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Tesina esami di stato
di Viviana Delli Carri
5^ A - I.T.C.P. Blaise Pascal, Foggia
Storia: Il fascismo e lo Stato italiano
Le difficoltà economiche del primo dopoguerra accelerano la crisi dello Stato liberale in un
clima di violenti contrasti sociali e politici. Si fa interprete del malcontento il movimento dei
Fasci di combattimento di Mussolini che, agli occhi della borghesia, si presenta come la difesa
dal comunismo e la risposta alla richiesta di ritorno alla normalità. Lo squadrismo a fianco degli
agrari, la trasformazione in partito, la marcia su Roma, il compromesso con le istituzioni
tradizionali portano il fascismo al potere e, dopo il delitto Matteotti, al definitivo passaggio al
regime. Con le leggi del ’25-’28 non si ha solo l’instaurazione di un regime autoritario, ma si
passa alla creazione dello Stato fascista, bene supremo, Stato etico che guida e controlla le
masse.
In campo artistico-culturale prevale l’eclettismo che vede coesistere forme artistiche e
letterarie diverse.
Nella seconda metà degli anni trenta il regime si avvia al crollo: la guerra contro l’Etiopia,
l’avvicinamento alla Germania e poi il Patto d’acciaio, l’intervento nella guerra di Spagna e la
politica antisemita minano il consenso al regime. La partecipazione alla seconda guerra
mondiale, le sconfitte e l’inadeguata preparazione militare portano al crollo dell’Italia fascista;
lo sbarco degli Alleati in Sicilia accelera la caduta del regime. Con il 25 luglio del ’43 si apre un
periodo di grande incertezza che, dopo l’armistizio dell’8 settembre e la nascita della
Repubblica di Salò, sfocia in una sanguinosa guerra civile intrecciata alla guerra per liberare il
paese dall’occupazione tedesca protrattasi fino al 25 aprile del 1945.
Movimento politico italiano costituitosi a Milano il 23 marzo del 1919 per iniziativa di Benito
Mussolini. Le origini storiche del fascismo risalgono alla profonda crisi provocata in tutta
l’Europa
dalla 1° Guerra mondiale (1914-1918) e che portò a radicali mutamenti nelle strutture politiche
e sociali dei singoli paesi. In Italia la crisi assunse proporzioni assai gravi: insoddisfazione per i
risultati della conferenza della pace che deludevano le speranze di ingrandimenti territoriali e
coloniali, il peggioramento delle condizioni economiche, la carovita e la disoccupazione, che
pesavano soprattutto sulle classi popolari e l’inquietudine della grande borghesia industriale e
agraria di fronte alle agitazioni sociali, agli scioperi, all’occupazione delle fabbriche e delle
terre.
Nel momento in cui a Milano nascevano i “fasci italiani di combattimento” il loro fondatore non
si proponeva di creare un partito ma di creare un semplice movimento. Esso si inserì
agevolmente nella mutevole e difficile situazione dell’Italia del dopoguerra, avvalendosi di tutti
i motivi di malcontento e disorientamento vivi nel paese: dal desiderio di azione e di
avventura creato nelle generazioni dal clima della guerra al sentimento di rivolta degli ex
combattenti contro quanto i loro occhi sembrava avvilire la patria e dalla preoccupazione dei
conservatori per la pressione delle masse popolari reclamanti migliori condizioni di vita e per il
rafforzarsi del movimento socialista. Inizialmente il peso del nuovo movimento fu scarso,
infatti nelle elezioni politiche del novembre 1919 i fascisti riportarono solo 4500 voti, contro
170000 dei socialisti e i 74000 voti popolari. Tuttavia il movimento si andò rafforzando dopo la
marcia su Fiume voluta da D’Annunzio in segno di protesta contro la firma del trattato di pace e
prese un impulso decisivo dopo il fallimento dell’occupazione delle fabbriche (settembre
1920), che segnò l’inizio della parabola discendente del socialismo. Così a partire dalla fine del
1920 il fascismo andò sviluppandosi impetuosamente anche nelle campagne; pertanto
nelle elezioni del maggio 1921 i fascisti, oltre a due deputati eletti, ebbero circa trenta deputati
eletti nelle liste del blocco governativo, tra cui Mussolini. Nel congresso di Roma il
movimento, che contava ormai trecentomila iscritti, operò la sua trasformazione in partito,
caratterizzandosi come difensore dell’ordine e dandosi una più precisa fisionomia ideologica. Il
nuovo partito si pose l’obiettivo della conquista dello Stato, favorito dalla crisi sempre più
profonda delle istituzioni liberali, dal succedersi di governi deboli e impotenti, dalla divisione
delle
sinistre. I fascisti accentuarono le azioni di rappresaglia e il 29 settembre presero la decisione
di marciare sulla capitale. La “marcia su Roma” ebbe luogo il 28 ottobre; Vittorio Emanuele III
rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio presentatogli da Facta e decise di affidare il
compito di formare il nuovo governo a Mussolini. Dal punto di vista delle forme giuridiche entro
le quali
si organizzò il regime fascista sono da distinguere due periodi: prima e dopo il gennaio del
1925. Nella prima fase non ci fu un’aperta rottura rivoluzionaria con il passato; il primo
ministero
Mussolini fu infatti il ministero di coalizione, in cui accanto ai ministri fascisti ci furono i ministri
liberali e popolari. Già dal novembre 1922 il fascismo prese ad agire avendo di mira
l’instaurazione di un regime totalitario. Nello Stato totalitario è lo stato che afferma
l’appartenenza integrale del singolo allo Stato. Nel paese continuarono le violenze contro gli
oppositori; nel gennaio del 1923 le camice nere furono trasformate in Milizia volontaria per la
sicurezza nazionale (MVSN), e il parlamento concesse pieni poteri a Mussolini che se ne servì
per preparare la legge elettorale maggioritaria del 1923. Le elezioni del 6 aprile del 1924,
svoltesi in un clima di pressione o di aperta violenza, diedero alla lista fascista il 64% dei voti,
concentrati prevalentemente nel Centro-Sud. L’organizzazione dello Stato fascista avvenne nel
1925-26 e fu completata nei due anni
seguenti. Pertanto furono sciolti tutti i partiti e le organizzazioni sindacali; furono soppresse le
libertà di stampa e di riunione; fu creato un tribunale speciale per la difesa dello Stato; con la
legge
del 24 dicembre del 1925, fu introdotta la figura del capo del governo distinta dal ministero. I
poteri legislativi ed esecutivi passarono di fatto a Mussolini , capo del governo e capo del
fascismo. Nel 1929 la camera dei deputati con l’istituzione di una lista unica di candidati,
redatta dal gran consiglio; nel 1939 fu abolito il sistema plebiscitario, in virtù della creazione
della camera dei fasci e delle corporazioni. Il fascismo si identifica ormai con lo Stato. Ma già
all’inizio del XX secolo c’era un problema che affliggeva il regime liberale. Infatti le classi
popolari si erano organizzate e chiedevano una politica a loro favore, ponendo la loro
candidatura alla direzione dello Stato
perché si voleva compiere un passo decisivo, cioè passare da uno Stato oligarchico ad uno
democratico. In Italia il regime liberale oligarchico andava sfaldandosi e le elezioni politiche
ormai a suffragio universale maschile, avevano introdotto i partiti popolari in Parlamento. Ma
dopo le elezioni del 1921 dove per la prima volta i fascisti riuscirono a portare alla Camera 35
deputati la
borghesia che non si era rassegnata alla riduzione del suo potere accettò il fascismo, che si
presentava come restauratrice dell’ordine e dello Stato. Ma alla fine la borghesia che
inizialmente aveva pensato di poter usare il fascismo solo per sconfiggere il socialismo, fu
costretta ad abdicare in favore della forza che essa stessa aveva alimentato. Nel campo della
politica economica il fascismo attuò dapprima, a partire dal 1926, una politica deflazionistica, e
favorì l’acceleramento
dell’industrializzazione del paese. Gli interventi dello Stato nella vita economica si fecero poi
più accentuati dopo la grande crisi mondiale del 1929, che arrivò in Italia nel 1930; questo
interventismo economico si estrinsecò soprattutto nella creazione dell’IRI (Istituto ricostruzione
industriale) e dell’IMI (Istituto mobiliare italiano).
Italiano: Eugenio Montale e il Manifesto degli intellettuali antifascisti
Un poeta contemporaneo che è stato coerentemente antifascista è Eugenio Montale. Nacque a
Genova nel 1896, partecipò alla prima guerra mondiale e a guerra finita fondò una rivista,
“Primo
tempo” (1922). Nel 1925 pubblicò il primo volume di “Ossi di Seppia”. Si trasferì a Firenze dove
fu direttore del gabinetto, ma fu licenziato per i suoi comportamenti antifascisti. Quindi si
trasferì a Milano dove fece il giornalista. Nel 1967 fu nominato senatore a vita e nel 1975 gli
venne conferito il premio nobel per la letteratura. Autodidatta, incapace di inserirsi in
un’attività produttiva, malinconicamente convinto di essere un inetto, lettore appassionato, si
formò sui futuristi, simbolisti francesi, su tutta la cultura e letteratura di fine Ottocento e primo
Novecento. E accompagnò la sua opera creativa con un intensa meditazione critica sui caratteri
di essa e sui suoi strumenti espressivi, definendo intenzioni e risultati con lucida ironica
coscienza. L’argomento della poesia del Montale è la condizione umana in se considerata, non
in avvenimenti storici. Per Montale questo non significa estraniarsi da quando avviene nel
mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio. Avendo
sentito fin dalla nascita una totale disarmonia
con la realtà che lo circondava, la materia della sua ispirazione è quella “Disarmonia”. Montale
è stato coerentemente antifascista, e certo il fascismo, il nazismo, le vicende d’Europa degli
anni
trenta, la guerra, sono stati elemento della sua disperazione; e in disarmonia con il mondo egli
si è sentito dopo la seconda guerra mondiale, quando è stato anticomunista,
antiavanguardista, sprezzante verso la storia politica, sociale, culturale del secondo
dopoguerra. Di qui capiamo la sua inadattabilità al mondo di oggi.
Montale non ha mai visto un’alternativa possibile se non nella coscienza o nel sentimento: una
disperazione e un pessimismo senza scampo, che non permette altro rimedio che una
affermazione stoica di dignità umana, lo sforzo di sopravvivere nel magma di una
disgregazione universale. Questo atteggiamento si nota già nella prima raccolta, Ossi di seppia,
cioè una vita morta e reietta dalle onde sulle spiagge, oggetti prosciugati e disidratati, privati di
ogni palpito. In lui vediamo un’aridità interiore, una chiusa angoscia, il senso di un atroce “male
di vivere”, per cui non resta all’uomo altro che la “Divina Indifferenza”. Nella seconda raccolta,
Le Occasioni, approfondì
motivi e ricerca espressiva in un processo ulteriore verso la stretta fusione di classicismo e
simbolismo e nella tendenza a una poesia metafisica. Al centro restava la visione del mondo
incoerente, un ammasso di oggetti estranei all’uomo quando non addirittura ostili, la coscienza
della propria solitudine e del proprio destino umano e solo qualche rara occasione che ci
permette di vivere. E la poesia, in quegli anni bui quando dittature e guerre soffocavano,
diventa l’unico scampo: uno scampo aristocratico, che stacca e isola pochi eletti dalla grigia
folla comune. Scoppiata la guerra , nel momento in cui la massima si fa l’angoscia dell’uomo,
Montale scrive le liriche Finisterre (1940-’42), che poi raccoglie in La bufera e altro (1956). Qui
Montale continua il
suo esame di un mondo che avverte sempre più estraneo. Col passare degli anni questo
sentimento di distacco dal mondo si fa sempre più acuto. Montale ripugna alla civiltà
industriale, vede in
essa la morte dell’arte.
Il 1° maggio del 1925 , sulle pagine del quotidiano "Il Mondo", venne pubblicato un altro
manifesto. Era il Manifesto degli intellettuali antifascisti , scritto dal filosofo Benedetto Croce
(1866 - 1947). Croce rivendicava la libertà e l'autonomia di tutte la scienze e di tutte le arti in