperimentatore o comunque rinforzati. Un esperimento di
particolare evidenza dimostrativa è quello condotto da R.G. Geen e R. Pigg. I soggetti
sperimentali avevano l'opportunità di infliggere scariche elettriche ad una vittima. A loro si
diceva che scopo dell'esperimento era studiare gli effetti delle punizioni. La vittima era un
complice dello sperimentatore e le scariche in realtà non c'erano. Nel caso del gruppo
sperimentale lo sperimentatore mostrava di approvare ogni volta che veniva inflitta una
scarica, con commenti come “bene” o “giusto”, mentre nel gruppo di controllo si asteneva
da ogni valutazione. I soggetti del gruppo sperimentale inflissero mediamente scariche
molto più intense e continuarono a comportarsi così anche quando gli sperimentatori
smisero di apprezzarli. Altro noto esperimento sul campo è quello di P. Brown e R. Elliott
realizzato in una scuola dell'infanzia. Per ragioni etiche, specie in considerazione del fatto
che si operava in una scuola e con bambini, i ricercatori trovarono conveniente far
apprendere , anziché i comportamenti aggressivi, i comportamenti opposti, di altruismo e
collaborazione. Il condizionamento operante venne quindi usato per far disimparare
l'aggressività. Alle maestre si chiese di ignorare i comportamenti aggressivi dei bambini e
di premiare ogni iniziativa e azione positiva verso i compagni. Nella classe diminuirono sia
l'aggressività verbale, sia quella fisica: i premi avevano funzionato. Tuttavia a distanza di
tempo, trascorso un periodo in cui le maestre erano tornate al loro modo solito di trattare i
bambini, i ricercatori trovarono che l'aggressività fisica era risalita fin quasi ai livelli di
partenza. Le maestre ricominciarono a premiare i comportamenti cooperativi e l'aggressività
questa volta crollò a livelli decisamente bassi. Un fatto interessante, fu che i bambini che più
avevano imparato a non essere aggressivi erano proprio quelli inizialmente aggressivi.
Questo si spiega tenendo presente la variabile sociale che in genere ha l'aggressività in
questa fascia di età.
Gli esperimenti in laboratorio e sul campo dimostrano che manipolando opportunamente i
rinforzi si può ottenere che le persone imparino ad essere aggressive o pacifiche.
Un esperimento molto noto è quello di Milgram. Ci sono due soggetti: uno è un signore di
mezza età dall'aria bonaria e simpatica ed è in realtà un complice dello sperimentatore.
L'altro è il vero soggetto sperimentale, ignaro, all'oscuro dell'effettivo disegno della ricerca.
Lo sperimentatore dice che si tratta di un esperimento sugli effetti delle punizioni
nell'apprendimento. Uno dei due farà l'allievo e dovrà imparare a memoria una lista di
coppie di parole in modo da rispondere con l'altra parola della coppia quando gliene viene
detta una. L'altro farà l'insegnante. Il suo compito consiste nell'interrogare l'allievo e punirlo
con scosse elettriche ogni volta che sbaglia. Il sorteggio (truccato) stabilisce che il complice
dello sperimentatore sarà l'allievo e al soggetto sperimentale tocca fare l'insegnante.
L'allievo viene fatto accomodare sulla sua sedia e gli vengono applicate ai polsi gli elettrodi
per mandargli le scariche elettriche. All'insegnante invece viene mostrato il pannello di
comando con le leve per erogare scariche. Si va dai 15 volts ai 450 volts. Su ogni leva, oltre
al voltaggio, è indicata la pericolosità della scossa. Si parte dalla scritta “shock leggero”, ad