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Estratto del documento

Baudelaire e Jules-Amedee Barbey d’Aurevilly. Verso la fine del secolo il dandismo

fa un suo singolare ritorno in Inghilterra, dove verrà praticato da Oscar Wilde e

dal pittore Audrey Beardsley.

In Italia elementi di dandismo sono presenti nei comportamenti di Gabriele

D’Annunzio.

Il dandy intende questo ideale “arte per arte” come culto della propria vita

pubblica, da “lavorare”, modellare come un’opera d’arte per farne un esempio

trionfante di Bellezza.

Non è che la vita sia dedicata all’arte, è l’arte che viene applicata alla vita.

Talora il dandismo si manifesta come opposizione ai pregiudizi e ai costumi

correnti, ed ecco perché per alcuni dandy appare significativa la scelta

dell’omosessualità, che all’epoca era totalmente inaccettabile e penalmente

punibile (celebre rimane il doloroso processo a Oscar Wilde).

Gorge Brummel

L’ABBIGLIAMENTO DEL PERFETTO

DANDY

La “divisa estetica": secondo Wilde, ogni

esteta, durante le cerimonie, occasioni

importanti o serate di gala, o ancora più

semplicemente quando gli andava, doveva

indossarla mostrando al mondo la sua anima completamente proiettata verso la

bellezza.

Essa era composta da un paio di pantaloni lunghi fino al ginocchio molto attillati,

di velluto scuro; delle lunghe calze di seta scure e degli scarpini di vernice neri

con dei lunghi fiocchi; una giacca da frac con le code piatte; una camicia bianca,

il papillon bianco da frac.

Wilde variava poi in diversi modi la sua 'divisa':

invece della giacca da frac e della camicia da sera,

indossava una giacca corta ed un morbido panciotto

di velluto, e un fazzoletto da collo, sovente azzurro o

verde.

La divisa estetica di Oscar Wilde non era che la

divisa che veniva usata allora dalla Massoneria

Inglese, ancora oggi in uso in alcune logge, della

quale Wilde era stato un felice membro durante la

gioventù. 5

Montesquiou ritratto da Boldini

Ma non era nuova, tra i dandy, l'uso di una sorta di 'divisa': per primo Brummel

lanciò la moda della giubba blu dai bottoni d'oro abbinata ai pantaloni color

crema, assai attillati, con i lucidi stivali neri al ginocchio; D'Annunzio, invece di

destreggiarsi con un solo colore, preferiva dare al suo guardaroba lo sgargiante

sfavillio della varietà più totale, sempre usando, però, sotto tutti gli abiti, delle

camicie da un alto colletto duro, nelle fogge più disparate. Il dandy novecentesco

preferiva invece non farsi troppo notare tra la folla, indossando abiti sì perfetti, e

tagliati su misura, ma assai poco particolari se giudicati da un occhio inesperto.

fine eleganza, lontana dallo sfarzo decadente, dei dandy del Novecento.

Il dandy è uno degli ultimi che, a malincuore, ripone il bastone da passeggio,

elegante rimasuglio della spada da gentiluomo dell'Acien Régime.

A proposito del bastone da passeggio nel trattato sull'eleganza, è raccomandata

"cautela e gusto nella scelta", oltre a reputare indispensabili "finezza e buon

gusto".

Oscar Wilde teneva molto ai suoi bastoni, che variavano dalle fogge più sottili,

leggere ed eleganti, fino a quelli grossi e pesanti, incrostati di preziosi, o dal

pomo asceticamente liscio.

L'occhiello è un ornamento necessario specialmente per il dandy, che non lo

vuole vedere inviolato, e provvede subitamente infilandoci il gambo di qualche

fiore, possibilmente raro, ma principalmente attraente.

E' straordinaria la fioritura degli occhielli fin-de-siécle: dall'orchidea di

Montesquiou al garofano verde di Oscar Wilde

Il fiore all'occhiello del dandy simboleggia il suo amore per il decorativo; se la

decorazione è data poi dall'odiata natura, è da privilegiare.

Solo la natura al servizio dell'uomo è ammissibile.

Ma simboleggia anche l'idea che ha il dandy della vita: bella e profumata, ma allo

stesso tempo terribile e odiosa; il fiore è anche interpretato come la

rappresentazione 'naturale' del dandy: nasce dalla terra, dal fango, ma poi si

innalza verso l'alto, bellissimo ma delicato. Il fiore all'occhiello del dandy è la vita

tramutata in decorazione. 6

JORIS-KARL HUYSMANS

Romanziere e critico d’arte francese, nato a Parigi

nel 1848, ebbe una vita assai ritirata e tranquilla.

Fin da giovanissimo,(1866) entrò a far parte

dell’amministrazione statale, dove vi restò fino

all’età della pensione.

Raramente si allontanò dalla sua natia Parigi; si

ritirò in convento prima dai trappisti poi dai

benedettini.

L’impulso alla sua carriera di scrittore, iniziò con la

frequentazione di Zola e il suo gruppo, sulla scia del

naturalismo, materia questa amata da tutti i suoi

componenti.

Nel 1879, all’età di 30 anni, partecipò con la novella

“ Sac au dos” (Zaino) alla raccolta collettiva,

considerata a quel epoca, il ghota del naturalismo.

La sua ideologia, dopo varie vicissitudini, sia

personali che professionali, si staccherà definitivamente dopo alterne vicende da

Zola, per volgersi sempre di più verso il simbolismo a cui aspirava la sua

personalità, non certo banale, ma anzi, sempre un po’ più avanti dei suoi

contemporanei.

Il suo proposito preponderante era quello di arrivare ad un naturalismo più vasto

che racchiudesse oltre alla vita materiale, anche la realtà spirituale.

Ed è proprio alla luce di queste sue nuove idee, che scrisse nel 1884 il romanzo

che ne consacrò il suo stile, prodotto all’apice della sua ricerca interiore: “A

Rebours”

Al suo estetismo affascinante, ed ambiguo, si ispireranno numerosi autori

europei, da Oscar Wilde a Gabriele D’Annunzio.

La via decadente, passiva e nettamente estetizzante sperimentata da Des

Esseintes appare lontanissima dal mondo di oggi, caratterizzato da dipendenza e

globalizzazione e, non ultimo, da un senso di precarietà che, mettendoci di fronte

a problemi tangibili e concreti, allontana l’uomo dalla possibilità di ripiegarsi su

se stesso e disinteressarsi del mondo.

Siamo oggi indissolubilmente legati gli uni agli altri e, dopotutto, rendersene

conto e accettare tutto questo forse renderebbe migliore la convivenza.

Tutto questo, forse, Huysmans l’aveva capito, quando negli ultimi anni della sua

vita, si avvicinò alla fede, analizzando i vari momenti del suo cattolicesimo

mistico ed estetizzante, dove il brutto e il male nella sua concezione estetica e

mistica coincidono.

Joris-Karl Huysmans muore a Parigi nel 1907.

A REBOURS: CONTROCORRENTE

“ A rebours” ( A ritroso- Controcorrente), riuscì a dar vita

ad un personaggio davvero singolare, il tipico

decadente, che odia la natura, mentre ricerca la bellezza

in un mondo da lui artificiosamente creato.

7

Floressas Des Esseintes, è lui il personaggio, protagonista assoluto, di un

esperimento letterario inimmaginabile per quell’epoca.

Des Esseintes, nobile rampollo di una famiglia, ormai decaduta e degenerata,

viene abbandonato dai suoi in un collegio dei padri gesuiti, affidando a loro la sua

educazione.

Floressas, appena mise le mani sul suo patrimonio, riuscì a sperperarlo nelle più

disparate esperienze, frequentando assiduamente gli ambienti più diversi e più

ambigui della capitale.

Nauseato dalla stupidità e volgarità del suo prossimo, decide di cambiare

radicalmente il suo tipo di vita, e rifugiarsi in un eremo lontano dal mondo, senza

contatto con l’umanità.

Des Esseintes, per sfuggire la natura e la vita, si fa murare in una villa, arredata

con stoffe orientali, tappezzerie dal sapore liturgico, parati e legni che fingono la

freddezza tipica degli ambienti monastici, ma non certo poveri, anzi sontuosi.

Coltiva soltanto fiori che, pur essendo veri, appaiono artificiali, pratica amori

perversi e stravaganti, si eccita la fantasia con droghe, preferisce un viaggio sulle

ali della fantasia, ad uno realizzato fuori da quelle mura.

Si costruisce, infatti, una vita di sensazioni artificiali, in un ambiente altrettanto

artificiale, dove la natura, più che essere ricreata, come avviene in un opera

d’arte, è imitata e negata, e allo stesso tempo rifatta, languida, stranita, quasi

malata.

Egli ammira tutto ciò che è inanimato e la sua massima aspirazione, dopo una

vita di eccessi e vizi, è quella di allontanarsi da un mondo che ritiene corrotto

dalla stupidità e dalle convinzioni.

In questo romanzo, Huysmans riesce davvero attraverso questo suo personaggio

bizzarro e nevrotico, a mostrare un mondo di visioni e passioni estetiche, ad ogni

capitolo ci mostra accostamenti cromatici, arredamenti fantasiosi e pietre

preziose, non certo usate come monile o altro oggetto di fine arte orafa.

Floressas sceglie di mettere una tartaruga su un tappeto chiaro per contrastarne

le tinte dorate, e sul dorso dell’animale fa incastonare pietre preziose di vario

colore, vi compone un arabesco sfolgorante, che irradia luce come “uno scudo

visigoto dalle squame imbricate da un artista di gusto barbaro”.

Lo scopo di questo personaggio era quello di sfuggire alla banalità del mondo

credendo di non aver bisogno di esso, credendo di poterne creare con il denaro

uno tutto suo, nel quale l’appagamento del proprio senso estetico a tutti i livelli,

potesse sostituire la vita. 8

Illustrazione di Asthur Zaidenberg

Il rifiuto dell’azione e il senso dell’impossibilità diventano nell’operazione tentata

da Des Esseintes il tentativo di ridurre l’uomo normale a una specie di

superuomo in grado di vincere il dolore e la miseria.

Ma l’esperimento non riuscirà, e alla fine l’isolamento e le visioni ridurranno Des

Esseintes alla malattia e quasi alla pazzia, tanto che sarà costretto dai medici a

tornare nel mondo.

Lo stesso Huysmans, più avanti nel corso degli anni, sarebbe tornato sulle proprie

convinzioni, riconoscendo che un percorso simile non poteva portare che al

suicidio o alla croce, ed egli scelse di avvicinarsi alla fede.

Bibbia del decadentismo, come si è detto, “Controcorrente” suscitò al suo

apparire interesse e sensazione, ai limiti dello scandalo, ma ottenne risonanza e

successo europei proprio per la novità assoluta e l’estrema originalità del

protagonista, che dava finalmente corpo ad aspirazioni vaghe e latenti di quegli

anni. Tratto da "Controcorrente" (1884)

di Joris-Karl Huysmans (1848-1907)

cap. I

[...]

Dovevano passare più di due mesi prima che Des Esseintes potesse immergersi

nel silenzio e nella quiete della sua casa di Fontenay; più di due mesi che

consumò ad andare su e giù per Parigi, a battere da un capo all'altro la città, in

acquisti di ogni genere. [...]

Un tempo, quando riceveva donne in casa, s'era fatto fare un'alcova dove, tra

mobiletti intagliati nel pallido legno del laurocanfora del Giappone, sotto una

specie di padiglione rosa di raso indiano, le carni si coloravano dolcemente alla

luce ammaestrata che setacciava la stoffa. Quella stanza dove specchi si

facevano riscontro e si rimandavano a perdita d'occhio sfilze di alcove color rosa,

era stata celebre nel mondo delle sue frequentatrici[…]

9

[…]Così - quando ancora riteneva necessario distinguersi dagli altri - Des

Esseintes aveva progettato e fatto eseguire degli arredamenti d'una fastosa

stravaganza, dividendo, ad esempio, il salotto in tante nicchie variamente

tappezzate, ognuna delle quali per sottili analogie, vaghe rispondenze di tinte

festose o cupe, delicate o barbariche, s'accordava con questo o quel genere di

opere - latine o francesi - che amava. A seconda dell'opera alla quale il capriccio

del momento gli guidava la mano, sceglieva per leggerla la nicchia che meglio a

suo avviso rispondeva, per il modo ch'era decorata, al carattere dell'opera.

Infine, una grande sala, fatta preparare a questo scopo, l'aveva destinata a

ricevere i fornitori; e, come questi avevano ordinatamente preso posto in stalli di

chiesa, egli saliva su una cattedra donde teneva un sermone sulla perfetta

eleganza; intimando ai sarti ed ai calzolai d'attenersi, in materia di taglio, ai suoi

“brevi” nel modo più rigoroso; e minacciandoli di scomunica pecuniaria se non

eseguivano alla lettera le norme illustrate nei suoi monitorii e nelle sue bolle.

La reputazione che s'acquistò di eccentrico, la corroborò vestendosi di velluto

bianco, sfoggiando panciotti ricamati come piviali, inserendo a mo' di cravatta

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